The Leftovers2×10 I Live Here Now

La seconda stagione di The Leftovers ha innegabilmente rappresentato un grosso distacco rispetto al primo ciclo di episodi tratti dal romanzo di Tom Perrotta. Ciò che è rimasto costante è stata la capacità coinvolgere lo spettatore in qualcosa di più di uno show televisivo, trascinandolo con forza in un universo fatto di temi e personaggi emotivamente complessi, protagonisti devastati e apparentemente […]

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La seconda stagione di The Leftovers ha innegabilmente rappresentato un grosso distacco rispetto al primo ciclo di episodi tratti dal romanzo di Tom Perrotta. Ciò che è rimasto costante è stata la capacità coinvolgere lo spettatore in qualcosa di più di uno show televisivo, trascinandolo con forza in un universo fatto di temi e personaggi emotivamente complessi, protagonisti devastati e apparentemente senza speranza alcuna di liberazione da un dolore sempre ben tangibile, pesante come un macigno. Questo ultimo episodio, come è giusto che sia, non fa eccezione, e ha l’innegabile pregio di chiudere molte delle questioni lasciate in sospeso nel corso della serie.

the leftovers 2x10 i live here now recensione

La natura monografica degli episodi precedenti ha avuto l’apprezzabile merito di donare di volta in volta a ciascun protagonista il proprio spazio di approfondimento, consentendo allo spettatore di empatizzare in modo così totalizzante da far apparire i personaggi come persone in tutto e per tutto reali: ognuno ha una sua storia e una sua visione, veicolata in ogni minima sfumatura e comunicata con una multidimensionalità caratteriale difficilmente raggiungibile da altre opere televisive odierne. Questo episodio, legittimamente diverso dai precedenti, ha il compito tessere gli ultimi cruciali dettagli della trama, unificando ogni singolo percorso e portando la storia di Jarden a una degna conclusione.

Family is everything

La famiglia è in assoluto il motore centrale di tutti gli eventi e le azioni dei personaggi, e con il senno di poi sembra che l’intera stagione sia incentrata sul disperato tentativo dei protagonisti di ritrovare (per Kevin in primis, come ben evidenziato dall’ultima sequenza dell’episodio) o distruggere (come tenta di fare Meg) la propria, o altrui, sfera affettiva.

Family is everything, dice Meg ad un Tom più che mai confuso; se per gli altri protagonisti la famiglia è davvero tutto, è evidente come per lei – che ha perso la propria un giorno prima della Dipartita venendo così privata della possibilità di compiangerne adeguatamente la scomparsa – altro non è che l’elemento da minare nelle fondamenta, nell’ottica della missione da living reminder che da sempre contraddistingue i Guilty Remnants.

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Anche le decisioni di Evie – che ha abbandonato la propria famiglia per unirsi all’organizzazione inscenando la propria “Dipartita” – sono fortemente votate all’allontanamento dai genitori, soprattutto dalla madre che a differenza sua ha sempre avuto una fede assoluta sul potere “salvifico” di Miracle. Emblematica, in questo senso, la potentissima sequenza (completamente silente e accompagnata solo dalla musica) in cui Erika corre incontro a Evie sul ponte che collega tra la “città santa” e il resto del mondo; la stessa location sembra una sorta di limbo, definizione ormai declinata dalla serie in tutte le sue possibili sfaccettature:

Erika: Why are you doing this? I don’t understand!
Evie: You understand.

Una singola frase, concisa, quasi a voler rimarcare una scissione netta dalla propria famiglia anche nella percezione degli eventi (per Erika l’abbandono di Evie è infatti assolutamente inspiegabile), ma estremamente significativa di questa visione diametralmente opposta sia sulla natura del luogo, sia sulle meccaniche relazionali vere e proprie instauratesi al suo interno. Evie, infatti, era a conoscenza del piano della madre di scappare da John, e tale decisione ha per lei il sapore amaro del tradimento; a ribadire ulteriormente lo stato di abbandono in cui versava Evie, l’emozionante monologo di Michael durante la messa porta alla luce un disagio non metabolizzato da parte della ragazza anche nei confronti del padre, nel periodo della sua detenzione per aver sparato a Virgil.

