Spesso su queste pagine abbiamo menzionato la triplice struttura narrativa che ha caratterizzato buona parte degli episodi di questa prima stagione di The Good Fight. In Not So Grand Jury le tre linee narrative non sono più unicamente strumentali allo sviluppo della trama orizzontale e ai dovuti approfondimenti sui vari protagonisti, ma diventano teatro di tre distinte battaglie di un’unica guerra, quella contro le manovre di Mike Kresteva.
Le dinamiche di studio questa settimana sono volte a fronteggiare i viscidi attacchi di Kresteva al Grand Jury: la benché minima ombra di sospetto sulla condotta professionale potrebbe infatti significarne la bancarotta, al di là di una proclamazione di colpevolezza. Oltre alla sapiente gestione della coralità dei personaggi – con una particolare menzione all’utilizzo di Marissa – vanno citate le singole performance sul banco dei testimoni, in cui risplendono quelle della già citata Sarah Steele – esilarante la sua demolizione di Kresteva e socio – e di Christine Baranski, sempre una spanna sopra gli altri.
Diane, in particolare, ritorna ad essere protagonista di primo piano quando viene individuata come possibile anello debole della catena, al punto di volersi sacrificare per il bene dello studio, anche in virtù della riconoscenza dovuta ad Adrian. La Baranski eccelle ogniqualvolta che Diane è chiamata ad inghiottire un rospo, pur senza mai perdere la sua fiera ed elegante compostezza. Elogiarla diventa un esercizio quasi monotono e ripetitivo.
La lotta a Kresteva – come detto – si attua però anche nelle aule del tribunale civile, grazie ad una strategia ideata e condotta da Elsbeth con l’aiuto di Lucca. Obiettivo di Elsbeth non è tanto interrompere il procedimento innanzi al Grand Jury, quanto piuttosto carpire informazioni sul materiale tenuto in possesso dagli oppositori per prendere le opportune contromisure. Dall’altra parte, vediamo un confuso Colin Morrello, chiamato all’ultimo minuto ad opporsi alla Tascioni e a Lucca. Inevitabile la correlazione di eventi tra lo scontro in aula e la relazione tra Colin e Lucca, per fortuna non compromessa dall’epilogo della causa.
Il sottile gioco di testimonianze, indagini e strategie innanzi alla barra del Grand Jury viene però alterato dalla bomba che arriva sul finale e che si lega fortemente alle vicende personali di Maia. Il suo segmento è sicuramente quello più ad alto impatto emotivo, ancora sulla scia di quel dolore causato dal padre, che non esita per un momento ad usarla per riottenere la libertà. In Not So Grand Jury possiamo assistere finalmente al confronto tra i due, un confronto doloroso, che però riesce sul finale a far chiarezza sulla condotta di Henry Rindell. Maia si troverà ad accettarne la vera natura, il suo essere disposto a sacrificare la carriera di Diane pur di ottenere la sua libertà. Il tutto rappresentato magnificamente con le bellissime sequenze dei dialoghi a registratori spenti tra padre e figlia, un gesto di apparente onestà e sincerità che fa da contraltare alla disonestà intellettuale di Henry. Come una bella foto in bianco e nero.
Il personaggio di Maia diventerà chiave nell’episodio, ma anche nella stagione, quando deciderà di rendere pan per focaccia al padre – seppur in maniera sofferta – utilizzando l’informazione sugli accordi tra Henry e Kresteva per screditare quest’ultimo agli occhi all’opinione pubblica. L’indignazione dinanzi ad un accordo con un noto truffatore travolgerà l’intera Procura, costretta a smantellare il procedimento contro lo studio e dare il benservito a Mike Kresteva, che vediamo però sul finale pronto a meditare vendetta.
Un cambio necessario e fondamentale quello del personaggio interpretato da Rose Leslie, che ci mostra una Maia finalmente capace di incanalare la rabbia sopita dopo innumerevoli batoste e che sarà probabilmente fondamentale nel cammino che ci porterà al finale di stagione.
Ancora nessuna sbavatura per The Good Fight, con un episodio che denota la perizia con cui ogni singola puntata viene costruita, che risulta da ogni singola sequenza perfettamente incastonata nel quadro generale. I porcamiseria sono quattro: l’eccellenza non viene raggiunta solo perché questo delicato gioco ad incastri toglie necessariamente spazio a monologhi intensi o ai tanto apprezzati riferimenti pungenti all’attualità. Ma se queste sono le premesse, si preannuncia un gran finale esplosivo.
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Il senso di appagamento che mi sta donando ogni puntata di #TheGoodFight pic.twitter.com/CljqUZ0FOR
— Anna Carineria (@Pepkins88) March 29, 2017
Quando Carrie Preston diventerà *main* e non più *recurrent* di qualcosa sarà sempre troppo tardi. #theGoodFight
— Sono solo parole (@ClabHouse) March 28, 2017
“Nella mia prossima vita voglio essere uno squalo“
Complimenti per lo sforzo ma sembrava più spagnolo che italiano 😂😂😂#TheGoodFight 1×07— Simone Fiorindo (@X_Fundo94_X) March 27, 2017