Westworld1×08 Trace Decay

Un episodio di transizione per Westworld, che inizia a preparare il terreno per i due episodi finali. Il confine tra realtà e finzione, tra passato e presente, tra destino e libero arbitrio si fa sempre più labile, sia per gli host che per gli spettatori.

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Dopo Trace Decay, mancheranno due episodi alla conclusione di questa prima stagione di Westworld, ed era quindi scontato aspettarsi una puntata di transizione, che in qualche modo preparasse le pedine per i due – immaginiamo – esplosivi capitoli finali. Così è stato, in effetti, ma Trace Decay è ben lontano dai classici filler noiosi e inutili, anzi continua a mettere carne al fuoco nel classico stile di Westworld: qualche risposta e un milione di domande.

Trace Decay, al contrario dei due episodi che l’hanno preceduto, non lascia nessuna delle storyline in stasi. Ognuno dei filoni narrativi trova qui spazio, a partire dall’enorme, gigantesco colpo di scena dell’episodio scorso. Bernard esce per un attimo dal controllo di Ford, rendendosi conto di quello che ha fatto. Colui che abbiamo appena scoperto essere un host scoppia quindi in lacrime, ed è lo stesso Ford a realizzare quanto Bernard si trovi in una posizione a dir poco unica: le emozioni che prova sono state create da lui stesso, che nell’aggiornare il firmware degli altri host aggiorna inconsapevolmente anche il proprio.

Nell’ultimo momento di lucidità prima della cancellazione selettiva della memoria, Bernard si chiede quanto ci sia di vero nei suoi ricordi al di fuori di Westworld: nulla è reale, ogni host ha bisogno di una backstory e Ford ne ha creata una tutta speciale proprio per Bernard, una storyline (l’unica?) che si estende anche al di fuori, in un disegno ben più ampio. A noi spettatori viene quindi un enorme sospetto: quanto di quello che vediamo è reale e quanto, invece, esiste solo nella mente di uno degli host? Fatto sta che i ricordi di Bernard – quantomeno quelli relativi all’omicidio di Theresa e alla relazione tra i due – vengono rimossi: i ricordi possono essere pericolosi, e un host potrebbe perdersi in essi (come sta accadendo a Dolores e Maeve, ma lo vedremo tra poco).

Ford, così, prosegue nel suo enorme e ancora fumoso disegno. Non tutti ci cascano: sia Charlotte Hale che Ashley si rendono conto – l’una dagli atteggiamenti di Ford, l’altro dalle risposte di un Bernard formattato – che qualcosa non va, ma sono entrambi troppo impegnati dai rispettivi problemi per badare al vecchio patriarca del parco, il quale al momento si sente il padrone assoluto, la divinità che crea e governa e che nemmeno il defunto Arnold era riuscito a fermare.

Trace Decay conferma in qualche modo che ci sono differenti piani temporali, ma confonde le acque su come questi si intreccino

Chi se la spassa, nel frattempo, è Maeve. Il suo piano è andarsene da Westworld e avventurarsi nel mondo esterno, ma non può farlo sia per il sistema di failsafe nascosto in una sua vertebra – di nuovo un rimando a Jurassic Park, dove i dinosauri fuori dal parco non riuscirebbero a sopravvivere senza un particolare enzima  –  sia per il fatto che le servirebbe un esercito per riuscire ad arrivare oltre le incredibili misure di sicurezza del parco. Mentre Sylvester – vuoi per il rischio intrinseco nella loro situazione, vuoi per l’effettiva paura che tutto possa degenerare – decide di approfittare del momentaneo riavvio dell’host per liberarsene una volta per tutte, Maeve ha completamente in pugno Felix, che abbagliato dal suo fascino fa qualsiasi cosa lei gli ordini di fare.

Le modifiche al suo source code la rendono un host superpotenziato, capace di modificare il comportamento dei suoi simili riscrivendone le routine a proprio piacimento. Tutte le scene in cui compare Maeve sono semplicemente splendide, nel loro sottolineare il suo fascino inquietante e pericoloso; ma quella in cui “testa” questo suo nuovo potere, oltre ad essere emblematica del suo volersi scrivere la propria storia, si fa notare per le scelte musicali, tra cui spicca una Back to Black di Amy Winehouse – ovviamente in pieno stile western – mai così azzeccata:

We only said goodbye with words, I died a hundred times,
You go back to her and I go back to, I go back to black.

