Game Of Thrones7×02 Stormborn

La guerra per il dominio di Westeros può finalmente iniziare, con tutte le parti in gioco in cerca di alleanze, a pianificare strategie di attacco. Altrove, Arya non sa da che parte voltarsi, mentre Samwell cerca di salvare una vita in pericolo.

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Non fosse per gli ultimi dieci devastanti minuti, questo episodio di Game of Thrones sarebbe stato un metodico disporre pedine sulla scacchiera prima del reale gioco, e della reale guerra. Per tre quarti di “Stormborn” abbiamo infatti davanti perlopiù manovre diplomatiche, potenziali alleanze e retorica da signori (e da signore) della guerra.

Non che sia necessariamente un male, perché ogni proclama davanti a sudditi e alleati vede di riflesso le peculiari caratteristiche di ogni personaggio: se Daenerys è determinata a non trasformare Westeros in una landa desolata e incenerita dai draghi, preferendo misure più umanitarie di conquista, Jon ribadisce quanto i vestiti da re gli stiano stretti, delegando a Sansa l’amministrazione del Nord; è un pattern comportamentale che rispecchia sia la maturazione di Daenerys, più disposta a governare che a distruggere, sia il carattere di Jon, mai avvezzo al comando ma suo malgrado sempre costretto a prenderlo.

Abbondano i collegamenti a stagioni ed episodi passati, dall’incontro tra Hot Pie e Nymeria con Arya, alla terapia d’urto di Jorah Mormont. Samwell è a suo modo lo spirito ribelle di Oldtown, lanciato ogni notte in avventure extracurriculari un po’ troppo “l’ho letto su Wikipedia”: l’apprendista trova subito alchimia con l’ex cavaliere di Daenerys, grazie a un passato collegamento dei suoi giorni sulla Barriera, prima di procedere a rimuovere ogni scaglia grigia dal suo corpo.

Molto strana la scelta di ignorare il milk of the poppy a favore della rimozione in vivo, ma soprattutto ci aspettavamo la ricomparsa della spada di acciaio valyriano, sembra dimenticata, ma forse non è ancora il suo momento. Nuovamente, proprio come successo in Dragonstone, nel segmento di Samwell siamo costretti a buttare quello che stiamo mangiando, e pure il montaggio fa il suo dovere, nella transizione tra questa scena e quella dedicata ad Arya.

Il segmento della giovane Stark diretta a King’s Landing è inaspettatamente significativo, nonostante sia di transizione. In particolare, l’incontro con Nymeria – carico di tensione per la sorte di Arya circondata da un branco di lupi – ripropone la battaglia interiore di Arya e la sua crisi di identità: forsela giovane è cambiata a tal punto che non ha più senso ricongiungersi con il resto della sua famiglia, e forse la sua permanenza a Braavos l’ha resa veramente No One, se persino il suo vecchio metalupo le volta le spalle. Quanto di quel “That’s not you” è rivolto a Nymeria, e quanto è invece rivolto a se stessa? Ha quindi senso dirigersi verso nord, da quanto rimane degli Stark?

Il gioco di alleanze è un gioco delicato. Per Varys, il lungo discorso iniziale serve alla nostra nostalgia, ma anche a sottolineare quanto Daenerys non sia una sprovveduta con in mano tre potentissimi draghi. Per Cersei, l’appoggio di qualche casata dissidente ai Tyrell potrebbe non rivelarsi scontato, visto come Randyll Tarly si dimostra restio a tradire Lady Olenna. Tuttavia, ogni alleanza, per quanto promettente, ci mette davvero poco a essere spazzata via da chi i mari li conosce come le proprie tasche.

L’assalto improvviso di Euron è implacabile e miete vittime celebri – le Sand Snakes, che ci mancheranno proprio come la sabbia nelle mutande: era abbastanza ovvio che avrebbero scelto le eredi dei Martell e gli ultimi Greyjoy come vittima designata, vista l’inutilità della storyline del Dorne all’interno dell’economia della serie e il rancore verso Yara. È un finale di episodio inaspettato, dal montaggio frenetico con solo qualche breve secondo di contemplazione, e ci vola davanti agli occhi.

Fanno un po’ acqua, in un episodio ricco e interessante, l’intera sequenza dedicata a Grey Worm e Missandei, ribadendo come ormai le love story della serie stiano in piedi con lo sputo – potevano risparmiarci tanto screentime sprecato, vista la brevità della stagione – e il trappolone di Qyburn contro i draghi di Daenerys: uno pensava chissà quale diavoleria ammazzadraghi, e invece niente, una pesantissima balestra, sicuramente efficace contro tre draghi sempre in movimento.

“Stormborn” ci lascia con quel lieve senso di cliffhanger, col destino di Yara, Ellaria e Tyene nelle mani di Euron – ma non per Theon, che ha vigliaccamente abbandonato la nave – e con l’imminente battaglia degli Unsullied a Casterly Rock, castello finora mai visto in Game of Thrones. Continui i richiami alle stagioni passate, sia palesi, come Melisandre che ritorna a Dragonstone proclamando nuovamente il Principe Promesso – o principessa, come fa notare Missandei – sia con la scena di Jon che sbatte al muro Dito Corto, proprio come aveva fatto all’epoca Ned Stark, nella ormai lontana prima stagione. Nel complesso, ci viene offerto il giusto mix tra intrighi politici, dialoghi occasionalmente al vetriolo e un massacro finale a fare da ciliegina sulla torta; peccato per alcune sbavature e perdite di minuti preziosi, senza le quali l’episodio sarebbe stato pressoché perfetto. 4.5 Porcamiseria su 5.

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