Da dove dovremmo cominciare per riassumere il season finale di The Man in the High Castle? Perché abituati ai cliffhanger di quasi ogni episodio, il finale di stagione è stato forse uno dei momenti più WTF nella storia delle serie TV, e non sto esagerando. Possiamo analizzare l’episodio dividendolo nei tre filoni principali, che pur toccandosi ai fini della trama rimangono distinti, e a nostro parere hanno un peso diverso sul giudizio finale dell’episodio – e di conseguenza sul voto di tutta la serie.
Joe & Juliana
Juliana e Frank, che hanno appena terminato la visione del nuovo film, sono sgomenti e confusi dopo aver assistito sullo schermo all’esecuzione di Frank per mano di Joe, vestito da soldato nazista: non riescono a capire la natura del filmato, e neanche noi. All’arrivo di Joe, subito dopo, la situazione precipita con una zuffa per possedere la preziosa bobina: Joe ha la meglio su Frank, e fugge con il film, lasciando i due fidanzati con l’unica possibilità di rivolgersi alla resistenza per chiedere aiuto.
La Resistenza capisce l’importanza del film, e quanto sia rischioso lasciarlo nelle mani di Joe, che sospettano sia un nazista. A dire il vero l’unica che si fida di Joe è solo Juliana, anche se oltre a questo non sembra trasparire nessun tipo di sentimento se non la gratitudine per averla salvata a Canon City. Karen e Len sono disposti ad aiutarli, mettendoli su una nave diretta in Messico, ma alla condizione di recuperare il filmato.
Joe porta il film all’ambasciata nazista, ma vi rimane incastrato e rischia di essere ucciso dagli uomini dell’Oberst-gruppenführer Heydrich, che al momento è a “caccia” con John Smith. Juliana riesce a farlo fuggire – perché diciamocelo, che ci vuole a scappare da un edificio pieno di nazisti armati? – e insieme si dirigono al porto, dove la resistenza lo aspetta per ucciderlo. Qui Juliana lo salva una seconda volta, facendolo scappare sulla barca intesa per lei e Frank.
La storia parallela intessuta sulle vicende storiche è quella che ci piace di meno: seppur si intrecci abbastanza bene con il resto della trama, ha decisamente meno appeal del resto della serie. Il personaggio di Frank è secondo noi quello riuscito meglio – ancora applausi a Rupert Evans – mentre la recitazione di Juliana e Joe al confronto è più piatta, e soprattutto Luke Kleintank è spesso poco coinvolgente. Il plot è risultato un po’ forzato in alcuni momenti, soprattutto per i colpi di scena prefabbricati e alle volte prevedibili.
Nel Nido dell’Aquila
Abbiamo lasciato John Smith – ancora sotto shock per la malattia del figlio – alle prese con Reinhard Heydrich e alla battuta di caccia che non promette nulla di buono: Heydrich, spalleggiato da un sicario con un fucile pronto a far fuoco, porta John in un capanno per convincerlo a passare dalla sua parte e tradire Hitler – quel genere di proposte che non si possono rifiutare, perché se no ti ammazzano.
Anche Wegener è nei guai: al suo rientro a Berlino gli viene impartito l’ordine di Heydrich di uccidere Hitler. L’uomo visita quindi la sua famiglia, forse per l’ultima volta, e la scena è estremamente emozionante: il gerarca nazista è profondamente tormentato nel salutare la moglie, la bellissima figlia e il figlio minore, che tiene il broncio, e nell’abbracciarlo commosso recita una delle quote più belle della serie:
It is far from easy to be a good man.
In fact as one gets older, it becomes more and more difficult to know what a good man is.
Yet it also becomes increasingly important to at least try.
Wegener si dirige dal führer, che lo accoglie intento a guardare uno dei film del Grasshopper: come è possibile che nell’ufficio del Führer siano presenti così tanti filmati proibiti? Hitler sembra sapere molto di queste pellicole, e del complotto per ucciderlo. Mentre Wegener punta la sua pistola contro il suo Führer, nel capanno di caccia squilla il telefono e Heydrich risponde, e con sorpresa è Hitler in persona a parlare: una pallottola colpisce il tirapiedi di Heydrich, mentre quest’ultimo viene colpito da John, che prende la cornetta…
Mein Führer, I have apprehended a traitor.
