Game Of Thrones6×05 The Door

Manovre strategiche al nord, faide familiari nelle Isole di Ferro, incubi che ti spezzano il cuore: nella quinta puntata di Game of Thrones si piange.

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La sesta stagione di Game of Thrones – Il Trono di Spade si sta sempre di più differenziando dalle precedenti per l’incredibile velocità con cui si susseguono vicende di enorme portata: quest’anno non siamo ancora al giro di boa e già si è perso il conto dei colpi di scena e delle morti, in un crescendo di ansia che quasi sembra di guardare una puntata di How to Get Away with Murder.

Chiudi la Porta (che fa Corrente)

Non riusciamo a non iniziare parlando di Hodor, il gigante scemo ma buono. Questo personaggio di supporto, presente fin dalla prima stagione, ci aveva talmente abituato alla sua presenza – nonostante la totale mancanza della storyline di Bran nella quinta stagione – che nemmeno avevamo preso in considerazione potesse diventare la nuova vittima dei sadici Benioff e Weiss. Hodor lascia Game of Thrones spezzandoci il cuore, ma svelando il mistero del suo ritardo mentale:

Meera: Hold the door!

Le parole che risuonano nella sua testa danno vita a un paradosso temporale, rendendo però più verosimili le teorie sul possibile coinvolgimento di Bran nelle vicende passate di Westeros. Assistiamo infatti alla diretta interazione di Bran con le visioni che sperimenta: mentre sta controllando Hodor adulto nel presente, la sua visione del passato lo collega con Wylis, che cade a terra e inizia a ripetere “Hold the Door!“, frase che gli rimane impressa insieme al danno cerebrale causato dalla possessione warg. Bran è quindi la causa del ritardo mentale di Hodor, in un loop temporale che finisce con la morte del gigante – o almeno speriamo sia morto sul serio e non torni come white walker. La scena è straziante, con le urla sovrapposte di Wylis e di Hodor, mentre Meera scappa nella tormenta trainando la barella con Bran. Non si può fare a meno di versare cascate di lacrime, ma anche un po’ di odiare lo sprovveduto Stark.

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Viene svelata anche l’origine di the Night’s King, il primo white walker, creato proprio dai children of the forest come arma per difendersi dalla guerra contro gli umani, migliaia di anni prima. La curiosità di Bran lo ha portato involontariamente a svelare la sua posizione al Night’s King, che nella visione riesce a toccarlo e ad arrivare con un’orda di non-morti sotto all’albero millenario, con conseguenze devastanti. Anche il Three-Eyed Crow ci lascia le penne assieme Summer, l’ennesimo metalupo che se ne va: rimangono solo Ghost, al fianco di Jon, e Nymeria, a spasso per le Riverlands.

La scena è incalzante, ma ha un uso eccessivo e poco equilibrato della CGI, del tutto distante dal forte impatto della magistrale Hardhome dell’anno scorso. La fuga lungo il corridoio, l’immolazione di Leaf, il crescendo che culmina con la morte di Hodor, tanta ansia ma poca coordinazione: è tutto molto Hollywoodiano, tra corse a perdifiato, esplosioni e sacrifici per il bene del protagonista. Quanta strada potranno mai fare Meera e Bran, usciti dalla porta di servizio con un esercito alle calcagna? Forse qualcuno arriverà ad aiutarli? E adesso che il Night’s King ha marchiato Bran, può sapere sempre dove si trova o la condizione del ragazzo verrà in qualche modo riportata allo status quo?

Kingsmoot

Il famigerato Kingsmoot ha dato il suo verdetto: il Re delle Isole di Ferro è Euron Greyjoy, in grado di convincere i lord presenti con validi motivi, primo fra tutti quello di avere un pene, a differenza di Yara e Theon. I due fratelli ne escono più uniti, grazie al sostegno di Theon alla sorella, e insieme fuggono dalle Iron Islands: con loro portano via il grosso della flotta Euron, che viene prima battezzato secondo il rito del Drowned God e successivamente incoronato Re delle Isole. C’è ancora qualche difficoltà ad inserire nel grande disegno di Game of Thrones il ruolo che avranno i Greyjoy, ma tutto punta ad un futuro incontro tra Euron e Daenerys. Il famigerato Victarion Greyjoy, presenza di spicco nella saga di Martin, viene inglobato nell’economia della serie dalla presenza unica di Euron, contemporaneamente sovrano delle Isole e capitano della sua flotta verso il continente orientale.

