Una delle serie estive che più hanno fatto parlare di sè in questa estate 2015 è stata The Astronaut Wives Club, prodotta da ABC e composta da un’unica stagione.
Nei 10 episodi che compongono la serie ci vengono narrate le vicende legate agli astronauti che furono protagonisti, negli anni ’60, di un’avvincente gara tra Stati Uniti e Unione Sovietica a suon di missioni spaziali che avrebbero portato, da lì a qualche anno, al celeberrimo allunaggio di Neil Armstrong nel 1969. Il tutto, da un’ottica particolare, quelle delle mogli di questi eroi nazionali americani, offrendo così, oltre ad un punto di vista insolito sulle missioni spaziali e le implicazioni politiche connesse, anche uno spaccato sulla condizione della donna in quegli anni.
Insomma, quasi un Army Wives ai tempi di Masters Of Sex.
La serie ripercorre più di 10 anni di missioni e di equipaggi – Mercury, Gemini, Apollo – focalizzandosi in particolare sui cosiddetti Mercury Seven e le loro mogli: dall’algida Louise alle frizzanti Jo e Betty, dalle mogli in cerca di una dimensione indipendente dal marito come Trudy e Rene fino a Marge e Annie, vere e proprie colonne per le altre e per i propri mariti.
Da semplici casalinghe, le sette donne Mercury (come poi successivamente le Gemini e le Apollo) si ritrovano catapultate in un mondo nuovo, diventano celebrità, sono l’immagine di quella America a caccia di un sogno, che ha bisogno di eroi e di modelli da seguire. Le insicurezze, l’ansia per i mariti durante le missioni, i problemi coniugali e le proprie velleità vengono messi da parte per la Missione: il loro ruolo è importante tanto quanto quelle dei loro mariti.
La storia delle protagoniste di The Astronaut Wives Club non è frutto di fantasia ma è tratta dall’omonimo libro di Lily Koppel e fedele comunque a quella degli originali Mercury Seven e delle loro famiglie. Non potendo di certo quindi sentenziare sullo sviluppo delle storyline di per sè, possiamo solo discutere del taglio narrativo dato alla serie e dell’assurda scelta di concepire un prodotto simile in una stagione unica.
Quando si ha per le mani un soggetto così forte e originale, che potenzialmente tocca temi come la politica interna ed estera, l’emancipazione femminile, i primi anni del divorzio, passando per JFK e la questione razziale, decidere di concentrare tutto in 10 episodi significa letteralmente soffocare il potenziale delle serie, nella quale i temi di cui sopra vengono trattati marginalmente e in modo non appropriato. Certo, ABC non è HBO, ma di The Astronaut Wives Club ricorderemo ahimè solo un gruppetto di donne riunite in un salotto che assistono al lancio di un razzo pregando per la vita dell’astronauta di turno.
Il formato ridotto penalizza anche le sette donne protagoniste: dovendo dividere lo screentime con le mogli Gemini e Apollo nonché con le rispettive controparti maschili, il potenziale di queste sette figure femminili rimane altamente inespresso. Nonostante ciò, spiccano sicuramente i personaggi di Rene Carpenter, Betty Grissom e Marge Slayton. Rene è l’emblema di tutte quelle donne che rompono gli schemi per far sentire al mondo la propria voce, Betty il simbolo della donna che lotta per la verità mettendosi contro i potenti se necessario, Marge è la colonna e il collante di queste donne, con un passato da divorziata da nascondere.
Due porcamiseria per una serie dal potenziale pesantemente sprecato e di cui salviamo solo l’originalità del soggetto che stuzzica la curiosità dello spettatore, portandolo magari a documentarsi sulle missioni spaziali di quegli anni.
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Alcuni dei tweet sulla serie che abbiamo selezionato per voi:
Se #AstronautWivesClub non viene rinnovato faccio una strage. Una serie così serve, punto e basta.
— Eskimo Pie (@chiaraccoon) August 19, 2015
https://twitter.com/hey__lexa/status/634805834283937793
Da questo finale sembra che non ci sarà una s2. Io ho bisogno di un'altra stagione. Ho bisogno delle Astromogli AHHHH. #AstronautWivesClub
— Banshee🐍 (@smartass_scream) August 23, 2015
Porcamiseria
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