The 1004×11 The Other Side

Mentre il Praimfaya si avvicina, le sorti della razza umana cambiano ancora una volta, nella migliore tradizione dei colpi di scena. The 100 indaga l'istinto di sopravvivenza di ciascuno: chi è troppo egoista per pensare al bene di tutti, chi riesce comunque a scegliere di vivere e chi, semplicemente, non vuole essere salvato.

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Ormai ci avviamo alle battute finali di questa quarta stagione di The 100 e, nella migliore delle tradizioni, non smette comunque di stupirci. In una puntata apparentemente innocua – per quanto possa esserlo qualsiasi episodio in una serie tv post-apocalittica – gli sceneggiatori sono stati capaci di ribaltare ancora una volta le sorti di tutti, dopo il colpo di scena con cui ci avevano lasciato la scorsa settimana. E, diciamolo, sono anche stati in grado di commuoverci.

Sopravvivenza

L’istinto primario di ogni essere umano è sopravvivere, e su questo non ci piove. Ma fin dove si è disposti a spingersi per rimanere vivi? Quali azioni discutibili si fanno, quante rinunce e quanti sacrifici? Quanto egoismo, insomma, può spingere un uomo o una donna a lasciar morire qualcuno perfettamente sano dall’altra parte di una porta blindata?

The 100 ci mostra esattamente questo, con una maturità che fortunatamente supera i canoni del target a cui solitamente la serie si rivolge – data la rete su cui viene trasmessa, Madama CW. Clarke Griffin è sempre stata dipinta come una leader positiva, qualcuno che era pronto a mettersi da parte per gli altri e a trovare sempre una soluzione diplomatica. Clarke Griffin, sin dalla prima stagione, non lascia indietro nessuno – non della sua gente, di sicuro, e non dei Grounders una volta che ha imparato a conoscere la gente della Terra e che si è innamorata di una di loro. Dunque, cos’è successo a quella Clarke che fa trascinare via Bellamy, disperato perché lei e Jaha hanno deciso arbitrariamente di rubare il bunker a tutti gli altri clan chiudendo fuori sua sorella?

Il cambiamento di personalità di Clarke è fin troppo drastico, per qualcuno che si è volontariamente iniettato il midollo di un Natblida per provare su se stessa le radiazioni. Solo un paio di puntate fa, l’atteggiamento era del tutto diverso. Non vorrei chiamarlo “buco di trama”, perché in realtà il tutto si è svolto fluidamente, ma di sicuro in modo un po’ troppo affrettato e senza una reale motivazione se non il solito ritornello: Clarke si sente sulle spalle il peso del mondo intero e, per una ragazzina, sta cominciando a diventare davvero logorante. Aggiungiamo inoltre che, con questa scelta drastica di chiudere fuori Octavia, Clarke ha messo una pietra tombale su qualsiasi eventuale relazione romantica con Bellamy – sento i pianti dei Bellarke fin qua.

Octavia dimostra di essere maturata a tal punto che tutti i clan dei Grounders hanno iniziato ad ascoltare le sue parole.

La Skaikru si sta dimostrando sempre più simile agli uomini di Mount Wheater, per citare la stessa Raven in un commento disgustato durante gli esperimenti con le radiazioni, interessata ciecamente alla sopravvivenza della propria gente e nient’altro. Jaha rappresenta il vecchio corso, il ragionamento di chi è mosso dalla paura e dall’egoismo pur di sopravvivere al disastro nucleare incombente – disastro che, ricordiamolo, la stessa Clarke ha innescato nel maldestro tentativo di salvarli tutti ancora una volta. Octavia, invece, dimostra di essere maturata a tal punto che tutti i clan dei Grounders hanno iniziato ad ascoltare le sue parole; se Wanheda veniva ascoltata per paura o superstizione, Octavia si è guadagnata la leadership con coraggio e con gli stessi mezzi usati dal popolo della Terra: ha combattuto, per arrivare dov’è, e il rispetto è un’arma molto più potente della superstizione. Un plauso alla ragazzina che voleva solo ribellarsi e adesso è una giovane donna dolorosamente conscia del proprio posto nel mondo.

Chi invece non vuole affatto sopravvivere è Jasper che, in un momento davvero commovente, ritorna per un istante a essere quello di un tempo, il migliore amico di Monty. Divenuto un groviglio di rabbia, rancore e tristezza, Jasper ha smesso di essere se stesso dalla morte di Maya, proseguendo nella sua spirale discendente fino al momento in cui, sotto una luna rossa, prega Monty di volergli bene e di lasciarlo andare. La sua morte per overdose ha una componente davvero tragica e riesce nell’intento di chiudere la sua storyline con coerenza, senza un nichilismo finale che sarebbe stato fuori luogo; l’affetto per Monty, malgrado tutto, non è mai venuto meno.

E mentre anche il resto del gruppetto che ha scelto di seguire Jasper nella morte viene trovato da Monty – Harper esclusa, che pare essere rinsavita all’ultimo minuto – Raven invece sceglie di vivere grazie al migliore degli sproni: Sinclair. Chiaramente, il povero ingegnere è morto nella scorsa stagione, quindi è solo frutto dell’ennesima allucinazione di Raven, ma è affascinante notare come il suo cervello si sia finalmente ribellato e abbia prodotto qualcosa che non sia autodistruttivo come Becca.

Sinclair rappresenta la parte più profonda della coscienza di Raven, quell’istinto di sopravvivenza che neanche il codice di A.L.I.E. rimasto tra i suoi neuroni è riuscito a strappare; rappresenta l’affetto di qualcuno che teneva davvero tanto alla meccanica, che l’apprezzava così com’era senza bisogno di altre intuizioni geniali che – letteralmente – la stanno uccidendo.
Lo stratagemma per riavviarsi, come fosse un computer, è ovviamente una pensata di Raven, ma il fatto che sia stato Sinclair a fargliela venire in mente lascia intendere quanto l’attaccamento alla vita sia forte in qualsiasi essere umano che vuole essere salvato. Lindsay Morgan si conferma essere una delle attrici migliori nel cast di The 100, in grado di tenere perfettamente banco in una stanza vuota solo in compagnia delle sue allucinazioni.

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Quattro porcamiseria per una puntata, come al solito, ben riuscita. Siamo tornati alle basi: cento posti per ogni clan nel bunker, cento sopravvissuti da scegliere. E se all’inizio della serie erano cento da far morire, stavolta bisogna sceglierne cento da salvare in dodici ore. Ammettiamolo, nessuno di noi vorrebbe essere nei loro panni.

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