Siamo infine giunti alla conclusione del terzo atto di The 100. In questi ultimi ottanta minuti, il cerchio che è rimasto aperto, in bilico sul filo di lana per tanto tempo, sta finalmente per chiudersi. Ora più che mai il conflitto si stringe: la strenua lotta del reale contro il fittizio raggiunge il culmine in questo season finale magnificamente orchestrato, bilanciato in maniera coerente e ponderata, che scorre con un ritmo rapido, affannoso, in grado di tenere tutti con gli occhi attaccati al teleschermo e facendo saltare più di una volta il cuore in gola ai telespettatori.
Il secco rifiuto di Luna ha gettato tutti nello sconforto. Cosa fare ora senza nessun”sangue nero” rimasto? Improvvisamente il re di Azgeda torna a fare capolino dopo parecchio tempo, per una breve toccata e fuga in questo quindicesimo episodio, ma onestamente nessuno ne sentiva la mancanza perché rimane uno di quei personaggi senza corpo, senza sapidità e completamente privo di connotazione. Roan esige prepotentemente la fiamma, ma qui forse è il caso di andare oltre ai desideri personali.
Ad A.L.I.E non interessa chi tu sia, a quale clan tu appartenga, che tu sia un Grounders, uno Skaikru o qualunque altra etichetta tu abbia: per lei non fa nessuna differenza, non c’è nessuna distinzione perché l’obbiettivo finale è esteso, indiscriminato e prescinde da tutto e tutti. Non c’è altra soluzione se non introdurre la fiamma nel corpo di Ontari per decodificarla e scoprire come distruggere A.L.I.E 1.E’ arrivato quindi il momento di unire le forze contro il comune nemico: Clarke e Roan si dirigono infatti verso Polis fingendo che una sia prigioniera dell’altro.
C’è un momento, breve ma particolarmente pregno di significato, dove Clarke ,con poche e semplici parole, riesce a foraggiare il transitorio stato psicologico di Bellamy infondendogli coraggio, facendogli capire che ripone in lui la massima fiducia, cioè quella cosa che più di tutte il ragazzo necessita fortemente di ritrovare. Questo sarà il primo passo verso la sua definitiva “guarigione”.
La tensione sale, le forze si alleano. Tutto è pronto per l’ultimo disperato tentativo di fermare A.L.I.E, ma come abbiamo purtroppo imparato fin quasi alla nausea, le sue risorse sono senza fine. E questa sconfinata forza scaturisce quasi paradossalmente dalla debolezza, quella “debolezza umana” incapace di sopportare lo straziante dolore terreno che una sola, piccola piastrina pentagonale può far scomparire in un solo istante. Jasper non è riuscito a reggere l’ennesima batosta.
Quella flebile speranza di pace e felicità percepita sulla piattaforma di Luna, è stata spazzata via velocemente quasi com’era arrivata, e per questo il giovane Skaikru ha ceduto al dolore ingollando il chip. E’ tramite lui che l’intelligenza artificiale ha anticipato le mosse di Clarke e i suoi compagni, catturati infatti poco dopo aver varcato le soglie di Polis.
Per un breve momento abbiamo avuto la felice impressione che finalmente Jasper avesse superato il suo brusco trauma, che stesse tornando ad essere il personaggio frizzante e buffo che tutti avevamo imparato ad apprezzare. E invece no. Mentre Raven cerca disperatamente di costruire un nuovo portale per violare l’ingresso di A.L.I.E, Jasper pugnala Monty a tradimento e intrappola lui e la ragazza nella sala dei computer, minacciando di uccidere Harper.
Anticipando quindi le mosse dei ragazzi tramite Jasper, Jaha cattura Clarke e uccide Roan. Per non darci nemmeno un attimo di respiro, nel giro di pochi minuti gli autori ci propongono un paio di scene a forte impatto emotivo, caricando al massimo la tensione per tenere l’attenzione dello spettatore ancora più alta.
Cosa c’è di più agghiacciante nel vedere una madre pronta a torturare la propria figlia senza provare nulla, nessuna reazione che possa far percepire un minimo di umanità, nemmeno nello sguardo spento e velato che contraddistingue quegli automi privi ormai di qualsiasi tipo di cognizione di causa?
Beh forse peggio di questo è vedere la donna che ti ha dato alla luce impiccarsi davanti a te, consapevole che solo rivelare il segreto che porterebbe fine all’esistenza della razza umana potrebbe salvarla. A.L.I.E sa che la debolezza di Clarke sono le persona a lei care. La scena è forte, straziante, ma al contempo carica di quell’ adrenalina scatenante dall’impavida reazione di Clarke, che nonostante l’infinita sofferenza dimostra ancora una volta la qualità di un vero leader, capace di mettere da parte sentimenti e interessi personali per il bene comune.