Wegener infatti ha deciso di spararsi, sacrificandosi probabilmente per salvare la vita alla sua famiglia, più che del suo Paese, in un capovolgersi di eventi che ci tiene incollati allo schermo. Il plot nazista è senza dubbio il più spettacolare, con l’intreccio della spy story da guerra fredda incredibilmente reso verosimile e avvincente. Gli attori tutti all’altezza del proprio ruolo, con Carsten Norgaard (Rudolph Wegener) e Rufus Sewell (John Smith) assolutamente spettacolari.
L’Onore dell’Impero
L’ispettore Kido, informato dalla Yakuza, arriva al vero colpevole del tentato omicidio del Principe ereditario: un soldato nazista con il preciso obiettivo di causare la scintilla e consegnare alla storia un casus belli, di modo da scatenare la guerra tra Giappone e Germania. Il conflitto sembra infatti inevitabile, con parte delle alte gerarchie militari di entrambi i paesi che non aspettano altro. Il sicario però non fa nemmeno in tempo a sorridere beffardo al raggiungimento del suo obiettivo che Kido lo fredda sparandogli: il suo lavoro è quello di difendere l’Impero, e scongiurare un conflitto che vedrebbe il suo Giappone quasi sicuramente sconfitto e umiliato.
In questo season finale la sorpresa a livello narrativo è stata la figura dell’ispettore Kido: inflessibile, strisciante, privo di scrupoli ed empatia, da elemento odioso riesce a trasformarsi in personaggio verso cui mostrare un incredibile rispetto, nel momento in cui decide di sacrificarsi per impedire il male peggiore, la guerra atomica. Il destino però accorre in suo aiuto: nel culmine del rituale suicida del seppuku, l’arma del delitto è stata trovata: Ed infatti ha goffamente tentato di distruggere la pistola di Frank – probabilmente intenzionalmente – e una volta scoperto si consegna alle autorità giapponesi dichiarandosi colpevole. Kido è quindi salvo, e il povero Frank è costretto ad assistere al sacrificio dell’amico innocente.
The only way to view the truth in life, Kotomichi, is to stand apart from it
Con queste parole Tagomi-san si rivolge al suo assistente, come ad introdurre la scena finale dell’episodio e della prima stagione di The Man in the High Castle. Vediamo infatti Tagomi meditare su una panchina in un parco, mentre stringe la collanina a forma di cuore di Juliana, creata da Frank; nella concentrazione avviene l’impensabile: da un momento all’altro Tagomi compie un viaggio dimensionale e si ritrova proiettato in un altro continuum temporale, con la vittoria degli alleati sull’asse, e quindi circondato da un’altra America degli anni ’60, la nostra, con il famoso Twist di Chubby Checker in sottofondo. Cosa che solo Fringe ci aveva abituato a vedere.
Per quale motivo Tagomi ha viaggiato nello spazio-tempo? E in che modo tutto ciò è collegato ai film del Grasshopper, che effettivamente illustrano la realtà parallela di un altro universo (il nostro)? Questo è il cliffhanger dei cliffhanger, lasciando in sospeso sia la sorte di Juliana, Joe e Frank, ma soprattutto aprendo ad una seconda stagione che potrebbe vedere l’introduzione di viaggi spazio-temporali.
Finale quindi fantastico e pieno di nuovi interrogativi, per questa serie affascinante e ricca di colpi di scena, che nonostante qualche imperfezione si merita comunque 4 PorcaMiseria e mezzo su 5, voto che attribuiamo in questo caso anche alla puntata, in attesa di quello che potrà accadere nella seconda – già confermata – stagione. Una seconda stagione che potrebbe traghettare The Man In The High Castle dall’essere una mera ucronia distopica all’acquisire i tratti di una serie sci-fi, una volta chiarite le dinamiche del viaggio dimensionale di Tagomi.
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