Il parallelo con Bernard a questo punto è lampante: entrambi sono host perfettamente consci della propria condizione, entrambi con privilegi amministrativi ed entrambi con la possibilità di uccidere un essere umano.

Trace Decay conferma anche, in qualche modo, che le storie si svolgono su piani temporali differenti, ma non è ancora ben chiaro tuttavia come questi si intreccino. Un aiuto ci viene però dato da Angela (Talulah Riley), che in questo episodio si vede in diverse scene: il flashback di Dolores, mentre passeggia con l’ombrellino, e nella scena dove viene liberata da Teddy e l’Uomo in Nero. La avevamo già vista nel secondo episodio, Chestnut, mentre accoglie William nel suo primo viaggio: un aiuto chiave per la collocazione temporale, e per riuscire a capire meglio il rapporto tra Dolores e l’Uomo Nero.

Westworld è stata spesso paragonata a Lost, ed è inevitabile trovare in questo episodio alcuni parallelismi con uno degli episodi fondamentali della storica serie ABC, ovvero The Constant. Là avevamo Desmond in grado di passare da un piano temporale all’altro, influenzando lo scorrere degli eventi in un miscuglio tra le timeline orchestrato perfettamente; qui abbiamo una struttura simile, pur senza viaggi nel tempo, con Maeve che, rivivendo il ricordo della morte della figlia per mano dell’Uomo in Nero, taglia in realtà la gola della nuova Clementine. E abbiamo anche una Dolores che inizia a far confusione tra passato e presente, tra sogno e realtà, tra ciò che è vero e ciò che non lo è, in un fondersi di piani temporali che coinvolge lo spettatore al punto da indurlo allo stesso stato confusionale degli host. Del resto i ricordi sono pericolosi, parola di Ford, e noi non possiamo certo essere d’aiuto a Dolores quando, rivolgendosi a William spaventata e confusa, chiede:

Is this… now?

Anche il segmento relativo all’Uomo in Nero e a Teddy, sulle tracce di Wyatt e, di conseguenza, del Labirinto, affronta il tema dei ricordi che riaffiorano. È Teddy stesso a ricordare le violenze subite dall’amata Dolores proprio per mano dell’Uomo in Nero, mentre noi veniamo a conoscenza del background di quest’ultimo: immersosi ancora più profondamente nel mondo di Westworld dopo la morte della moglie e l’abbandono della figlia, alla disperata ricerca della sfida definitiva – il Labirinto, appunto – dove scoprire la propria vera natura al livello di difficoltà massimo, in cui la vita la si rischia davvero. Un uomo senza scrupoli, che nel desiderio di uscire dal tracciato delle trame orchestrate da Ford, nella volontà di crearsi la propria storia – sì, proprio come Maeve e Dolores – non ha esitato a uccidere la figlia di Maeve davanti ai suoi occhi e che, nel farlo, non ha provato la benché minima emozione. Quello che cerca è il momento emotivo che trasforma gli host in umani, il dolore, la perdita dell’amore, la sofferenza infinita. Nulla di nuovo, però, sulla sua reale identità e sul suo reale rapporto con Ford, appena accennato in Contrapasso.

I wanted to see if I had it in me to do something truly evil, to see what I was truly made of.

Senza dolore, senza morte, non c’è vita. È questo che Ford toglie a Bernard, cancellando il ricordo di Theresa, o a Maeve, resettando la sua storyline: Maeve però non vuole dimenticare, si aggrappa a quel dolore che le sta facendo andare in tilt il sistema operativo, ma che paradossalmente la rende più umana del proprio creatore. Lo stesso glitch che confonde Maeve lo abbiamo visto nel primo episodio con Abernathy, che rivediamo grazie a Charlotte e Sizemore, intenti ad escogitare un modo per fermare Ford: è forse un caso che abbiano scelto proprio Abernathy? Ed è forse un caso che Charlotte si faccia scappare un’altra citazione dall’Amleto?

Brevity is the soul of wit

Un episodio, questo, non certo avaro di emozioni e di momenti altissimi, tra cui gli intensi dialoghi tra Bernard e Ford, e il monologo dell’Uomo in Nero; l’ennesimo episodio che sfiora la perfezione tecnica e stilistica e che, tuttavia, ben poco ci regala sul fronte delle risposte a tutte le domande finora seminate. Mancano però due episodi, e tutto deve ancora succedere. Speriamo solo che le similitudini con Lost non arrivino ad influenzare troppo il finale: sarebbe davvero dura reggere un’altra botola fino al 2018.

4.5

 

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