A questo punto, rendendosi conto della sua forza di volontà e dell’immediato arrivo di Indra, Murphy, Pike e tutti gli altri, A.L.I.E ordina a Jaha di uccidere Ontari per eliminare quindi l’ultima arma in grado di contrastarla. Abby è salva, Ontari è celebralmente morta. Ma questo bicchiere non può che essere visto mezzo vuoto perché ora senza un “sangue nero”, tutto sembra perduto.
Clarke ha d’improvviso un’idea, che forse in realtà era qualcosa che tutti noi ci aspettavamo, perché sembrava la soluzione più logica da molto tempo a questa parte. E se fosse lei a prendere la fiamma? Il rischio è alto ma la posta in gioco è ancora più alta quindi tutti si mettono a disposizione della ragazza: Murphy, che ai nostri occhi continua a guadagnare punti su punti, compirà il rito, Abby supervisionerà la figlia e Octavia, Bellamy e Pike condurranno la battaglia contro gli automi, pronta ad imperversare da un momento all’altro nel torrione di Polis.
Il piano di Clarke funziona. Sa cosa deve fare per porre fine all’egemonia di A.L.I.E: l’interruttore per spegnere questa spietata macchina fatta di calcoli e automatismi, è all’interno della Città della Luce, e quindi non c’è altro modo se non quello di prendere il chip.
La piastrina le attraversa la gola et voilà, è subito Inception! Una metropoli caratterizzata da palazzoni grigi e grandi strade affollate di gente che sembra vivere la vita più rosea a cui si possa aspirare. Tutti allegri e cordiali, tutta gente sorridente che si profonde in affettuosi abbracci e che sembra completamente ignara di tutto ciò che accade nel mondo reale. Nessuno però sembra poter vedere Clarke, che cerca di decifrare i segnali che le arrivano da ogni dove per poter trovare l’interruttore.
Ecco però piombare il panico all’improvviso. Nella vera realtà terrena Ontari è in arresto cardiaco e questo provoca scarso afflusso di sangue a Clarke che, estremamente dolorante, comincia a sanguinare nella realtà fittizia. Ed ecco in questo preciso momento il sopracitato parallelismo con Inception: nel momento in cui succede questo, tutti gli abitanti si girano all’unisono verso Clarke, percependo distintamente la sua diversa natura, esattamente come nel film quando le comparse dei sogni si rendevano conto dell’intruso nell’inconscio altrui.
Proprio come afferma Raven, che nel frattempo è riuscita a riconoscere Clarke tramite i computer, la ragazza è come un virus che infetta il sistema perfettamente equilibrato di A.L.I.E la quale non può permettere che la ragazza spenga l’interruttore e per questo sfrutta i cittadini della sua città come fossero un antivirus, attaccando Clarke e picchiandola selvaggiamente per avere il tempo di aggiornarsi al livello 2.0. Questo discorso però suona un po’ stonato, ancora una volta quasi paradossale: per restituire ai terrestri il libero arbitrio e la facoltà di scegliere consapevolmente è necessario avere un approccio telematico con il problema, calarsi pienamente nel mondo computerizzato di A.L.I.E fatto di chip, bug, virus e firewell. In pratica sarebbe come dire che per sconfiggere il nemico è necessario mettersi nei suoi panni.
Quando Clarke sembra ormai sopraffatta entra in scena a gran sorpresa, uno dei personaggi più amati dai fan della serie, scomparso forse troppo prematuramente, Lexa. Un sorriso da orecchio a orecchio increspa i volti di milioni di telespettatori: con l’imponente maestosità e l’incredibile forza che l’hanno sempre contraddistinta, Lexa uccide tutti gli aggressori di Clarke salvandola da una gran brutta fine.
A battaglia finita, il momento in cui le due ragazze si ritrovano e si abbracciano ha decisamente annodato parecchie gole e scosso molti cuori. Grazie a Murphy ed Abby che, in una delle scene di più crude e realistiche che abbiamo mai visto in The 100, aprono la cassa toracica di Ontari per aumentare l’afflusso di sangue a Clarke, la ragazza si riprende e insieme a Lexa continua la ricerca del portale.
Mentre tutto questo accade nella realtà fittizia della Città della Luce, a Polis la resistenza cerca di arginare il dilagarsi di automi che stanno scalando l’altissima torre della città. Tra i principali combattenti c’è ovviamente Octavia che dalla morte di Lincoln cerca ogni modo, ogni espediente per trovarsi da sola con Pike e vendicarsi.
E’ ormai dall’inizio di questa stagione che abbiamo a che fare con un personaggio radicalmente cambiato da quanto si era visto nei primi due capitoli della serie; una ragazzina che gradualmente si è trasformata in giovane donna e successivamente in guerriera, nella cui pelle sembra ormai aver trovato il suo definitivo habitat. Anche per questo la sua indole è cambiata, così come la sua espressione, perennemente greve e corrucciata, sempre pronta a dar battaglia per tutto.
