TabooSeason 1: acque torbide e cuori di tenebra

Il viaggio dell'avventuriero dal cuore di tenebra James Keziah Delaney in una Londra sporca dentro e fuori assume dei contorni fin troppo convenzionali per una serie che si proponeva di portare molta più oscurità e misticismo sui nostri schermi televisivi.

0.0

Di tabù nel mondo delle serie TV ce ne sono ormai pochi, e, più che essere un’occasione per infrangerne, Taboo si propone di costruirci sopra una serie dai tratti sporchi e ruvidi, e se Tom Hardy coglie questa occasione per provare al mondo di essere il miglior attore oggi in circolazione, la perde invece Steven Knight, che da qualche anno cerca di proporsi come punto di riferimento per l’universo cinematografico e televisivo di genere crime senza mai fare il salto di qualità. L’abito l’hanno cucito su misura: metti la fisicità di Hardy nel grigiore di una Londra ottocentesca sporca e spregiudicata, mettici i soldi di Ridley Scott per una produzione coi fiocchi e quell’atmosfera oscura che tanto piace al grande pubblico ormai assuefatto da Game of Thrones; il risultato è un pacco regalo ben confezionato, di quelli con dentro qualcosa di molto costoso ma poco sentito.

Il pilot ci aveva lasciato una torbida voglia di scoprire il passato avventuriero di James Keziah Delaney, di entrare nelle sue oscure visioni e di comprenderne gli squilibri. Tutto questo non avviene, e non può avvenire finché il 99% della narrazione si svolge nella Londra del 1814, che seppur fangosa e marcia non riesce a trasportarci nella giungla dell’Africa nera che le immagini promozionali ci avevano promesso. Restiamo quindi in città per seguire il destino della contesa baia di Nootka. La componente occulta, mistica, che delle tante premesse era quella col potenziale più intrigante, viene relegata nel corso degli 8 episodi a poche visioni legate alla misteriosa figura della madre di James e al rapporto extrasensoriale con sua sorella Zilpha, rapporto dai contorni troppo sfocati, che si perde nel passaggio dalla dimensione sentimentale a quella erotica, per poi trovare in quella più puramente drammatica la sua giusta collocazione. Il simbolismo dell’elemento acqua è ben costruito e collega il passato naufragante di James al destino tragico di Zilpha e alle allucinazioni materne; certo è che da magia primitiva e rituali per entrare in contatto col mondo dei morti, ci si aspettava di più che acqua, fumo, e del nero sulla faccia.

Dire che il resto della serie è il solito e poco sorprendente gioco delle parti fatto di assi nella manica, che il protagonista-eroe tira fuori sorprendendo nemici e spettatore, è forse troppo limitativo. Taboo riesce infatti a far suoi i meccanismi classici dei giochi di potere e delle storie criminali à la Peaky Blinders, a cui è fin troppo simile, anche per il merito di sorprendere con un’efferatezza sempre sbilanciata verso il lato giusto del limite della verosimiglianza, cuori strappati a parte. Una scrittura tutto sommato convenzionale riesce bene a bilanciare la violenza povera e disperata fatta di figli clandestini e cicatrici con i minacciosi ordini che riecheggiano nei saloni degli sfarzosi palazzi reali, e per non essere in difetto con nessun aspetto della società, più di oggi che di ieri, Knight e Hardy ci infilano anche i festini con i travestiti, che se non altro alleggeriscono la malsana immagine che la serie offre di quell’epoca.

La scrittura preferisce continuare con questo stile convenzionale ed equilibrato, che certamente contribuisce a costruire una struttura solida per tutta la vicenda, anche quando invece dovrebbe spingere sull’acceleratore e proporre qualcosa che a molte serie simili manca. Della pochezza della dimensione mistica si è già parlato, non basta di certo una sequenza onirica a puntata per essere definiti visionari. Il triangolo amoroso è poi un’idea che non funziona più neanche in Beautiful, e infatti si sfascia talmente in fretta che arriviamo alla fine chiedendoci che senso abbia il personaggio della bella Lorna Bow. Il vecchio e saggio Brace fa un po’ Alfred di Batman, ma la sua svolta drammatica, riguardo la morte del padre di James, è uno dei momenti più intensi e riusciti della serie. I personaggi secondari sono forse costruiti meglio di quelli principali: il dottore americano Dumbarton e l’aiutante bombarolo Cholmondeley (merito anche della bravura di Richard Kelly e Tom Hollander) ravvivano una situazione che spesso rischia di affossarsi sulla tipicità delle figure antagoniste di Sir Stuart Strange e Thorne Geary, costruiti su un’ira tanto feroce quanto banale.

Per quanto gli altri personaggi siano da esplorare, è chiaro che Taboo vuole essere un one man show: la figura del burbero James convince per l’estrema concretezza, una determinazione astuta nella mente e animalesca nei gesti, e poche parole – al massimo grugniti – dietro cui nascondere una colpa commessa in passato. L’intera serie asseconda il suo eroe e la sua personalità, stilisticamente e visivamente: scenografie e fotografia azzeccati e curati nei dettagli (il William Turner più oscuro ne apprezzerebbe i campi lunghi), con una regia che cambia spesso registro tra la camera a mano traballante delle fangose scene al porto e la simmetria razionale dei grandi tavoli della Compagnia delle Indie. Il vero grande merito di Taboo è quello di offrire una visione, consolidare un’estetica, fregandosene dell’originalità stilistica a tutti i costi e preferendo alla sperimentazione narrativa una solidità ruvida che va a rafforzare tanto l’immagine inarrivabile su cui Hardy fa affidamento quanto la personalità autoriale – speriamo non fossilizzata – di Steven Knight.

3.5

Ti è piaciuto l'episodio?

like
0
Mi è piaciuto
love
0
Tutto!
haha
0
Divertente
wow
0
Porcamiseria!
sad
0
Meh...
angry
0
Che schifo

Commenta l'articolo