Michael: We are not spared.

In questa ultima battuta di Michael è racchiuso il significato più profondo del gesto di Evie. Miracle potrà pure essere un posto diverso dagli altri, ma ciò non toglie che non sia immune da ogni forma di negatività umana. Evie lascia Miracle sì a causa della sua famiglia, ma anche per mostrare e dimostrare quanto la città non sia mai stata salva dal quel male che è intrinsecamente parte dell’essere umano, a prescindere dalla Dipartita.

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Strettamente legata al ritrovamento dei propri legami familiari sono anche le vicende che coinvolgono Matt Mary; inizialmente apprendiamo, infatti, del risveglio definitivo della donna dallo stato vegetativo in cui versava fin dall’inizio della serie. Le circostanze che hanno portato al risveglio, davvero commovente per la potenza dell’intera sequenza e per l’empatia che Mary ha suscitato fin dai primi episodi, sono tuttavia poco chiare; il tutto si verifica, infatti, poco dopo l’ennesimo terremoto che sconvolge la città, avvenimento spesso associato ad eventi fuori dall’ordinario: il salvataggio in extremis di Kevin è un esempio lampante di quanto questi eventi siano legati in qualche modo al presunto potere della città, che induce le persone a riporvi una fede accecante e che Nora disconosce con forza (“Fix that, Jesus.” tuona contro la radio proprio pochi secondi prima). Proprio questa coincidenza aggiunge fascino all’intera sequenza, durante la quale anche Lily tocca Mary, si presume per la prima volta; data l’origine della bambina, figlia di Holy Wayne, è legittimo supporre che potrebbe avere un ruolo in questo nuovo miracolo.

Fa tirare un sospiro di sollievo, inoltre, il fatto che Mary ricordi alla perfezione tutto ciò che accadde nel precedente risveglio, in particolare quello che ha creato i presupposti per la gravidanza: la cieca fede di Matt nei confronti di Miracle ha portato spesso a sollevare dubbi sulla veridicità delle sue affermazioni, soprattutto in considerazione del fatto che l’unico “risveglio” che è stato effettivamente mostrato (nell’episodio “No Room At The Inn) era avvenuto in circostanze decisamente poco chiare per essere completamente credibili.

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L’unione di Evie ai Guilty Remnants aveva dato adito ad ogni possibile speculazione sul piano di Meg (interpretata da una Liv Tyler ancora una volta assolutamente credibile e creepy). Il suo fine ultimo, anche alla luce del trascorso della donna e degli eventi presentati nel precedente episodio, è fin troppo chiaro; di tutti i piani possibili, la nuova frangia estremista dei Guilty Remnants mette in atto il più radicale e incisivo in assoluto: l’irruzione dei G.R., nascosti tra la folla costantemente radunata davanti all’ingresso di Miracle, che devastano l’intera città (letteralmente, ma vista la natura del luogo anche e soprattutto spiritualmente). Come da lei stessa detto in Ten Thirteen, aspettavano proprio lei.

Durante l’assalto, Lily viene rapita per pochi minuti da una donna tra gli accampati al di fuori della città, in una intensa sequenza con Nora come protagonista: quasi a voler chiudere un simbolico cerchio con il bellissimo prologo di Axis Mundi, salta all’occhio il tatuaggio a forma di serpente al collo della donna, la volontà incrollabile di Nora di voler proteggere Lily – al pari della donna delle caverne – e l’aiuto provvidenziale di Tom, in suo salvataggio.

