The Handmaid’s Tale2×13 The Word

Season Finale Un finale ricco di eventi ed emozioni per una stagione che, in certi momenti, ha rischiato di diluire troppo entrambi. E ora attendere la terza sarà estremamente difficile.

8.8

Dopo una stagione importante ma incartatasi in più occasioni nel continuo ritorno allo status quo, il finale di The Handmaid’s Tale doveva per forza di cose smuovere a dovere le acque e, nel contempo, lasciare lo spettatore in attesa della terza, già annunciata da tempo: The Word sicuramente sfrutta i suoi sessanta minuti per fare scatenare una gran quantità di eventi, cambiare – probabilmente – alcune premesse e, ne siamo certi, far storcere la bocca a diversi spettatori.

Il tragico epilogo della breve vita di Eden rappresenta le fondamenta dell’intero episodio, come la fatidica goccia necessaria allo straripamento di una vasca, piuttosto che di un banale vaso. Se per June ogni nuova scoperta è un’ulteriore conferma dell’inferno che già conosce, per Serena sono continue picconate contro quell’illusione sempre più fragile e poco credibile: quando Offred le mostra la Bibbia con gli appunti di Eden – in piena violazione della legge di Gilead – la sua maschera la porta ad affermare con certezza che potrà proteggere Nicole dal rischio di una fine simile, ma il tarlo del dubbio o, meglio, la consapevolezza della menzogna sono ormai realtà e l’amore per la figlia tanto desiderata fa il resto.

Per quale motivo gli autoproclamati leader dovrebbero fare concessioni a chi è in loro potere senza possibilità di reazione?

L’idea di una ribellione delle mogli era di per sé affascinante, ma il passare attraverso i canali ufficiali, il porsi di fronte al consiglio dei comandanti, si rivela una scelta drammaticamente ingenua: convinta ancora di avere un qualche ruolo – ricordiamo che Serena è stata ideologa e volto del colpo di stato – la signora Waterford sopravvaluta la propria influenza e, peggio ancora, sottovaluta l’attaccamento al potere di un’oligarchia maschilista fondata sulla sopraffazione. Per quale motivo gli autoproclamati leader dovrebbero fare concessioni a chi è in loro potere senza possibilità di reazione? In nome di quale giustizia, se sono loro a decidere cosa è legge e cosa no? Serena si illude – di nuovo quella parola – che il Verbo, per quanto disgustosamente piegato, possa ancora essere spinta sufficiente per gli uomini che ha di fronte e in quel modo il suo dramma si consuma definitivamente. La perdita di un dito – volutamente tempestiva la scena di Postpartum che ci ricorda la pena per certe violazioni – coincide con l’arrivo della consapevolezza, tante volte schivata: se non è in grado di difendere se stessa, come potrà mai proteggere sua figlia?

Da sottolineare, di nuovo, l’eccellente interpretazione di Yvonne Strahovski che, nell’episodio e nella stagione, ha donato al proprio personaggio una tridimensionalità eccellente: per quanto sia quasi sempre un’antagonista, ci sono molti momenti in cui siamo portati a empatizzare con lei e questo denota un lavoro straordinario di scrittura e di interpretazione.

A tal riguardo è necessario parlare di Fred, che mai come in questo episodio – e le occasioni non sono certo mancate – mostra apertamente la sua vera natura. Già l’incontro col padre di Eden anticipa l’ignobiltà di cui il comandante è capace: mentre Serena – di certo non un esempio di empatia – cerca in qualche modo di consolare l’uomo, Waterford lo biasima, lo umilia, si lamenta della vergogna portata in casa sua e lo elogia solo nel momento in cui scopre che è stato lui stesso a consegnare la figlia alle autorità, informazione che contemporaneamente provoca orrore in June, in Serena stessa e nello spettatore.

Waterford, ottenuto il potere, ha rivelato la sua vera natura

Questo comportamento, però, è solo un’anticipazione di ciò che verrà e, dietro la maschera parzialmente accondiscendente e in parte piegata in una falsa apprensione, è di certo sua la spinta definitiva che porta alla punizione di Serena: non semplicemente per mancato intervento, è importante sottolinearlo, bensì per volontaria intenzione di rimettere in riga la donna colpevole di averlo umiliato davanti al consiglio e, non va dimenticato, di aver svolto il suo lavoro meglio di lui, rivelandone la sua completa inutilità.

