Lo scorso episodio di Vikings si è basato tutto sulla vendetta e sulle famiglie disfunzionali: Revenge continua sulla stessa linea narrativa, con in più la regolazione dei conti in sospeso con gli inglesi.
Uno dei momenti più raffinati di tutto l’episodio è il dialogo tra Re Ecbert, che vediamo sempre più vecchio e sul viale del tramonto, e il figlio Aethelwulf, colpevole di non essere mai stato all’altezza di cotanto padre. Consapevole dei suoi limiti, Aethelwulf deve odiare profondamente il padre, che lo ha usato per i suoi giochi di potere per tutta la vita, gli ha fregato la moglie, e lo ha costretto a crescere Albert, un figlio non suo. Tutto quello che cerca da Ecbert è una conferma di amore, di affezione, e di approvazione: eppure, nonostante il Re potrebbe a questo punto anche abbassare la guardia e perlomeno mentire, rimane in un freddo silenzio, lasciando Aethelwulf totalmente disarmato.
Il vecchio monarca quindi si rifiuta implicitamente di riconoscerlo come il proprio successore, nonostante sia l’unico, preferendo il bastardo Albert, che speriamo di rivedere nella quinta stagione interpretato da un attore un po’ più adulto e decisamente più sveglio. Come un vecchio filosofo, Re Ecbert controbatte alle parole di Aethelwulf con una riflessione pragmatica, nichilista e quasi romantica:
I have begun to believe that being firm and strong was the illusion, and that I am unsure now because it is the most honest way to be.
Linus Roache resta uno dei migliori attori di tutto il cast di Vikings, e auguriamo a Re Ecbert ancora una lunga vita in questa serie, che ormai è arrivata a quasi 50 episodi.
A proposito di rapporti padre-figlio, ora che Ragnar non c’è più i cinque eredi devono momentaneamente smettere di litigare per concentrarsi sulla spedizione punitiva in Northumbria. Bjorn è il più anziano, il più esperto di guerra e il più rispettato nella cerchia dei popoli vichinghi, e non vuole nemmeno prendere in considerazione l’idea di dare il comando a Ivar, il più giovane e storpio dei fratelli, anche se indubbiamente il più intelligente.
Raccontando un’elaborata tradizione, con lo scambio degli anelli e la corsa dello sposo, Vikings ci racconta il matrimonio tra Ubbe e Margrethe, che da sguattera è diventata praticamente una principessa. L’essersi ripassata tutti i figli di Ragnar e Aslaug le ha fatto fare carriera, ma sempre preferendo Hvitserk: la cosa non infastidisce per nulla Ubbe, che anzi invita il fratello a condividere la sposa nella prima notte di nozze.
Restando in zona menage-à-trois, anche Astrid è al centro di un triangolo amoroso per niente semplice: durante il sacrificio umano per propiziare la vittoria nell’imminente campagna inglese, Bjorn e l’amante della madre (fa sempre strano dirlo ma ok) si appartano, e mentre una cometa di buon auspicio brilla in cielo, e la regina di Kattegat trafigge con la spada sacra la vittima sacrificale, la spada di Bjorn possiede Astrid in un turbine di lussuria. Di nuovo una tradizione norrena, già vista precedentemente, con un sacrificio a Thor e a Odino, officiato da una Lagertha mistica ed eterea, ma scema no: sa della tresca, ma apparentemente non le dà troppo peso. A che gioco sta giocando Astrid? E da dove è saltata fuori, visto che ci è stata presentata nella quarta stagione praticamente dal nulla?
Durante la preparazione della spedizione facciamo la rapida conoscenza di Elsa, la bionda principessa di Danimarca amata da Harald, che riceve il due di picche in quanto la bella è ormai sposa di un conte. Utilità di Elsa? A meno che non sia un product placement della Disney e che non salti fuori anche una sorella di nome Anna, questa aggiunta alla trama è abbastanza insipida: le ultime puntate stanno ovviamente cercando di riempire il vuoto lasciato da Ragnar, ma Vikings non può diventare una telenovela.
I vichinghi salpano, arrivano in Sassonia, ma lo show evita di farci vedere la consueta battaglia della stagione, lasciandoci solo immaginare la carneficina dello scontro armato. Interessante escamotage quello di evitare di perdere tempo prezioso con scene di guerra spesso ripetitive, ma facendo crescere la tensione iniziale con l’avvicinamento degli eserciti, per poi saltare a scontro terminato. L’esito era abbastanza scontato, caro Re Aelle, c’è poco da fare gli eroi se poi sbagli i conti e i tuoi uomini sono la metà della metà degli avversari.
In tutto questo c’è il cambiamento di Floki, che sembra stia attraversando una crisi mistica, in seguito al contatto con la religione islamica, e all’adozione forzata che Helga ha imposto alla coppia. Persino la moglie percepisce il cambiamento, e per tutto l’episodio il costruttore di navi è assente e immerso nei suoi pensieri. Torna ad essere il caro vecchio Floki grazie ad una battuta tanto cinica da strappare una risata:
I’ve been told your god is a carpenter… and guess what? So am I.
Questo intermezzo semi-comico serve ad alleggerire una delle scene più forti a livello scenografico di Vikings, che di nuovo si ripete: la famigerata Aquila di Sangue. Re Aelle viene trascinato nel luogo dove è avvenuta l’esecuzione di Ragnar, e quindi inchiodato e torturato con la più tradizionale delle torture vichinghe, che abbiamo già visto in passato. Issato e crocifisso, un martire delle sue stesse colpe, nel più macabro rituale della cultura norrena.
Mancano due puntate alla fine di questa intensa stagione di Vikings, che ha attraversato cronologicamente un lungo lasso di tempo, a volte confondendoci sul reale tempismo degli avvenimenti. Alcune lacune da colmare, e una direzione da prendere per la prossima stagione alle porte, che oltre ad Ivar non sembra ancora in grado di offrire eroi del calibro di Ragnar Lothbrok. Ma c’è ancora tempo.
Il dialogo tra Ecbert e Aethelwulf mi ricorda quelli tra Odino e Loki in #Thor e tra Marco Aurelio e Commodo nel Gladiatore💔 #Vikings
— Ennibol☀️🎃 (@xjokerscars) January 19, 2017
https://twitter.com/silversflint/status/822177240213504003
I piccoli cinghiali grugniranno quando sapranno quanto ha sofferto il vecchio cinghiale #Vikings sta 4stagione💦💦💦
— Wang (@UomoGiallo_) January 19, 2017