Doctor WhoChristmas Special 2017: Twice Upon a Time

Natale in casa Who è il perfetto coronamento del ciclo iniziato con l'Undicesimo Dottore. Moffat congiunge passato, presente e futuro del personaggio intrecciando profondamente il proprio ruolo con quello del protagonista. Una puntata piena di ricordi, di promesse e di lacrime: insomma un tipico natale whovian.

9.8

Natale per i fan di Doctor Who è una festa doppiamente attesa, giacché ai regali consueti si aggiunge una puntata speciale dello show britannico, solitamente di ottima fattura. Gli ultimi due episodi natalizi ci hanno piacevolmente colpito (più al cuore che al cervello), ma la lista sarebbe molto lunga. Lo speciale di quest’anno è stato particolarmente atteso perché, oltre a portare in scena l’immancabile atmosfera natalizia in salsa british, rappresenta un punto di svolta significativo per l’intera serie per almeno quattro ragioni:

  • il Dodicesimo Dottore ci lascia per rigenerarsi nella discussissima nuova incarnazione femminile. Il che, in piena tradizione whovian, vuol dire fiumi di lacrime e discorsi da ricordare. Peter Capaldi abbandona un ruolo che con qualche difficoltà si è cucito addosso lottando con le unghie e con i denti contro sceneggiature non sempre all’altezza del personaggio. Un Dottore immenso, non abbastanza compreso dagli stessi autori, che adesso dovranno rifarsi con la promettente Jodie Whittaker.
  • lo showrunner Steven Moffatt, responsabile dell’americanizzazione (non necessariamente un male) della serie, artefice di alcuni degli episodi più memorabili e di alcune svolte non proprio canoniche, passa la conduzione dello show nelle mani di Chris Chibnall, già autore di alcune puntate del Dottore, sceneggiatore e co-produttore della rimpianta Torchwood e ideatore e showrunner della splendida Broadchurch. Si tratta di un cambio di impostazione molto rilevante, come fu il precedente passaggio da Russell T. Davies a Moffat, che impresse una svolta molto peculiare alla narrazione e ai personaggi. Moffat (che personalmente ho criticato in diverse occasioni e che più volte ha diviso i fan) ha comunque dimostrato, al pari di Capaldi, un amore reale per la serie, anche nelle scelte più estreme e controverse. È stato detto più volte che forse al Moffat produttore è preferibile quello scrittore, ma, se guardiamo con le freddi lenti dei numeri ai suoi risultati, non si può oggettivamente obiettare che abbia fatto un eccellente lavoro nello spingere lo show.
  • più in sordina è passato l’altro grande addio dello show, quello di Murray Gold, il compositore delle musiche della serie dalla rinascita del 2005 ad oggi. Gold ha creato i temi più iconici della serie, da DoomsdayI am the Doctor, passando per il tema di Clara e quello di Gallifrey. Negli episodi natalizi ha spesso dato il meglio di sé e, anche in quest’occasione, pur non proponendo niente di originale, l’accompagnamento musicale funziona da amplificatore delle emozioni dei personaggi.
  • L’episodio segna il ritorno in scena del Primo Dottore, interpretato in questo caso da David Bradley, dopo la meravigliosa performance vista nel docudrama An Adventure in Space and Time (che tutti avete visto, vero? VERO?). Noi continuiamo a odiarlo nei panni di Walder Frey Argus Gazza, ma ce la mette tutta per farsi amare come interprete del Dottore originale. E ci riesce.

Previously… 709 episodes ago

Il finale della decima stagione ci aveva lasciati col Dottore ormai solo, nella fase iniziale della rigenerazione, intento come mai a non darla vinta all’arrivo di un nuovo sé e catapultato dal TARDIS al freddo del Polo Sud, dove sorprendentemente aveva incrociato la prima incarnazione di se stesso. Anche il Primo Dottore si trova al Polo per lo stesso identico rifiuto di rigenerarsi, collegando così il tutto, in maniera geniale, alla parte mancante di The Tenth Planet, l’arco narrativo del 1966 (!) che portava al primo passaggio di consegne tra Dottori. Nel resto dell’episodio i due Time Lord dovranno fare i conti con la Testimonianza, misterioso gruppo che utilizza i ricordi dei defunti per impiantarli in simulacri umani di vetro e che deve ristabilire il corretto ordine temporale riportando un capitano della Prima Guerra Mondiale, accidentalmente sbalzato al Polo coi Dottori, al suo esatto punto di morte a Ypres nel dicembre 1914. Vediamo messi a confronto la tradizione e l’evoluzione del protagonista, i due metodi messi in parallelo, accuratamente aiutati da un montaggio che in alcune scene (come la fuga dalla Testimonianza) richiama quello della serie originale, in una commistione che omaggia quei tempi.

