The Walking Dead8×13 Do Not Send Us Astray – 8×14 Still Gotta Mean Something

Mentre la stagione si appresta a finire The Walking Dead prova a tirare le somme risollevando parzialmente il bassissimo livello dell’esordio stagionale. Rick e Negan non sono mai stati così vicini.

6.7

Continua la guerra infinita tra Saviors e resto del mondo libero, con Hilltop messa in ginocchio dal sovvertimento di regole non scritte e i leader di entrambe le fazioni in difficoltà per colpa del conflitto continuo.

Do Not Send Us Astray

Al seguito della leadership di Simon, i Salvatori attaccano Hilltop e i suoi abitanti con le armi infette, riuscendo a ferire diversi avversari ma comunque costretti a ritirarsi per via della strenua resistenza di Rick, Maggie e il loro gruppo. Nella notte i feriti si trasformano in erranti e creano scompiglio nella tenuta, causando altri morti e indirettamente la fuga dei saviors ostaggi, nonché la scomparsa di Henry.

Un episodio vecchio stampo, circoscritto interamente tra le mura di Hilltop e giocato (finalmente) sull’ansia derivante da una situazione da survival horror. Certo, i piani di entrambe le fazioni al momento dell’attacco lasciano abbondanti dubbi sulla plausibilità, considerando l’altissimo rischio di rimanerci secchi tra tutt’e due gli schieramenti: quello che avanza in maniera idiota senza protezione e al buio verso la villa e quello che, pur al sicuro, si spinge in un corpo a corpo che porta alle conseguenze di cui sopra. Lasciare poi le porte aperte, anche se giustificate dal calore stagionale, non è stata per niente una grande idea, a prescindere dall’attacco che ne è seguito.

Eppure questa mancanza di logica è, come non succedeva da tempo, funzionale alla trama e gioca, nonostante il lieve fastidio legato alla superficialità della scrittura, a favore dell’atmosfera tesa intessuta dagli eventi. Stonano in maniera significativa alcuni elementi: il primo legato all’ennesima riproposizione del tema dei fantasmi e delle allucinazioni da senso di colpa che stavolta colpisce Morgan, la cui sanità mentale è sempre stata a un passo dall’affermare di essere Napoleone. L’uomo, ancora vessato dall’omicidio di Gavin attuato da Henry in sua vece, entra nel circolo vizioso delle visioni misteriose, che avranno spiegazione solamente nell’episodio successivo.

A Morgan e alle sue visioni è connesso il secondo punto debole dell’episodio (e della serie in generale), che risiede nella trita rappresentazione dell’odioso ragazzino intento a farsi giustizia da sé, riproponendo uno schema utilizzato praticamente in ogni stagione di The Walking Dead: accecato dal dolore e dalla rabbia un ragazzo perde la ragione, non ascolta più nessuno e fa un casino. Il tutto di solito con una caratterizzazione che piuttosto che camuffare questo tipo di meccanismo spinge invece all’opposto, fino a rendere prevedibile ogni azione del personaggio. Non sappiamo che problemi abbiano gli autori con i ragazzini, ma farebbero bene a risolverli prima di farci odiare qualche nuovo adolescente in futuro.

Dwight continua a giocare il ruolo ambiguo di doppiogiochista, gettando fumo sugli occhi dell’una e dell’altra parte, illudendo al contempo Tara (sarà stata infettata anche lei?) e Simon. Rick intanto allontana inizialmente Michonne, che non sposa questa sua deriva violenta, totalmente opposta rispetto alle richieste del figlio morto. Vendetta che ha accecato anche Maggie, venerata come leader capace dagli abitanti di Hilltop, ma consapevole dell’alto costo umano che le sue responsabilità comportano.

Still Gotta Mean Something

Mentre Hilltop si riprende dall’attacco dei Saviors, Morgan e Carol si mettono alla ricerca di Henry. Rick e Michonne intanto discutono sul fatto che il primo non abbia ancora accettato la morte del figlio, tanto da non avere neanche letto la lettera indirizzata a lui. Per evitare il discorso lo sceriffo si mette alla ricerca degli ostaggi fuggiti, incappando insieme a Morgan in un’imboscata degli stessi. Costretti da un attacco improvviso degli zombie, i Salvatori si fidano della parola di Rick che promette di aiutarli e riportarli a Hilltop. E fanno male. Una volta liberi i due fanno fuori indiscriminatamente erranti e saviors, con un Morgan particolarmente sadico che lascia morire Jared.

Alla discarica intanto avviene un confronto tra Negan e Jadis, con quest’ultima intenzionata a togliere di mezzo il capo dei Salvatori. Alla fine, sopraffatta dal dolore e manipolata da Negan, la donna libera il nemico a patto di essere lasciata in pace. Carol, contro tutti i pronostici, riporta a casa sano e salvo Henry, riappacificandosi con quanto avvenuto similmente (ma con una conclusione differente) per sua figlia nella seconda stagione.

The Walking Dead piazza un inaspettato episodio fortemente polarizzato, in cui a scontrarsi e confrontarsi sono quasi sempre due personaggi, ogni volta differenti. Questo manicheismo, declinato secondo situazioni diverse, genera comunque una discreta armonia e coerenza interna, per cui al dialogo/rapporto tra Carol e Morgan segue quello tra la prima ed Henry (e con Ezekiel sia prima che dopo) e tra il secondo e Rick (che a sua volta dovrà confrontarsi nuovamente con Michonne).

Alcuni dialoghi incappano nel solito immancabile difetto dell’analisi superficiale o del già sentito: in particolare Morgan e Carol non fanno altro che parlare delle stesse cose da almeno due stagioni, a volte a parti invertite. Più interessante il confronto tra Rick e Michonne e tra Jadis e Negan, che rivela nel secondo caso una profondità inedita nel personaggio di Jeffrey Dean Morgan che cammina parallelamente e in senso inverso rispetto alla caratterizzazione attuale dello sceriffo, seguendo una coerenza orizzontale della stagione che vede opposti i due leader: Negan sempre più umanizzato e Rick al contrario più violento, il primo impegnato a rispettare la parola data a Jadis, l’altro indifferente alla propria promessa fatta ai salvatori.

Gli altri importanti protagonisti dell’episodio sono i figli persi: Morgan, Rick, Carol e Michonne dipingono un quadro di reazioni diversificato, che passa da una lucida follia a una catarsi lunga e sofferta. Finalmente tutte le lungaggini di questa stagione sembrano acquisire un senso e una coerenza, un’attesa che è costata in termini di ascolti e di qualità: la solidità della struttura interna, infatti, non è comunque sinonimo di un buon percorso e ridimensiona solo in parte la gran mole di difetti che questa stagione/serie ancora manifesta.

Porcamiseria
  • 6.5/10
    Storia - 6.5/10
  • 6/10
    Tecnica - 6/10
  • 7.5/10
    Emozione - 7.5/10
6.7/10

In breve

Una coppia di episodi che solidifica la struttura interna della stagione dandole coerenza e forza, ma non risollevando di troppo il livello qualitativo, ancorato a dinamiche ripetitive e superficiali.

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Porcamiseria

6.7

Una coppia di episodi che solidifica la struttura interna della stagione dandole coerenza e forza, ma non risollevando di troppo il livello qualitativo, ancorato a dinamiche ripetitive e superficiali.

Storia 6.5 Tecnica 6 Emozione 7.5
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