The Good Wife7×09 Discovery

C’è un aspetto che spesso viene trascurato quando si giudica una serie o magari più semplicemente quando capita di parlarne con altre persone: la familiarità. Ci sono prodotti di fattura eccelsa, come The Leftovers o Fargo, che stanno lì come eccellenza a cui aspirare ma con cui forse non si riesce a entrare pienamente in […]

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C’è un aspetto che spesso viene trascurato quando si giudica una serie o magari più semplicemente quando capita di parlarne con altre persone: la familiarità.

Ci sono prodotti di fattura eccelsa, come The Leftovers o Fargo, che stanno lì come eccellenza a cui aspirare ma con cui forse non si riesce a entrare pienamente in sintonia, vuoi per i temi trattati vuoi per una sorta di timorosa riverenza. Ci sono poi prodotti più semplici, fatti meno bene dal punto di vista tecnico ma che hanno un gran cuore, un’anima: basti pensare a Grey’s Anatomy, tanto per citarne una. Poi c’è The Good Wife, che riesce a coniugare magnificamente questi due aspetti.

La familiarità di una serie è un fattore che entra in punta di piedi; è fatto di piccoli elementi esterni ai personaggi, ai loro amori, ma che aiutano lo spettatore a sentirsi a casa. Sono elementi inizialmente di poco conto ma che, a poco a poco, acquistano un’importanza fondamentale ai fini dell’engagement dello spettatore: pensate al Central Perk in Friends, il Peach Pit in Beverly Hills 90210, il Daily Planet per Superman.

Allo stesso modo, Chumhum non ha bisogno di presentazioni per lo spettatore di The Good Wife; è lì, sotto gli occhi di tutti, spesso e volentieri. Chumhum è l’equivalente di Google nel mondo fittizio raccontato dalla serie ed è stato anche un vero e proprio protagonista in qualche episodio.

The Good Wife 7x09 Discovery Recensione

Super shady streets

Lo spettro della questione razziale che si aggirava in Lies diventa in questo episodio molto più concreto e al centro di una causa intentata proprio nei confronti del colosso informatico, reo di comportamenti selettivi – per non dire razzisti – nei risultati forniti da Chummy Maps, ma ravvisabili nell’intera suite di prodotti.

La causa e i risultati di Chumhum, messi a nudo dalle due controparti, ci pongono dinanzi ad una serie di sfumature impercettibili su cui non siamo soliti soffermarci – perché “dall’altra parte” della barricata – e agli effetti collaterali dell’implementazione di comportamenti adattativi in alcune applicazioni, plasmati sulla base di commenti e preferenze degli utenti.

Che esista un sottotesto, un metalinguaggio che viene utilizzato per denigrare una certa tipologia di persone, diversa per razza, orientamento sessuale, o religione, è una verità non immediata che deve essere sì decodificata, ma che ci è stata brillantemente spiegata in un recente episodio di Scandal.

Da persona che lo fa per mestiere, mi chiedo come si possa al tempo stesso riuscire ad attribuire la stessa semantica al commento di un utente ed evitare che l’applicazione che sto progettando non ricada in comportamenti razzisti. Mi chiedo dunque come poter aiutare il mio software a capire se la locuzione “Super Shady Streets” stia ad indicare delle strade effettivamente buie o se il contesto in cui è inserito lo renda piuttosto una locuzione atta ad indicare un quartiere nero. Quando il mio software può capire se una strada è oggettivamente pericolosa per l’utente o quando invece il giudizio che emerge dai commenti è di natura discriminatoria?

Questo metalinguaggio razzista, però, non è appannaggio unicamente della razza bianca. Esiste infatti anche una sorta di razzismo inverso, come sottolineato da Cary: ciò che cambia è il danno arrecato agli uni e agli altri.

Cary: So… Biff and, um, Skippy are working out well for you? […] Yeah, calling them white stereotyped names. Is that what Biff and Skippy are? Country club names from some bad skit somewhere… Polo outfits and tennis racquets… […] So how is that not reverse racism?