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La sequenza dedicata all’elezione del re delle Isole di Ferro è trattata dagli autori con la giusta dignità e rispecchia i canoni e le tradizioni del luogo, con una forte componente contemporaneamente maschilista e goliardica e un’ottima caratterizzazione del personaggio di Euron, miscredente pronto al battesimo per arrivare alla corona. Il conflitto tra la sua candidatura e la legittima eredità al trono, che spetterebbe in realtà a Theon, è giustificato proprio dall’attitudine dei popoli del mare a guadagnarsi con valore e violenza i propri risultati.

Fanatismi e Dichiarazioni d’Amore

Fa il suo ingresso un nuovo personaggio, intravisto in uno dei trailer settimane prima dell’esordio della sesta stagione: Kinvara, sacerdotessa di R’hllor, è convocata a Meereen da Tyrion, per aiutarlo a sostenere la situazione di pace che al momento regna precaria in città. Il fanatismo della sacerdotessa è contestato da Varys, il quale riporta gli errori di una certa Melisandre, ma Kinvara è assolutamente sicura di sé e dei suoi poteri e riesce a leggere nel passato di Varys, lasciandolo a bocca aperta. Che sia Daenerys la promessa reincarnazione di Azor Ahai? Oppure è plausibile che le due sacerdotesse di R’hllor siano entrambe nel giusto? Ma soprattutto, Kinvara avvizzirà come una prugna secca una volta tolto il collare?

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A proposito di Dany, siamo di fronte a un triste addio: Jorah la abbandona, dopo aver rivelato il suo amore, a causa della tremenda malattia contratta durante il viaggio con Tyrion. La Khaleesi è commossa, e gli ordina di trovare una cura, ben consapevole delle poche speranze di sopravvivenza del vecchio amico e consigliere.

Una Seconda Possibilità

Arya continua a prendere la sua dose di legnate da Waif, ma non demorde: Jaqen le concede quindi una seconda missione da assassina: dovrà uccidere l’attrice di punta di una compagnia teatrale itinerante. Caso vuole che la compagnia stia mettendo in scena il prologo della Guerra dei Cinque Re, interpretando in quel momento proprio la decapitazione Eddard Stark, dipinto come un povero imbecille assetato di potere, mentre Cersei sembra quasi essere una donna saggia e piena di virtù.

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La reazione di Arya è tutt’altro che inespressiva, e sicuramente fa da ostacolo al suo divenire “No One”, per non parlare delle domande poste e Jaqen riguardo al suo bersaglio. Ci assale un dubbio: e se Arya decidesse di fuggire con gli attori per tornare a Westeros? Del resto, non sarebbe nemmeno una fuga: che cosa la trattiene a Braavos?

Il Nord non Dimentica

La vera natura di Game of Thrones è data dalle macchinazioni e dalle strategie di lotta e alleanze tra le famiglie, e il segmento del nord riprende perfettamente il canovaccio della serie. Sansa viene convocata da Petyr Baelish a Mole’s Town, e si presenta davanti a lui con Brienne, e tutto il risentimento che può avere una ragazza lasciata in mano a uno come Ramsay Bolton. Lo sfogo è epocale e la paura di Littlefinger è palpabile, soprattutto quando basterebbe un cenno di Sansa per farlo decapitare seduta stante: Baelish però porta come sempre notizie importantissime, e cioè che i Tully – nella figura di Blackfish – stanno riformando un esercito per riprendersi Riverrun. Grazie a questa imbeccata, si formano nuove speranze per gli Stark di riunire un esercito abbastanza forte da sconfiggere i Bolton.

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Nel complesso la puntata è soddisfacente, soprattutto per lo sviluppo delle storyline di Sansa e per la rinascita dell’orgoglio delle Iron Islands, che potrebbe tuttavia virare rovinosamente su una semplice faida famigliare. Daenerys non offre nulla di nuovo al piatto di Game of Thrones, dopo l’exploit dello scorso episodio, e Bran e Meera da soli nella tormenta non possono fare molta strada, senza contare gli espedienti narrativi deprecabili usati per rendere fattibile la loro fuga. Non basta puntare sull’effetto shock per fare un buon episodio, e mai come in “The Door” si è sentita la necessità di una meta, invece di una brancolante camminata nella tormenta. Tra alti e bassi, non possiamo dare più di 3,5 porcamiseria su 5 a questo episodio.

3.5

 

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