The Good Fight1×04 Henceforth Known As Property

Alternandosi a temi di grande attualità, come da consuetudine per The Good Fight, una vecchia conoscenza di Diane e di noi tutti tornerà a portare un bel po' di scompiglio.

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Al suo quarto episodio, The Good Fight si dimostra una scommessa vinta per i coniugi King e per la CBS: una prova ardua quella a cui sono chiamati, sia per la pesantissima eredità della serie madre e per la necessità di discostarsi da essa onde evitare un ingeneroso confronto, sia per il differente ritmo narrativo impresso dal formato dei dieci episodi. Per fortuna, ci troviamo ancora una volta di fronte ad un episodio fresco e accattivante, che mette in pista tra l’altro una storyline che può finalmente dar spazio a tutti i comprimari.

The Good Fight 1x04 Henceforth Known As Property

La struttura dell’episodio continua ad adagiarsi sulla triplice linea narrativa già evidenziata in The Schtup List; ci sarà tempo, speriamo, per quelle scelte più audaci che hanno sfornato alcuni degli episodi più memorabili di The Good Wife. Nella fase iniziale del suo spinoff, una narrazione più canonica è senz’altro una scelta sicuramente vincente nel tentativo di permettere al pubblico di familiarizzare con le dinamiche di una nuova serie.

Il caso della settimana affronta ancora una volta una tematica etica, riguardante la proprietà degli ovuli di una donna che non può esercitare una clausola di rivalsa degli ovuli prevista dal contratto stipulato al momento della donazione. Sapientemente, i King portano lo spettatore a riflessioni di carattere etico pur senza prendere posizione, grazie allo stratagemma di rappresentare – con molta crudezza – il caso quasi come un banale dibattimento sulla proprietà di un oggetto. Una rappresentazione quasi asettica del tema, dettata dalla Legge e le sue controverse declinazioni, e corroborata da un dibattimento costruito sul paragonare ovuli ed embrioni a oggetti o automobili. E l’inevitabile sdegno dello spettatore più sensibile a certe tematiche espresso attraverso lo sdegno del giudice di turno – chiaramente sempre bizzarro, come da tradizione. Piccole finezze che sottolineano – quando mai ce ne fosse bisogno – la grande capacità di The Good Fight di affrontare temi importanti senza ricorrere ad altisonanti storyline.

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Il caso poi è anche un ottimo gancio per un toccante confronto sul tema della maternità tra Diane e Barbara, due donne apparentemente in contrasto ma che trovano un punto di incontro nel destino riservato loro dall’avvocatura, nel rimpianto di aver sacrificato quella parte così importante nella vita di una donna. La Baranski – inutile dirlo – eccelle nel rappresentare la dolcezza di Diane mentre descrive il rimpianto di non aver potuto avere un figlio da Kurt, di non aver potuto vedere quanto potesse somigliare ad uno dei due, e di constatare che un figlio è – a conti fatti – il più importante dei lasciti su questa Terra.

In tema di attualità però, i King ci raccontano anche di un’altra tematica molto sentita dei giorni nostri, quella delle fake news. Maia si ritrova suo malgrado vittima di uno sporco gioco diffamatorio su Twitter ad opera di un suo ex, amplificato dall’eco delle sue vicende personali, a suon di articoli costruiti ad arte per fini di click-baiting. Se non ci avete capito molto non fasciatevi la testa: l’intento viene comunque raggiunto e la rappresentazione dei danni collaterali dietro alle bufale che tutti i giorni leggiamo su Internet perfettamente resa. È sempre difficile descrivere con veridicità e perizia tecnica certi fenomeni all’interno di una serie – e anche The Good Wife non è sempre stato perfetto in questo – ma stavolta il risultato è più che credibile, anche grazie alla sinergia tra Maia e Marissa, che formano, abbastanza inaspettatamente, una coppia dalle grandi potenzialità per il proseguo della serie.

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Complice una guest star d’eccezione – Matthew Perry, l’indimenticabile Chandler di Friends – si apre poi un capitolo importante per The Good Fight, una storyline che si va aggiungere al filone dello Schema Ponzi, in quella che è la trama orizzontale della serie. Perry torna a vestire i panni del viscido Mike Kresteva – vecchia conoscenza di The Good Wife – che opera adesso come consulente del Dipartimento della Giustizia per ridurre il numero dei casi contro la brutalità delle forze dell’ordine. Kresteva prenderà naturalmente di mira lo studio e convocherà tutti – o meglio, i protagonisti – addirittura innanzi al Grand Jury. I suoi modi tutt’altro che cristallini verranno rivelati durante l’interrogatorio a Diane, che realizzerà amaramente le intenzioni di Kresteva, messa spalle al muro dalle sue menzogne in aula cui a fatica saprà tenere testa. E proprio il suo interrogatorio è uno dei momenti più alti dell’episodio insieme al dialogo con Barbara, di cui sopra. Questo nuovo filone narrativo aprirà senz’altro la strada ad una visione più corale della serie, riuscendo finalmente ad approfondire le dinamiche tra le tre protagoniste e il resto dei comprimari, capendo finalmente quanta presa sul pubblico potranno avere i nuovi innesti rispetto al nucleo proveniente dalla serie madre.

La storyline di Kresteva permette poi di esplorare ancora il rapporto tra Lucca e Colin, o meglio, permettere loro di continuare il loro flirt. L’inaspettato aiuto di Colin nel tentativo di arrestare l’accanimento di Kresteva contro lo studio lo aiuterà ad essere guardato con occhi diversi da Lucca, anche se – a parere nostro – non è che ce ne fosse poi così bisogno. La chimica tra i due è davvero esplosiva, però dobbiamo lamentare nuovamente il poco screentime dedicato allo sviluppo del personaggio di Lucca, ancora troppo in seconda linea rispetto a Diane e Maia.

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In definitiva, The Good Fight ci convince sempre di più, nelle tematiche affrontate e nel ritmo narrativo, dimostrandosi indipendente da The Good Wife, pur potendo attingere alle risorse garantite dalla condivisione dello stesso universo, per usare una terminologia tanto cara alle serie supereroistiche. Se il vedere Diane andare su Chumhum per una ricerca su Internet ci strappa dunque un sorriso, è il suo nominare Alicia Florrick che ci mette definitivamente K.O. e che ci fa volerne ancora. E ancora.

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