True Detective2×07 Black Maps and Motel Rooms

True Detective capitolo sette, ovvero dell’Incomprensibilità. Nell’ordine, andando a memoria, ci ricordiamo: Caspere. Il corridoio ferroviario. Il killer con la testa d’uccello. Osip. La mafia russa. Le comuni hippie. La clinica estetica. Le prostitute. I poliziotti corrotti. I festini. Chessani. I diamanti blu. I riot del ’92. I rifiuti tossici. Il gioco d’azzardo. Basta? Lo […]

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True Detective capitolo sette, ovvero dell’Incomprensibilità. Nell’ordine, andando a memoria, ci ricordiamo: Caspere. Il corridoio ferroviario. Il killer con la testa d’uccello. Osip. La mafia russa. Le comuni hippie. La clinica estetica. Le prostitute. I poliziotti corrotti. I festini. Chessani. I diamanti blu. I riot del ’92. I rifiuti tossici. Il gioco d’azzardo. Basta?
Lo sappiamo, è anche troppo. Sono una valanga di piste, piani narrativi, filoni d’indagine. Sarebbe bastato molto meno. Il fatto è che di sicuro abbiamo dimenticato un’altra decina di elementi. Tutti compaiono all’improvviso e vengono trattati come se fossero il centro assoluto della scena. Personaggi apparsi di sfuggita tre – quattro episodi prima e menzionati come se fino a quel momento non avessimo visto altro.
Nel settimo episodio True Detective abbandona il registro citazionista (c’è solo un riferimento leggero a Psycho, nell’inquadratura iniziale del Molera Motel, dove i nostri eroi si sono rifugiati, e che viene richiamata anche nel titolo dell’episodio, poi più nulla). Ci si tuffa nell’azione, e in un tentativo di dare un senso alle decine di indizi e misteri sparsi qua e là. Non risulterà riuscitissimo, ma apprezziamo l’impegno.
Pizzolatto è riuscito a confonderci le idee a tal punto che non ricordiamo più cosa stiamo cercando: l’assassino di Caspere, forse. O magari gli speculatori che tentano di accaparrarsi il corridoio ferroviario a colpi di ricatti e di omicidi. O forse i ladri dei diamanti blu, che sono comparsi a un certo punto nella storia e non riusciamo più neanche a ricordare quale legame abbiano con il resto dei misteri. Forse tutti e tre, o forse nessuno di questi è l’interrogativo a cui dobbiamo dare risposta. Nel settimo episodio un nuovo quesito si somma ai tanti che ci trasciniamo dalle puntate precedenti: la detective Davis, che ha commissionato a Velcoro, Bezzerides e Woodrugh l’indagine parallela, viene trovata cadavere. È Ray a scoprirla, e si guarda bene dal denunciarne il ritrovamento. Aggiungiamo questo ulteriore punto oscuro alla lunga lista, e andiamo avanti.


È che dopo tanto sacrificio dobbiamo cedere a una tentazione che avevamo scacciato con tutte le nostre forze. Dobbiamo arrenderci all’evidenza, non possiamo più fare finta di niente. Parecchie volte ci siamo detti che il tono così impostato e pieno di sè dei personaggi non solo suonava stonato, ma in alcune circostanze diventava perfino comico. Adesso dobbiamo riconoscere che Pizzolatto, nel suo sforzo costante di essere sempre sopra le righe, finisce a volte per risultare ridicolo.
Nel settimo episodio abbiamo contato: Frank Semyon che uccide un suo scagnozzo sulla moquette dell’ufficio, e poi ci tiene ad accogliere sua moglie perché veda (il tutto viene suggellato da un bacio sulla fronte all’amata consorte. Come dire: la diligenza del buon padre di famiglia); Paul Woodrugh che, accerchiato da cinque delinquenti che gli puntano contro dei fucili, riesce a colpire il loro capo, sfilare la pistola a quest’ultimo e puntargliela alla tempia, in modo da guadagnarsi una via di fuga sotterranea (nemmeno nei film d’azione di quart’ordine si concede tanta grazia al protagonista); Velcoro e Bezzerides, che nel momento di massimo accerchiamento, disorientamento e paura della loro parabola, non trovano di meglio che mettersi a limonare come due quindicenni (mandando all’aria in un colpo solo l’elaborata costruzione delle loro paranoie, violenze e ambiguità).


Il credito di fiducia che abbiamo concesso a True Detective si sta esaurendo. La fine è sempre più vicina, il ricordo di McConaughey sempre più sfuocato. Non bastano più la splendida fotografia e i riferimenti colti per spingerci ad ingoiare qualsiasi boccone, nè il colpo di scena in cui uno dei nostri eroi viene steso a colpi di arma da fuoco (anche stavolta dobbiamo aspettarci una resurrezione?). Nel lento naufragare delle speranze che abbiamo nutrito verso questa serie, salviamo solo l’ultraviolenza della prima parte di puntata. La spietatezza di Frank Semyon nel compiere un omicidio quasi a mani nude, e la crudezza con cui ci vengono mostrati gli omicidi a sangue freddo, sono degne di una lunga tradizione splatter.
In più, l’ombra di un’associazione di sbirri corrotti, che si allunga sinistra sul finale della serie, sparge nell’aria profumo di James Ellroy. Non poteva essere altrimenti. Se vuoi scrivere un noir citazionista ambientato nel cuore della California, puoi fare a meno di rendere omaggio al maestro del genere?


Finale come sempre dedicato alle frasi celebri. La puntata è stata talmente triste che ci siamo appuntati solo un paio di battute, nemmeno memorabili. Le riportiamo per dovere di cronaca:

I’m just trying to be a good man (Paul Woodrugh)

Me, I always saw a difference between a whore and a pimp. A whore can still have integrity. (Frank Semyon).

Porcamiseria 2 su 5: il palazzo sta bruciando, e con il passare degli episodi si stanno esaurendo gli strumenti per domare l’incendio. Il finale di stagione è vicino, l’architettura della storia è ormai fuori controllo. Nic non sembra avere più armi per rimettere in carreggiata la baracca. Il voto è di conseguenza basso, per la storia sempre meno comprensibile, e per i momenti di comicità involontaria in cui cadono i personaggi. Si salvano soltanto le citazioni di James Ellroy e le scene di ultraviolenza dell’inizio.

2

 

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