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Miracle rappresentava l’ultimo baluardo di speranza, di intoccabilità e di sicurezza rimasto ad un’umanità devastata emotivamente da un evento inspiegabile. Non esistono più miracoli a Miracle, e ora che anche questo luogo, caposaldo della fede riposta da milioni di persone è andato (metaforicamente) distrutto. La speranza va ritrovata nei personaggi che vi risiedono.

Kevin e John in primis hanno il loro confronto definitivo, un tentativo disperato di disillusione che porta ad una nuova morte di Garvey e ad un secondo ingresso nell’Hotel teatro degli eventi di International Assassin, con l’acqua nuovamente eretta ad elemento dominante del passaggio tra i due mondi.

Memore della sua prima, movimentata visita in questo limbo tra la vita e la morte, Kevin osserva il suo completo da assassino, prima affascinato ma poi inorridito dalle azioni che è stato costretto a compiere durante il suo viaggio precedente; per sua fortuna, si ritrova poi a scegliere delle vesti decisamente più adatte alla sua natura: quello di Poliziotto di Mapleton. Proprio grazie a questa scelta, quasi a voler simboleggiare una completa accettazione di ogni parte del proprio Io, il “compito” assegnato per uscire dall’Hotel è davvero semplice, ma umanamente straziante per lo spettatore: cantare Homeward Bound di Simon & Garfunkel, il cui tema è, nuovamente, il ritorno a casa dalla propria famiglia:

Homeward bound,
I wish I was,
Homeward bound,
Home where my thought’s escaping,
Home where my music’s playing,
Home where my love lies waiting
Silently for me

Proprio il risveglio, e la scoperta della seconda resurrezione di Kevin da parte di John, porta ad un definitivo riavvicinamento tra i due personaggi, coadiuvato dalla percezione di aver assistito ad un evento inspiegabile (stavolta davvero tangibile e inconfutabile), oltre che dall’incertezza sul futuro delle rispettive famiglie:

John: I thought you were dead.
Kevin: Nope!

John: I don’t know what’s happening!

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Proprio al culmine della devastazione di Miracle da parte dei Guilty Remnants trova il suo spazio il lato più umano della coscienza di Kevin – spesso oscurato dall’irrazionalità più cieca – così disturbata e tormentata ma allo stesso tempo così pura. Nella scena finale, dopo aver offerto a John ospitalità e dopo l’ennesimo terremoto nuovamente foriero di eventi impensabili, Kevin ritrova infatti tutta la sua famiglia nella casa, perfino Nora, che da lui era scappata con così tanta decisione.

The End?

Un episodio, questo, che avrebbe potuto tranquillamente sancire un lieto fine soddisfacente per The Leftovers, eventualità fortunatamente scongiurata con la notizia relativa al rinnovo per una terza (e ultima) stagione.
Il vortice emotivo che ha coinvolto lo spettatore durante la visione di tutti i dieci episodi di quest’anno si è purtroppo placato, ma è rimasta la consapevolezza di aver assistito all’evoluzione di una serie che farà – sarà il tempo a dircelo – la storia della televisione; una seconda stagione infinitamente superiore alla prima per le tematiche di ampio respiro trattate, per il confronto sempre più serrato tra scienza e fede e soprattutto per l’incredibile impegno profuso nella rappresentazione di personaggi così dannatamente reali, introdotti in un mondo profondamente diverso dal nostro.

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Molti quesiti sono volutamente lasciati aperti: non necessariamente per essere spiegati nella terza stagione, ma per lasciare allo spettatore la possibilità di dare una propria interpretazione agli eventi, di capire quanto la perdita (filo conduttore di tutta la serie) possa rappresentare la molla del cambiamento e, perché no, di ricerca di se stessi; in fondo la parte fondamentale di The Leftovers arriva dopo i minuti passati a vedere ogni episodio, poiché tutto si tramuta in analisi dell’animo umano, della sua spiritualità e del valore dei suoi legami affettivi, trascendendo il semplice intrattenimento televisivo.

5

 

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