Se prima poteva, per Serena, esserci ancora la convinzione che quello fosse l’uomo che aveva sposato, ora ogni dubbio è dissolto: Waterford, una volta ottenuto il potere, ha rivelato la sua vera natura e la presenza di una donna forte e dotata di raziocinio al suo fianco non fa che ricordargli la sua inadeguatezza. Un’inadeguatezza che il buon Fred cerca di scongiurare con quella che dovrebbe essere la persona a lui più sottomessa, una banale ancella, finendo per cercare di importunare June poco dopo l’amputazione del dito di Serena mentre prepara il the alla moglie, in una delle scene emotivamente più disgustose della stagione (e ricordiamoci quante ce ne sono state): pronto a piegare le regole per tenersi il proprio giocattolo sessuale sottomesso, ma non per salvare la moglie da un’aberrante punizione.

Beh, le regole possono essere piegate, soprattutto da un comandante di alto grado. Potresti rimanere qui con tua figlia. Potremmo provare… ad avere un maschio, questa volta. Potrebbe essere divertente.

Mai la parola “divertente” ebbe sapore peggiore e ci si ricordi che Fred sa di non essere il padre di Nicole e di essere probabilmente sterile: la sua proposta, non fosse abbastanza chiaro, ha il solo scopo di poter continuare a soddisfare i propri istinti tenendosi una bambola in carne e ossa in casa. Magra soddisfazione è vederlo ridotto al silenzio da una pistola puntata: solo un colpo di quella pistola avrebbe saziato la nostra sete di giustizia.

Eppure anche in questo orrore qualche forma di umanità esiste ancora, a partire dal comandante Lawrence che, ora possiamo dirlo, si rivela essere ciò che speravamo: la prima brava persona di potere finora apparsa in Gilead; l’impressione che avevamo avuto, quella di un uomo pentito della sua stessa creazione, si esprime non solo nelle azioni nel finale dell’episodio, ma anche nella sua scelta di non dar luogo alla cerimonia: anzi, nel suo non considerare neanche la possibilità di metterla in pratica. Un outsider nella sua stessa creazione, circondato da musica e retaggi del passato, che speriamo di incrociare ancora nella terza stagione e, soprattutto, di non vederlo pagare troppo per le sue azioni. Nel frattempo siamo felici di non dover annoverare tra i personaggi negativi qualcuno col volto di Bradley Whitford.

L’interpretazione di Alexis Bledel è in grado di trasmettere senza parole l’intera gamma di emozioni del suo personaggio

Del ruolo positivo di Lawrence la prima beneficiaria è Emily, che in qualunque altra situazione avrebbe velocemente pagato con la vita per le sue azioni. Il suo attacco a Zia Lydia, che ha donato allo spettatore quel brivido di vendetta agognato da due stagioni, imprevedibile come un vero raptus, segna un punto di non ritorno che termina positivamente per la donna solo grazie al comandante redento. Il momento della resa dei conti tra l’ancella e la Zia arriva come un fulmine a ciel sereno: tanto abituata ad avere il controllo psicologico delle sue ragazze, Lydia sottovaluta la pericolosità della donna davanti a lei al punto da provocarla con una frase crudele e cinica pronunciata con una tale leggerezza da non potere non far scatenare l’odio di Emily.

Come se ti avessi tagliato la lingua [invece del clitoride – NdA]

Da applausi l’interpretazione di Alexis Bledel, in grado di trasmettere senza dire una parola l’intera gamma di emozioni, dell’euforia della vendetta all’incredulità fino alla più cieca disperazione, provata dal suo personaggio a dramma concluso. Non ci è dato sapere se Lydia sia effettivamente morta o meno, ma non ci stupiremmo di vederla tornare in futuro.

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Parlando di brave persone, la rete di Martha messasi in moto per salvare June e Nicole ha un ruolo di primo piano. Per i 23 episodi andati in onda fino a oggi avevamo un po’ tutti poco considerato le Martha, vivendole quasi esclusivamente come governanti sullo sfondo: un segnale di quanto tale leggerezza fosse sbagliata ci era arrivato quando avevamo scoperto che la più grande neonatologa degli ex-Stati Uniti è ora riassegnata a quel ruolo, ma non si era andati molto oltre, per quanto già durante la prima stagione si fosse parlato di una rete da loro composta. Dopo questo episodio sappiamo per certo che tale rete è molto più organizzata della stessa Mayday, considerando l’efficienza con cui la fuga di June è stata studiata e messa in atto. Non dubitiamo della presenza di contatti nelle alte sfere, altrimenti non si spiegherebbe come Lawrence fosse a conoscenza della fuga in atto, ma ciò non diminuisce l’importanza di questa informazione e il ruolo che potrebbe avere nel futuro. I segreti migliori sono nascosti in piena vista, si dice, e di certo qui ne abbiamo una dimostrazione evidente.

