The Walking Dead7×13 Bury Me Here

Tempo di cambiamenti per Carol e Morgan, che si trovano nuovamente in posizioni diametralmente opposte. Nonostante gli eventi di grande portata per l'economia della stagione, l'episodio fatica a ingranare a causa di una certa lentezza di fondo e di alcuni espedienti narrativi un po' forzati.

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Ormai giunta quasi al suo punto di arrivo, la settima stagione di The Walking Dead verrà ricordata, a discapito dei grandi sconvolgimenti promessi con l’arrivo di Negan, come la stagione dell’immobilismo più totale, in cui puntata dopo puntata gli eventi sembrano susseguirsi senza portare da nessuna parte, come una giostra che gira in tondo ritornando inevitabilmente al punto di partenza.

Il nuovo ciclo di episodi rimarrà impresso, nostro malgrado, per le evoluzioni repentine e frettolose dei personaggi; quando si parla di evoluzioni incoerenti nel character development è inevitabile pensare alla figura di Carol, che quantomeno ha il pregio di aver ritrovato un ruolo centrale in questo episodio quale motore degli eventi che porteranno alla morte del giovanissimo Benjamin.
È un vero peccato, tuttavia, che la spinta propulsiva di questa annata di The Walking Dead, l’evento scatenante che finalmente rimescola le carte in tavola preannunciando grandi eventi, sia ancora una volta affidata a un improvviso moto di coscienza totalmente out of character o insensato di uno dei personaggi. O più di uno, come in questo caso.

The walking Dead 7x13 bury me here recensione

Purtroppo, sono le stesse premesse che scatenano gli eventi centrali dell’episodio a non stare in piedi, in primis la logica alla base del piano di Richard per conquistare la fiducia totale e incondizionata dei Savior che fatica a trovare una propria connotazione logica. Kingdom non aveva alcun problema in tal senso con i Savior, le due comunità non avevano alcuna questione in sospeso (a differenza, ad esempio, di quanto accaduto con Hilltop), e questo rende la complicatissima messinscena dell’uomo totalmente insensata. Si scoprirà più tardi che l’uomo aveva gia deciso di morire in nome di un ideale più grande, arrivando a indicare a Morgan il luogo della propria sepoltura (da qui il titolo dell’episodio), tuttavia rimane una delusione di fondo derivante dall’utilizzo di un espediente narrativo debole e introdotto con l’unico fine di far proseguire la trama in una specifica direzione. Non basta un semplice monologo sulla perdita dei propri cari (situazione ormai trita e ritrita in The Walking Dead) per farci affezionare al suo personaggio; ad ogni modo, è doveroso rendere merito a Richard per aver avviato, con le sue azioni, uno dei pochissimi plot twist di questa stagione di The Walking Dead.

L’intero episodio ha infatti come fine ultimo il ritorno di Carol all’ovile, ed è diviso in tre segmenti linearmente distinti tra loro: la consegna della merce (incompleta) ai Savior, il confronto fra Morgan e Richard che porterà alla morte del povero Benjamin, e da ultimo la ritrovata consapevolezza di Carol e Morgan.
I due personaggi agiscono, come da prassi, in modo totalmente speculare. Nel corso dell’ultima stagione abbiamo visto Carol allontanarsi dal gruppo e abbracciare la strada della solitudine e della non-violenza, e dall’altro lato abbiamo assistito alla progressiva integrazione del lupo solitario Morgan nella pacifica Kingdom, in una sorta di reciproca appropriazione dei “ruoli” nell’universo di The Walking Dead.

In questo episodio, questi topos si invertono nuovamente e le loro strade sembrano inevitabilmente destinate a rimanere separate.

Carol sa, dal canto suo, di aver causato la morte del ragazzo con il suo comportamento duro e inflessibile, quantomeno indirettamente; Benjamin si era infatti offerto, all’inizio dell’episodio, di riaccompagnarla a casa saltando il giro di consegne per i Saviors. La cosa non sembra, tuttavia, turbare particolarmente la donna, il cui vero momento di realizzazione giunge solo quando viene a sapere delle vittime di Negan, e del fatto che l’intera Alexandria è assoggettata al suo gruppo. Come già avvenuto in occasione della sua decisione di abbandonare Rick e compagni (quella volta quantomeno giustificata dagli atti efferati di cui si era resa protagonista), la decisione di ritornare ad aiutare i propri amici dopo mesi di noncuranza totale è quanto mai avventata e illogica.

Il cambiamento di Morgan è, di contro, decisamente più motivato e radicale. La morte di Benjamin – suo allievo e nuovo punto di riferimento affettivo – ha scosso profondamente l’uomo, scatenando in lui i ricordi del figlio Duane e provocando una reazione violenta e improvvisa nei confronti di Richard. Sembrerebbe che il “vecchio” Morgan sia tornato, e questo rappresenta indubbiamente un punto di svolta positivo nell’evoluzione del personaggio che da almeno una ventina di episodi pativa una certa monotematicità.

La cosa che spiace maggiormente in un telefilm che potenzialmente potrebbe esplorare l’animo umano in modo pertinente – come spesso è accaduto – è vedere come gli episodi siano quasi totalmente monografici, dedicandosi a pochi personaggi alla volta e perdendo quindi in ritmo e mordente ogniqualvolta ci si allontana dal gruppo principale.

E poco importa se, alla fine, in questo episodio qualcosa è successo – e si tratta di qualcosa di potenzialmente enorme come il ritorno di Carol dopo mesi di isolamento e di solitudine – perché le situazioni e gli eventi che coinvolgono i personaggi sono ormai talmente diluiti da impedire allo spettatore di apprezzare appieno quanto di buono è effettivamente presente nella produzione. L’intero episodio, prima di arrivare al suo climax, è un gioco di sguardi, di silenzi, di detto/non detto, di monologhi insensati di personaggi appena abbozzati che vorrebbero apparire intimisti o profondi ma che finiscono col risultare noiosi e pretenziosi. Il finale quasi totalmente anticlimatico – con Carol che si china a fianco di Ezekiel nel giardino reale e Morgan che spunta il suo bastone con l’evidente intento di usarlo per la sua nuova ondata omicida – non aiuta a risollevare le sorti di un episodio che sarebbe potuto anche essere buono, se solo fosse durato venti minuti in meno.

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