Non mancano anche le critiche a quella tradizione, contestualizzate al presente – come il problema del femminismo più volte evidenziato e analizzato nella decima stagione -, e le risposte alle contestazioni più recenti – come l’atteggiamento severo del Primo che critica (a ragione!) gli occhiali sonici. Si tratta di un tentativo, ripreso dall’ultima stagione e simile a quello attuato dal recente Star Wars – Gli ultimi Jedi, di accordare i fan più conservatori con quelli più flessibili e nuovi, solleticando il piacere di entrambi tirando in ballo, ad esempio, il Brigadiere Alistair Gordon Lethbridge-Stewart. È l’occasione per tracciare, al di là della netta predominanza della trama orizzontale incentrata sul Dottore, l’ennesima favola natalizia (già evidente nel titolo dell’episodio e nel tono delle scritte iniziali) pronta a concludersi, pur malinconicamente, con la narrazione del reale evento storico della Tregua di Natale, sintesi al contempo dei due grandi temi moffattiani della puntata e della sua narrazione whovian in generale: la guerra e la gentilezza.

A Good Man Goes to War

Sono queste le due direttrici su cui lo showrunner ha impostato le gesta dei due Dottori con cui ha avuto a che fare: l’Undicesimo e il Dodicesimo. Il primo, temprato dalla Time War, a tratti rabbioso e implacabile fino a scorgere dentro se stesso l’identità che aveva provato a celare, quel War Doctor che ha spezzato la promessa “Never cruel or cowardly”  (ripresa anche nel discorso finale di Capaldi) e che solo con lo speciale del 50esimo anno e il resto della Trilogia del Dottore trova finalmente pace e lascia spazio alla gentilezza, al Dodicesimo. Un Dottore, ques’ultimo, che l’acredine di alcune puntate non è riuscita a scalzare dal cuore dei fan, guadagnandosi un posto d’onore tra i preferiti, grazie alla malinconia del suo sguardo e a quell’intenso, accorato appello all’essere gentili, fortemente sussurato ma mai urlato (come nel doppio episodio sull’invasione degli Zygon, ancora una volta una guerra), presente in particolar modo nell’ultima stagione, quando arriva a demandarla finanche alla sua nemesi. In questo speciale la Guerra fa da sfondo non solo alle gesta del capitano e al miracolo natalizio, ma è anche l’orizzonte prospettato al Primo Dottore, del tutto ignaro degli eventi che sconvolgeranno il futuro della sua specie, terrorizzato da ciò che l’aspetta e dal ruolo che avrà nello scontro finale tra Dalek e Time Lord. Eppure, alla fine, la prima rigenerazione ha luogo, una volta convinto il Primo del peso fondamentale del Dottore nell’equilibrare bene e male nell’universo.