Monica: Because harm is necessary for racism to be… harmful.

L’episodio sviscera poi una pletora di sfumature della vita quotidiana a corredo che permettono di mettere a fuoco il problema della discriminazione razziale in salsa 2.0, dal profiling operato dalle tecniche di advertising moderno fino alla tanto blasonata diversity aziendale, che però nei fatti è un concetto ancora molto lontano dall’essere vissuto come un modo di essere all’interno delle aziende.

The Good Wife 7x09 Discovery Recensione

Lungi da noi emettere giudizi in questa sede che esulino dal contesto della serie – per inciso, il sottoscritto è contro OGNI forma di discriminazione -, ancora una volta The Good Wife mette in scena un’avvincente e stuzzicante dissertazione fatta di sfumature e punti di vista su temi scottanti, a tratti scomodi, ma sempre avvincenti.

Da questa storyline emerge sicuramente il personaggio di Lucca, che si trova a difendere il colosso informatico, chiamata – insieme ad Alicia – da Louis Canning come assistente. Lucca esprime molto bene le difficoltà di una professionista che deve far valere le sue capacità in un contesto in cui la sua unica risorsa sembra essere il colore della pelle: utile a Canning averla nel team in una causa di discriminazione razziale, utile a Cary quando vuole far leva sul suo colore di pelle nel tentativo di patteggiare.

Per una volta, una prova pienamente convincente per la new entry di questa settima stagione e il cui ruolo sembra destinato a crescere dato il probabile risvolto sentimentale col giovane Agos.

Even if you want something…

L’altra storyline dell’episodio fa uso dell’ormai comodo espediente della campagna per mettere meglio a fuoco il rapporto tra Alicia e Jason Crouse.

The Good Wife 7x09 Discovery Recensione

L’infatuazione di Alicia è sempre più evidente, tanto da essere colta persino da Ruth Eastman, che cerca di correre ai ripari. Un’eventuale affair tra i due metterebbe fine alla campagna di Peter ma anche al sogno proibito di Eli di poter gestire un’eventuale campagna elettorale di Alicia, tra l’altro ignara di questi suoi piani per il futuro.

Anche Jason non è indifferente al fascino della buona moglie; lo si evince chiaramente dal confronto con Alicia, anche se tutto questo rischia verosimilmente di minare la sua ritrovata stabilità dopo un passato che ha lasciato le sue cicatrici ma di cui sappiamo ben poco.

Ancora una bella prova per la coppia Julianna MarguliesJeffrey Dean Morgan.

La prima è assolutamente perfetta nella comunicazione non verbale di un’attrazione quasi incontrollabile e nella frustrazione causata dai suoi doveri di buona moglie, il secondo porta sullo schermo in maniera sempre più convincente un uomo forte, magnetico e a tratti quasi pericoloso, con un passato tormentato che cerca faticosamente di lasciarsi alle spalle. Il tutto senza chissà quali monologhi: anche per lui la comunicazione non verbale è un elemento premiante, forse ne è addirittura il marchio di fabbrica. Lo vediamo nel confronto con Eli, ma ancor più con quello di Alicia.

Ci aspettiamo fuochi d’artificio tra i due prossimamente, specialmente ora che Alicia ha scoperto – nella bella sequenza di fine episodio – di essere stata oggetto di indagine da parte dell’uomo che ardentemente desidera.

The Good Wife 7x09 Discovery Recensione

Un solido episodio di The Good Wife in cui è evidente l’inversione di tendenza – finalmente – di questa settima stagione finora zoppicante. Un ridotto numero di storyline permette di dare più ampio respiro alle vicende dei protagonisti ed è apprezzabile il tentativo di dare un senso ai vari ami gettati nel corso degli episodi precedenti – vedi questione razziale – lì per lì senza capo né coda.

L’eccellenza è sfiorata: ci mancano quei guizzi di eccellenza, con Julianna Margulies comunque a mezzo servizio e la Baranski sullo sfondo, ma veniamo anche da un paio di episodi eccellenti, va benissimo così direi.

4

 

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