The Walking Dead7×14 The Other Side

The Walking Dead non è più una serie TV, ma un balletto che, puntata dopo puntata, a furia di passi avanti e passi indietro, disorienta lo spettatore in quello che pare essere un vago girotondo, piuttosto che una coreografia ben studiata. Con The Other Side, i passi indietro sono tanti e impacciati.

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The Other Side arriva nel preciso momento in cui le danze di The Walking Dead sembravano decollare, ossia dopo una puntata come Bury Me Here, che pareva finalmente indirizzare il valzer verso la resa dei conti con Negan o almeno verso una ritrovata sensibilità nei riguardi delle turbe psicologiche dei propri personaggi (vedi Morgan). Invece, non è stato così, perché dall’altro lato della pista da ballo il DJ, dopo aver ubriacato la folla a suon di cassa dritta e fragorosi bassi, ha deciso di interrompere bruscamente l’ancheggiamento suonando un lento, noioso e inaspettato stile anni ’60.

7x14 the walking dead the other side serial freaks

Dopo aver visto l’episodio, sorgono spontanee due domande: era necessario tirarla così lunga sul rapporto tra Sasha e Rosita? Ma soprattutto, era necessario, per un’altra intera puntata, non far succedere nulla di serio coi Saviors? Ovviamente sono domande retoriche che, come per la serie, servono solo ad allungare l’articolo. Il punto è che si sta creando uno scompenso enorme tra il gioco di tension and release del racconto, dove quest’ultima ormai ha totalmente preso il sopravvento.

Nell’episodio stesso, i momenti di suspense sono stati quasi assenti. Il «quasi» si riferisce all’unica scena saporita, in cui Daryl e Maggie si nascondevano nel ripostiglio mentre un Salvatore s’aggirava fra le provviste a un tiro di schioppo da loro. Per il resto, l’imprevedibilità ha voluto giocare tutto sul tentativo di uccidere Negan da parte di Rosita e Sasha, anch’esso tuttavia dissoltosi sia nel melenso dialogo tra le due (intente a commemorare Abraham per l’ennesima, estenuante volta), sia nell’improbabilità che il cattivo della serie potesse veramente essere ammazzato con un cecchino da un personaggio minore.

Qual è il grave difetto di uno storytelling completamente costruito sul gioco di tensione-rilascio e appiattito tutto sul secondo stato? Che l’esplosione finale (che ovviamente ci sarà) non provocherà alcuna reazione. A meno che, ovviamente, non decideranno di uccidere uno dei super-protagonisti della serie. Cosa che oltre a essere un meschino colpo basso, confermerebbe la prognosi narrativa della serie: mancanza di una costruzione graduale ed equilibrata, sostituita da occasionali colpi di scena e/o cliffhanger.   

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Ricordate come vi eravate sentiti dopo la prima puntata di questa stagione? Avreste voluto tuffarvi nel televisore e rivoltare il simpatico Negan come un calzino. Avreste voluto prendere Lucille e vendicarvi della morte di Glenn spaccandogliela in testa. Ma adesso? Ora ve lo ricordate voi Negan? Sentite lo stesso slancio vendicativo come nella prima parte di stagione? Probabilmente no.

La quasi totale latitanza di Negan è la causa principale dell’assenza di mordente di questa seconda metà di stagione, e il vittimismo dei personaggi ha raggiunto e superato le accettabili soglie di sopportazione del piagnisteo, tanto che per la prima volta in The Walking Dead, il cattivo finisce con lo stare enormemente più simpatico dei protagonisti. Questo tuttavia non accade perché la sceneggiatura mi vuole guidare verso una mirata empatia nei suoi confronti, ma al contrario, per un atto di ribellione di fronte all’esasperante mollezza degli altri personaggi.

Ora che Sasha è dentro, ora che Morgan si è riconvertito all’omicidio, ora che Ezekiel ha deciso di scendere in guerra e che Carol è rinsavita, mancano ancora tre elementi all’appello: lo scontro tra Alexandria e Oceania per le armi, la decisione di Jadis di combattere al fianco di Rick e l’apparizione di quell’ombra finale che dovrebbe essere Dwight, personaggio che più di tutti potrebbe cambiare le sorti della battaglia. Sembrano poche cose, ma in realtà sono complicati intrecci narrativi che ancora devono risolversi e che rischiano di essere spicciati in troppo poco tempo. L’ultima domanda è quindi: due puntate basteranno per far sì che questa seconda metà di stagione non sia completamente da dimenticare?

Si ha la netta impressione che gli artificieri abbiano piazzato due splendidi, luminosi e folgoranti fuochi d’artificio, uno all’inizio e uno, presumibilmente, alla fine dello spettacolo, dimenticandosi però di dare uno spessore a tutto quello che correva in mezzo. Questa del resto è una delle tecniche più becere di storytelling esistenti. Infatti, siccome il pubblico, secondo raffinate teorie di psico-marketing, ricorda soprattutto l’inizio e la fine di un racconto, il messaggio principale va messo agli estremi del testo.

Quando alla narrativa si sostituisce il marketing, forse vuol dire che il salto dello squalo è ormai realtà e che noi spettatori affezionati, come Richard, dovremmo pensare seriamente di scavarci la fossa per spedire un messaggio disperato alla produzione: bury me here

Rendersi conto alla fine dell’articolo di aver scritto molto in generale sulla serie e poco in particolare di un episodio, di solito porta a buttare via la bozza e riscrivere tutto da capo. Questa volta è diverso, perché anche con tutto l’impegno non si troverebbe nulla da dire su una puntata che, a causa della sua inutilità e bruttezza, si becca 2 scarsi Porca Miseria su 5.

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