Più profondo, seppur connesso, è il dubbio del Dodicesimo, combattuto tra il diventare altro da sé o morire conservando la propria identità. Sono i ricordi la chiave per conservare il proprio sé nelle infinite rigenerazioni che nella vita attuiamo. È necessario per questo l’avvento di Bill prima, Nardole successivamente e infine Clara, il primo volto che Dodici ha visto dopo la rigenerazione. Un volto dimenticato che finalmente si riappropria della propria storia, concedendo la serenità della memoria a un Dottore tormentato nel profondo dallo spettro senza viso della storia di Clara. Ma c’è un altro elemento fondamentale che diventa chiave di lettura del desiderio di non rigenerarsi del Dodicesimo: la perdita. Il Dottore ha perso sempre, ha perso molto, ha perso a volte tutto a partire da chiunque abbia mai amato. Il dolore della morte di Bill, solo in alcuni momenti temperato dal suo avatar di vetro, è stato la classica goccia dopo l’addio a River e quel buco rimasto a lungo senza volto dove si trovava Clara. Vivere e amare significa perdere. Vivere così a lungo e amare come il Dottore sa fare significa perdere a livelli inimmaginabili. Non è così difficile comprendere perché, dopo tanto dolore, anche lui desideri riposare. Desideri pace. Ma l’Universo, senza di lui, sarebbe in pericolo e lo stesso amore che lo porta a temere di non farcela più sarà quello che lo porterà a dire che “un’altra vita non ucciderà nessuno, tranne me”. Il dolore nato dall’amore ci distrugge, ma l’amore stesso ci permette di rialzarci. Sembra la chiusura perfetta del ciclo di Capaldi, capace di terminare quasi tutte le questioni irrisolte del personaggio (ad eccezione, ed è forse l’unica pecca dell’episodio, dell’intervento insieme agli altri Dottori per salvare Gallifrey nello speciale del 50esimo anno, intervento di cui speravamo avremmo avuto almeno un chiarimento). Così il testamento di Dodici, colmo di riferimenti e autocitazioni (di cui vi parliamo nelle note), conferma la qualità della scrittura, dando un ritratto finito di un personaggio coerente nonostante tredici incarnazioni differenti.

Le ultime parole, “I let you go”, chiudono definitavamente l’era Moffat, facendo il paio con quelle con cui era comincia, quell’ “I don’t want to go” , straziante addio di Ten, che avrebbero dato vita a una profonda analisi psicologica del personaggio e dei suoi tormenti. L’anello che cade richiama il papillon di Eleven ed è un prezioso monito della congiunzione perfetta tra passato, presente e futuro del personaggio che Moffat è riuscito a creare in questo episodio, partendo dagli albori. Tutto quello che verrà dopo, come avvenne con l’addio di Davies, sarà un azzardo, che già dalle prime immagini sembra promettere bene.

La fine del Dodicesimo Dottore è accompagnata, come detto, per l’ultima volta dalle musiche di Murray Gold, sempre funzionali alle esigenze di trama pur senza guizzi originali, ma puntando molto sull’effetto nostalgia. Gli effetti speciali fanno il loro dovere e il passaggio tra gli episodi del ’66 a quello odierno è sorprendente, grazie soprattutto all’incredibile interpretazione di Bradley, che non sfigura di fianco a un immenso Peter Capaldi in stato di grazia, capace di tirare fuori quel bambino che si emozionava guardando lo show a quindici anni. Il ruolo di Pearl Mackie non convince del tutto se non col senno di poi, fungendo da fantasma del natale presente per il Dodicesimo insieme agli omaggi dei due companion già nominati. Spiace che la sua avventura sul TARDIS sia terminata così presto e con una fine (quella ufficiale del finale di stagione scorso) non proprio giusta nei confronti di un personaggio che aveva saputo raccogliere le attenzioni del non facile fandom di Doctor Who.

I pochi minuti dedicati a Tredici promettono anzitutto di essere fedeli alla tradizione (il TARDIS distrutto alla fine della rigenerazione si è già visto) mentre al contempo quella stessa eredità evolve in qualcos’altro. La rigenerazione, che – non a caso – ricorda moltissimo quella tra il Decimo e l’Undicesimo e il conseguente passaggio dall’era Davies a quella Moffat, ha avuto un sapore al contempo nuovo eppure conosciuto.
La curiosità di conoscere questo nuovo Dottore è tanta, ma possiamo dire senza timore di smentita che il sorriso stupito sul volto di Jodie Whittaker e quel “Brilliant” che tanto ricorda il “Fantastic” di Eccleston ci hanno fatto dire che sì, siamo ottimisti.
Tutto finisce, tutto inizia.
A noi intanto resta un episodio che dà un malinconico ma speranzoso senso di completamento, la fine di uno speciale Doctor Who durato cinque intense stagioni, al fianco di River Song, i Pond, Clara la ragazza impossibile, Raggedy Man e Doctor Disco.