Ma dalla morte dell’uomo che amava, della sua “famiglia” come lei stessa lo ha definito, nella sua espressione dura si è aggiunta una sfumatura di dolore che non è più riuscita a cancellare.
Non curandosi delle conseguenze, Octavia ferisce Pike ad una gamba permettendo così agli automi di proseguire la loro avanzata. L’espressione di colpevolezza è evidente ma con l’aiuto di Bellamy la difficile situazione riesce ad essere momentaneamente stemperata.
E’ dal suo confronto con Pike però che finalmente abbiamo la dimostrazione di quanto il ragazzo sia effettivamente maturato, uscito dalla zona buia e transitoria che lo ha accompagnato per tutta la terza stagione e in grado finalmente di convivere con i propri errori come farebbe un vero leader, ammettendo le proprie debolezze e cercando finalmente di affrontarle a viso aperto.
Ora la nostra protagonista è alla stretta finale, al momento del confronto che tutti stavamo aspettando, alla radice di un rompicapo complesso che non è mai stato spiegato nel corso di queste tre stagioni, lasciando giustamente quell’aura di mistero che rende tutto più stuzzicante. Grazie all’ennesimo aiuto di Lexa, salutata per l’ultima volta con una dichiarazione d’amore e un bacio che, diciamoci la verità, hanno fatto tremolare parecchi dotti lacrimali, Clarke arriva nella stanza dell’interruttore, dove trova –sorpresa, sorpresa- niente meno che Becca, la creatrice delle due intelligenze artificiali.
Una volta sopraggiunta anche A.L.I.E , la nostra protagonista si trova infine alla biforcazione di un bivio, alla presa di una decisione che segnerà il destino dell’intera razza umana: Becca sostiene che una volta spento l’interruttore tutto sarà risolto, A.L.I.E invece ha calcolato che a causa delle radiazioni nucleari la superficie terrestre diventerà invivibile nel giro di 6 mesi. Da che parte sta la ragione? La città della luce è davvero l’unica soluzione per il triste destino terrestre già segnato in partenza? O forse calcoli ed equazioni non sono tutto?
Le parole di Becca ci fanno un po’ ridimensionare sulle motivazione pregresse e gli assunti che ci hanno portato inevitabilmente a bollare A.L.I.E come il male assoluto. Lei era stata programmata per rendere migliore la vita degli esseri umani, ed è quello che effettivamente crede di fare. Solo questo. Niente variabili, niente alternative, niente spazio per la mediazione. I suoi calcoli dicono che gli esseri umani non sopravviveranno e per questo l’alternativa migliore per tutti è l’illusoria assenza di dolore della città della luce, così come quasi cent’anni prima il problema della sovrappopolazione è stato risolto con lo sterminio quasi totale della razza umana.
Se vogliamo proprio estrapolare questo discorso alla radice, potremo quasi intravedere la profonda concettualità che ne deriva: da una parte la matematicità, il raziocinio e una cieca volontà di perseguire l’obbiettivo preposto indipendentemente dal modo in cui verrà ottenuto. Quasi un assolutismo macchiavellico portato all’eccesso. Dall’altra la capacità di ragionare, la voglia di esplorare e trovare alternative, il migliorarsi attraverso gli errori e non scegliere sempre la via più facile.
Come dice Clarke proprio prima di premere l’interruttore “Il dolore non si attenua, si supera!”. A.L.I.E scompare insieme alla città della luce e gli automi ritornano esseri umani. Tutti si ritrovano, si abbracciano e si sorridono. Tutti tranne Clarke, che è consapevole di quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro. La battaglia è stata vinta, ma il mondo non è stato ancora salvato.
Non ci poteva essere finale migliore per una stagione così ricca e potente. Il gran lavoro fatto fin dalla primissima puntata non è stato buttato al vento, ma è stato concluso nella maniera migliore, così come doveva essere. La storia è rimasta fedele fino alla fine e nonostante le tematiche abbiano un che di già visto (Inception, Io Robot), sono state trattate coerentemente, senza stravolgere ne banalizzare le aspettative. Dieci e lode sia per lo sviluppo dei personaggi, sempre in costante evoluzione, che per l’insegnamento di fondo, in grado di fuoriuscire sempre più prepotentemente di puntata in puntata. Insomma, ragionate gente! Buttate i paraocchi ed esaminate le vostre alternative perché è cosa buona e giusta pensare fuori dagli schemi. Cinque meritatissimi porca miseria a questo finale di stagione.
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Lexa forever!
Rivolta degli sceneggiatori e comunità #LGBTQ per le scomparse premature dei personaggi gay.https://t.co/VdgX6suZmD #The100— TelefilmCult (@TelefilmCult) May 24, 2016
Che belli gli attori di The 100 quando non si vendono per le ship 💕
— monna radcaster (@valkirje) May 23, 2016
Avete presente l'urlo di Lexa quando arriva in difesa di Clarke? Lo voglio come suoneria #the100
— 積ん読 ;gangwolf (@timangio) May 22, 2016
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