Dal punto di vista strettamente emotivo, le tante occasioni perse in cui June sembrava essersi salvata hanno fatto sì che questa ennesima fuga lasciasse lo spettatore col fiato sospeso per la sua interezza, conducendolo verso quella che per molti sarà stata una scelta irritante e inadeguata: reazione comprensibile che, però, potrebbe essere sbagliata.

Fuggire avrebbe significato voltare le spalle alla sua primogenita

Chiariamo, chi scrive, nel momento della scelta di June di non fuggire, si è infuriato leggermente infastidito, interpretando a primo acchito tale scelta narrativa come semplice volontà degli autori di mantenere lo status quo; ragionandoci un po’, però, questa chiave di lettura potrebbe non essere quella corretta: June ha messo in salvo Nicole, ma Hanna rimane in Gilead ed è ancora più in pericolo della neonata, dato che è ben più grande. Fuggire avrebbe significato voltare le spalle alla sua primogenita, non potendo lei avere alcuna certezza di essere in grado di salvarla una volta varcati i confini: un’opzione inaccettabile per una donna come June, che preferisce l’idea di soffrire e morire in Gilead piuttosto che il pensiero di aver abbandonato una delle sue figlie in quell’inferno. Si potrebbe obiettare che anche restando le possibilità di salvare Hannah siano minime, ma per la protagonista sono sempre più di quelle che avrebbe partendo.

The Handmaid's Tale s02e13 Recensione

La scena finale, quasi in modalità Jedi Oscuro – ci scuserete la citazione nerd -, sembra suggerire un cambio di tono per il futuro del personaggio e ci auspichiamo fortemente che tale impressione venga confermata dai fatti: un ritorno alle stesse dinamiche, che già in questa stagione hanno finito per stancare e non avere molto da aggiungere se non puro orrore, sarebbe deleterio, soprattutto considerando che Bruce Miller ha affermato di poter potenzialmente coprire dieci stagioni.

Tirando un po’ di conclusioni su questa seconda run possiamo affermare che la qualità complessiva è rimasta mediamente alta, ma è innegabile ci siano stati diversi momenti in cui il continuo alternarsi tra speranza e ritorno allo status quo ha messo a dura prova la pazienza dello spettatore e ha fatto ritenere che tredici episodi fossero troppi per la storia che doveva essere raccontata. La gestione dei tempi di alcune linee narrative non ha funzionato benissimo, cosa più che evidente – come si diceva – nelle vicende di Eden, ma che risalta anche in questo finale in cui, per quanto emotivamente travolgente, capitano fin troppe cose.

The Handmaid’s Tale, in quanto racconto puro e semplice degli orrori di Gilead, ha esaurito il suo compito

La terza stagione dovrà necessariamente introdurre un cambiamento di rotta e una nuova direzione narrativa per non rischiare di perdere incisività e spettatori: una sfida non da poco, ma che siamo certi gli autori siano in grado di affrontare a dovere, magari riducendo il numero di episodi e correggendo i difetti già più volte evidenziati.

The Handmaid’s Tale, in quanto racconto puro e semplice degli orrori di Gilead e similitudine col mondo reale, ha esaurito il suo compito: ora deve raccontarci qualcosa di più o, semplicemente, giungere a una degna conclusione.

Intanto aspettiamo fiduciosi, sperando di vedere Fred morire tra le più atroci sofferenze.

Porcamiseria
  • 8.5/10
    Storia - 8.5/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 9.5/10
    Emozione - 9.5/10
8.8/10

In breve

Tante – forse troppe – cose avvengono, ma il coinvolgimento emotivo e qualche soddisfazione karmica rendono questo finale di stagione in buona parte soddisfacente. La scelta di non fare fuggire June, istintivamente non appagante, è invece consona col personaggio e può aprire a nuove diramazioni narrative se non si commetterà l’errore di riciclare gli stessi, ormai esauriti, meccanismi.

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Porcamiseria

8.8

Tante - forse troppe - cose avvengono, ma il coinvolgimento emotivo e qualche soddisfazione karmica rendono questo finale di stagione in buona parte soddisfacente. La scelta di non fare fuggire June, istintivamente non appagante, è invece consona col personaggio e può aprire a nuove diramazioni narrative se non si commetterà l'errore di riciclare gli stessi, ormai esauriti, meccanismi.

Storia 8.5 Tecnica 8.5 Emozione 9.5
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