 Note

  • Sopra una delle leve del TARDIS del Primo è possibile scorgere il nome di Bernard Wilkie, omaggio al pioneristico designer degli effetti visivi che ha lavorato allo show durante il periodo del Secondo e Terzo Dottore.
  • La Nuova Terra che ha dato origine alla Testimonianza è già stata vista nel 2006 e nel 2007, negli episodi del Decimo Dottore New Earth e Gridlock.
  • “The Long Way Round” è ormai un mantra del Dottore da quando lo ha pronunciato (apparentemente per la prima volta) nello speciale del 50esimo anno riferendosi al ritorno su Galiffrey.
  • Sia Doomsday che il tema di Clara sono udibili per pochi attimi all’interno dell’episodio.
  • L’intenzione di sculacciare Bill da parte del Primo non è un mero espediente narrativo per registrare l’evoluzione del protagonista, ma anche un omaggio alla sua tendenza a minacciare in tal senso sua nipote Susan, mostrate nell’episodio The Dalek Invasion of Earth del 1964.
  • La scena in cui la Testimonianza fa vedere al Primo scorci del suo futuro sembra un palese richiamo a ciò che è successo con gli Atraxi nel primo episodio dell’era Moffat, The Eleventh Hour. Un richiamo reso ancora più evidente dalla semicitazione Is this World protected?- Protected by who?
  • Il Dottore non avrà ancora rivelato il suo nome ma di certo è pieno di soprannomi da far impallidire Daenerys, tutti rigorosamente riportati in questa puntata, riprendendoli da vecchi episodi e formando una sorta di memorandum della gesta dell’era moffattiana: The Destroyer of Worlds (da The Journey’s End), The Oncoming Storm (da diversi Dalek), The Imp of the Pandorica (un omaggio al doppio finale della prima stagione del ciclo di Moffat, The Pandorica Opens e The Big Bang), The Beast of Trenzalore (altro tributo a uno dei momenti più duri dell’Undicesimo Dottore in The Name of the Doctor The Time of the Doctor)The Destroyer of Skaro, The Butcher of Skull Moon (in riferimento a una battaglia della Time War a cui il Dottore avrebbe preso parte, nominata nell’episodio Hell Bent).
  • Il Dalek “buono” Rusty è già apparso in precedenza e la natura del suo carattere non letale (o quasi) è spiegata in Into the Dalek, puntata in cui Clara e il Dottore compiono un vero e proprio viaggio dentro la struttura dei nemici giurati dei Time Lord.
  • Il riferimento alla dimensione delle finestrelle del TARDIS (apparentemente sbagliate rispetto alla loro reale grandezza) è un inside joke che si rinnova coi fan fin dai tempi del più famoso ed elogiato episodio di Moffat, Blink.
  • Il testamento di Capaldi contiene diverse citazioni interne allo show: la prima e più evidente riguarda quel “never cruel or cowardly” che richiama la promessa fatta al momento di assumere il Dottore come proprio nome. A proposito della reale identità dell’ultimo Signore del Tempo, Dodici racconta una storia riguardo alla possibilità che i bambini col cuore al posto giusto e le stelle allineate nel medesimo luogo odano il vero nome del Dottore. Questa è una reale teoria di Capaldi, secondo cui, per comprendere come si chiama il gallifreyano, è necessario ricevere la giusta frequenza. E solo i bambini allineati con le stelle possono farlo.
Porcamiseria
  • 9.5/10
    Storia - 9.5/10
  • 10/10
    Tecnica - 10/10
  • 10/10
    Emozione - 10/10
9.8/10

In Breve

L’ultimo episodio dell’era Moffat/Capaldi ha il sapore malinconico di un addio natalizio mescolato alla promettente speranza di un futuro radioso. Una congiunzione perfetta di passato, presente e futuro del personaggio che si incrocia con i destini degli autori che hanno infuso il loro amore in questo prodotto, anche nelle scelte più criticate. Un finale completo, capace di divertire ed emozionare ricorrendo ai temi preferiti dallo showrunner.

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Porcamiseria

9.8

L'ultimo episodio dell'era Moffat/Capaldi ha il sapore malinconico di un addio natalizio mescolato alla promettente speranza di un futuro radioso. Una congiunzione perfetta di passato, presente e futuro del personaggio che si incrocia con i destini degli autori che hanno infuso il loro amore in questo prodotto, anche nelle scelte più criticate. Un finale completo, capace di divertire ed emozionare ricorrendo ai temi preferiti dallo showrunner.

Storia 9.5 Tecnica 10 Emozione 10
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