The Walking Dead6×13 The Same Boat

Forse avrete notato, magari grazie anche alle nostre recensioni, quanto The Walking Dead stia progressivamente ritornando a meccanismi narrativi interessanti anche al di là di orde di erranti da defalcare per assicurarsi la sopravvivenza. I riflettori sono ora nuovamente sull’uomo, sulla guerra tra “specie” alla pari e sullo smembramento della società come la conosciamo, attraverso […]

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Forse avrete notato, magari grazie anche alle nostre recensioni, quanto The Walking Dead stia progressivamente ritornando a meccanismi narrativi interessanti anche al di là di orde di erranti da defalcare per assicurarsi la sopravvivenza. I riflettori sono ora nuovamente sull’uomo, sulla guerra tra “specie” alla pari e sullo smembramento della società come la conosciamo, attraverso il punto di vista di due importanti donne del gruppo dei sopravvissuti: Carol e Maggie.

Trattativa

Nella trattativa tra Rick e i Saviors per riavere indietro le appena rapite Maggie e Carol, il focus di questo episodio è spostato dalla parte del walkie-talkie del gruppo rivale e delle due prigioniere, e continuerà a esserlo per tutta la sua durata, tra le quattro mura di un bunker ancora abitato da qualche errante. Il ritmo è cadenzato dalle minacce di morte provenienti da entrambe le fazioni, in un dialogo che torna bidirezionale grazie alla performance da meta-teatro di Carol, improvvisata con un attacco di iperventilazione, un rosario e le mani forzatamente giunte dal nastro adesivo.

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Il primo grande errore dei Saviors è proprio nella concessione di questa bidirezionalità comunicativa e la conseguente possibilità data agli ostaggi di circuire i propri carcerieri con le parole, mentre la regia ci offre fugaci citazioni a Saw: L’enigmista in alcuni frame dello spostamento delle prigioniere nel Kill Floor – il déjà vu non mente mai.

Il raggio d’azione di chi è imprigionato non si limita infatti alla capacità di usare il corpo, ma anche e soprattutto la mente, andando a conoscere Paula e la sua storia, le sue vittime, persino di usare un’informazione come la gravidanza di Maggie, normalmente associata ad una condizione di svantaggio, come arma per irretire gli aguzzini e la loro incontrollabile voglia di fumare.

A contorno, ma nemmeno più di tanto, qualche interessante riflessione sul passaggio dal pre al post apocalisse. Il ruolo della fede, scomparsa e denigrata dopo la distruzione della società, è messo in discussione dai pochi superstiti sul pianeta anche in questa occasione, mentre il coraggio di desiderare e portare avanti una gravidanza, concetto su cui fa perno il dialogo tra Maggie e l’aguzzina dei Saviors che la interroga faccia a faccia, viene eretto a gesto di simbolico eroismo, nella volontà di continuare la specie a prescindere dal futuro avverso.

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In una serie tv che fa del gore e della tensione i suoi punti di forza, il ricorso a riflessioni sulla condizione dell’uomo in un mondo popolato da erranti non è sempre stato strutturato nel migliore dei modi – un ultimo sguardo da questa prospettiva ce lo aveva dato l’episodio “Here’s Not Here”, interessante di per sé ma forse mal collocato lungo la stagione nel suo complesso – ma potrebbe essere il punto da cui iniziare a ricostruire con intelligenza la struttura narrativa della serie. Grazie a una ritrovata abilità degli autori di indirizzare la complessità dei personaggi, tutto procede a gonfie vele, anche senza ricorrere a budella e violenza, ma riprendendo il bandolo della matassa dalla dimenticata umanità delle parti in gioco.

Fuga

Chiusi gli approfondimenti morali e personali, sappiamo bene cosa aspetta lo spettatore: il risveglio di Carol Terminator. Qualche sommovimento del lato oscuro di Carol lo si osserva durante i dialoghi con Paula, in cui le donne si scambiano vicendevoli minacce di morte e arriva giusto quel brividino lungo la schiena carico di anticipazione. Il messaggio implicito è solo uno: non è Carol a essere intrappolata in una stanza con voi, ma siete voi ad essere intrappolati in una stanza con Carol.

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La liberazione dalla prigionia e l’abile trappola-errante innescata nel Kill Floor mettono in moto il piano di fuga, che non può avvenire senza che vengano sistemati tutti i Saviors nel bunker. Una Carol che esita all’idea di uccidere un altro essere umano a lei contrapposto, lottando contro se stessa e contro le estreme contromisure adottate per tornare libera assieme a Maggie, è inusuale, ci mette di fronte ad una sua già preannunciata mutazione; non si arriva al punto di dubitare della sua sceneggiata, ma un pensiero a quanto di ciò che ha inscenato sia reale lo si inizia a fare. Quel rosario stretto spasmodicamente tra le mani e il dettaglio della goccia di sangue dell’ultima inquadratura sono elementi accennati ma a cui è necessario prestare attenzione, attendendo il possibile superamento del punto di non ritorno per l’equilibrio psicologico di Carol.

Molly: We are all Negan.

Mentre la matassa psicologica di uno dei personaggi più interessanti di The Walking Dead viene dipanata, la minaccia di Negan pare essere stata debellata – ma chi ci crede! – uniamo metaforicamente i punti, colleghiamo i motociclisti fatti saltare in aria da Daryl col gruppo appena sconfitto da Carol e Maggie, ma ancora non sappiamo chi è Negan – ma sappiamo che il casting per il suo personaggio è concluso – se non che tutti si identificano con lui. Finché non lo vediamo dobbiamo attenerci ai fatti, limitandoci ad alzare scetticamente il sopracciglio.

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Tirando le fila emotive e razionali di questo episodio di The Walking Dead, a parte la porzione off-screen della liberazione di Carol e il brusco taglio del subplot di Maggie da interrogata a liberata poiché imprudentemente lasciata sola, siamo davanti a un gioiello che non lesina né in momenti di tensione, né in momenti di introspezione. 4.5 Porcamiseria su 5 per quello che dovrebbe essere il punto di arrivo di The Walking Dead, raggiunto sempre più diligentemente dagli autori durante questa seconda metà di stagione.

4.5

 

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