Una delle chiavi vincenti della scrittura di This Is Us è evitare di concentrarsi troppo sui personaggi principali: oltre a trattarne con più o meno intensità nel trascorrere della serie, la sceneggiatura inserisce sapientemente personaggi satelliti nella storia, a volte semplicemente per un episodio, più spesso facendoli ritornare più volte, arricchendo il racconto di splendide sfumature narrative.
Il legame che unisce i personaggi e i momenti temporali di questo episodio è l’aula di un tribunale, dove la famiglia “allargata” dei Pearson si trova a dover fare i conti con i giudici che vi presiedono. Diciamo allargata perché la puntata inizia da William, quello che è “The Most Disappointed Man“, mentre deve comparire a giudizio per possesso di sostanze stupefacenti. Affranto dalla perdita della madre, della compagnia, e soprattutto dell’abbandono del figlio, William fa uso di droga, arrivando persino a sfidare il giudice affermando che, nella sua situazione, ne userebbe anche lui. Il giudice Crowder (interpretato dall’attore bianco Sam Anderson) affronta William in separata sede, cercando di convincerlo a restare sulla retta via, in seguito alle parole dell’uomo sconfitto dal dolore. Ron Chephas Jones conferma di essere un grandissimo attore, e noi siamo contenti di continuare a rivederlo interpretare un personaggio così delicato come William, nonostante sia morto.
Curiosamente, in un’altra aula del tribunale, Jack e Rebecca stanno cercando di ottenere le carte per la completa adozione del piccolo Randall: se l’assistente sociale ha redatto una relazione impeccabile, un altro giudice (Delroy Lindo) si oppone alla famiglia di bianchi che vuole crescere un bambino nero. In una situazione di quasi discriminazione razziale “al contrario”, il giudice Bradley non reputa che un bambino di colore possa essere cresciuto nel migliore dei modi da una famiglia bianca, perché non potrebbe filtrare e preparare al razzismo che egli stesso ha subito fin dalla più tenera età. L’ostinazione di Rebecca però fa in modo di istillare il dubbio nella mente del giudice, che abbandona il caso, e che verrà così trattato da una collega molto più “moderna” di lui.
Il tema della discriminazione è sempre presente, e qui ci viene proposto come chiave di interpretazione per la seconda parte dell’episodio, dove l’intreccio è complesso ma così molto più comprensibile. L’idea di fare qualcosa di buono è il vero intento dei due giudici, che si conoscono, e che sono costretti ad applicare la legge, ma non senza filtrarla attraverso il proprio giudizio umano prima che giuridico. Ha fatto bene il giudice Crowder a concedere la libertà a William, pregandolo di ricordare il suo viso nei momenti di debolezza morale? E il giudice Bradley, nel lasciare alla famiglia bianca la responsabilità di crescere un bambino di colore? Non lo sanno. Però è questa la loro speranza e preoccupazione: essere riusciti a rendere il mondo un posto migliore attraverso l’uso della legge.
L’avventura di Randall e Deja invece avviene invece tra le mura del carcere femminile dove è rinchiusa la madre dell’adolescente. Il desiderio di Deja viene però spezzato dal rifiuto della madre di rivederla, mandando su tutte le furie Randall e soprattutto Beth, che si oppone ad ulteriori visite. La verità come al solito è un’altra: Shauna semplicemente non voleva farsi vedere dalla figlia con la faccia mezza gonfia di botte, e nonostante sia dietro le sbarre, è comunque determinata a riprendersi Deja una volta uscita di galera. Di nuovo è evidente come il destino abbia influito sul percorso di Randall e di Shauna, ricollegandosi alle scelte passate di entrambi, ma anche a quelle di William: salvato dallo stesso Randall, arrivato a bussare alla sua porta pochi istanti prima del probabile tentativo di overdose.
Il segmento narrativo degli altri due gemelli prosegue soprattutto nel legame con i loro rispettivi partner, arrivando a intrecciarsi con un lampante paragone. Da un lato abbiamo Toby e Kate, che si sono conosciuti da relativamente poco ma che presto si sposeranno e avranno (speriamo senza problemi) un figlio, e dall’altro Kevin, che si sta abbandonando alla depressione e all’abuso di alcol e antidolorifici, rischiando di danneggiare lo storico ma burrascoso rapporto con Sophie.
Il segmento di Kate è molto tenero ed emozionante: Toby non vuole rivelare alla madre cattolica di aspettare un figlio fuori dal sacro vincolo del matrimonio e Kate decide quindi di sposarsi davanti a un giudice al più presto. Toby capisce però che il comportamento della futura sposa è quello della fuga, nonostante ami le cerimonie e i matrimoni, e “parlando con Jack” decide di fare quattro chiacchiere con la madre, risolvendosi in una scena facilmente emozionante.
Kevin invece continua la sua discesa negli inferi e l’autoconvinzione di non essere una brava persona, non come Toby, ma oggettivamente uno stronzo che farebbe solo soffrire ancora e ancora Sophie. Il paragone karmico con l’alcolismo del padre Jack e del nonno sono palesi, ma con motivazioni differenti: Kevin è in un momento della vita in cui ha tutto, eppure non riesce ad accontentarsi. La previsione è che presto finirà in una clinica per disintossicarsi, percorso già visto con Kate con il pessimo Fat Camp.
This Is Us ci insegna con questo episodio che giudicare gli altri è spesso semplice, se non si hanno delle ricadute morali: i due giudici sono realmente preoccupati di come gestiscono la vita delle persone, col fine ultimo di fare del bene. E noi, quando commentiamo la condotta di qualcuno, cosa ne ricaviamo? Quando giudichiamo e basta, senza agire, senza trovare una soluzione, pensiamo alle cause e le conseguenze che hanno portato una persona a compiere quelle azioni? Il passato quindi si ricongiunge più con la storia di Randall che con quella degli altri due gemelli, emozionando ma scindendo sempre un po’ troppo la narrazione.
Porcamiseria
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