Supergirl2×22 Nevertheless, She Persisted

Nel finale della seconda stagione, Supergirl sarà costretta a fare i conti con un nemico che mai avrebbe pensato di dover affrontare e verrà posta innanzi ad una scelta dolorosissima. Nonostante sembrino esserci tutti gli elementi per un episodio esplosivo, il season finale delude le aspettative e vanifica tutti i progressi compiuti rispetto alla stagione d'esordio.

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Avevamo cantato vittoria troppo presto. Ad una settimana da Resist, di cui abbiamo tessuto le lodi, il gran finale di Supergirl la fa ricadere nei soliti errori lasciando insoddisfatto lo spettatore, che sia questi un semplice appassionato di serie supereroistiche o un fan sfegatato della Ragazza d’Acciaio.

L’episodio finale di questa seconda stagione riparte dal punto in cui ci lasciava quello precedente. Sulla carta, aveva tutte le caratteristiche per essere uno scontro epico ed invece, quello consumatosi tra Supergirl e un Superman soggiogato dagli effetti della kryptonite d’argento, assume tratti rocamboleschi, con i due che schizzano a suon di pugni per l’intera National City come se si trattasse della pallina di un flipper. Quando poi la lotta diventa più statica e a favore di camera, gli evidenti limiti tecnici ne condizionano ancora di più la resa, tramutandola in una banale scazzottata che di certo poco ha da spartire con uno scontro tra due eroi dagli smisurati poteri. Discutibile anche l’esito della battaglia, non tanto per la vittoria di Supergirl quanto per l’indecoroso ruolo successivamente assunto da un rinsavito Superman.

2x22 Nevertheless, She Persisted recensione

Il messaggio è chiaro, e pienamente in linea con il carattere femminista della serie: la Ragazza d’Acciaio è il Campione della Terra, sia sul piano fisico che morale, e il ben più noto cugino è costretto da copione a rimarcare il concetto, sottolineando quanto la sua condizione psicologica non avesse in alcun modo influito sulla sua sconfitta e di come non sarebbe stato altrettanto capace di sacrificare il suo grande amore per la salvezza del pianeta. Intendiamoci, non è misoginia la nostra. Nell’immaginario di chiunque Superman è l’Eroe per eccellenza, a tratti snervante nella sua perfezione, e vederlo relegato nelle retrovie a cercare di fermare l’invasione daixamita fa alquanto storcere il naso, considerando anche il potenziale di Tyler Hoechlin in questo ruolo. Non che alla cugina sia andata poi meglio. Il lavoro fatto in precedenza sul personaggio di Rhea è stato pregevole e dati i toni di Resist ci si aspettava molta più tragicità e epicità. Eppure, lo scontro con la regina è decisamente “cheap” – in tutti i sensi – e giocato quasi più sulle parole che sulle azioni, nonostante abbiano scomodato un nome altisonante derivato da un antichissimo rito daixamita per questa sfida a singolar tenzone.

In verità, l’intera invasione è stata trattata con superficialità e con un uso sconsiderato dell’affollato cast di Supergirl. Con la Ragazza d’Acciaio occupata a lottare contro Rhea, la lotta per le strade di National City è affidata a Superman, Mon-El, Martian Manhunter ed un manipolo di Marziani Bianchi opportunamente portati da Miss Martian, che aveva avvertito il pericolo attraverso la connessione psichica con J’onn J’ozz. Ma ci chiediamo molto banalmente: era davvero necessaria la comparsata dei marziani, davvero non era possibile utilizzare in maniera più soddisfacente il cast? Il disappunto si estende naturalmente anche ad altri comprimari, in primis Lena e Lillian Luthor. La prima è relegata alla modifica del dispositivo di Lex con cui poter contaminare l’atmosfera con della kryptonite in modo da poter irradiare tracce di piombo e rendere così la Terra inabitale per tutti i Daixamiti. Sarebbe stato gradito quantomeno un accenno al suo rapporto con Kara, all’eventuale scoperta della sua vera identità, e invece nulla. Tutto rimandato. Così come rimandato – anche se non ci stupiremmo venisse archiviato, citofonare Maxwell Lord – anche tutto il filone Cadmus: a parte il trito e ritrito rapporto disfunzionale tra Lillian e la figliastra, non è ben chiaro dove si vada a parare col personaggio interpretato da Brenda Strong. E dire che Resist ci aveva fatto ben sperare in un qualche possibile plot-twist legato a Cadmus.

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La cosa più vergognosa però, è sicuramente il non-utilizzo di Alex, personaggio chiave della serie nonché uno di quelli meglio costruiti. In questo finale, Alex Danvers è la ragazza con cui nessuno vuole ballare, messa lì a far da tappezzeria: per lei solo qualche pep talk alla sorella e nulla di più. Per fortuna, almeno sul finale, arriva una gioia il lieto fine: la sua proposta di matrimonio a Maggie – anche quest’ultima a farle compagnia mentre tutti combattono – che fa la gioia di stuoli di fan. Certo, il nostro lato più romantico è stato in qualche modo soddisfatto, anche se il tutto puzza di totale asservimento al fandom dopo averlo privato del tanto amato Mon-El.

Già, il povero Mon-El. Messa al muro dall’ennesimo colpo gobbo di Rhea, a Supergirl non rimane altro che ricorrere al dispositivo di Lena per costringere i daixamiti alla fuga, anche se ciò significherà sacrificare il suo amato. Dopo un lacerante addio – unico momento veramente apprezzabile di questo finale – di Kara al suo bel Mon-El, che deve necessariamente abbandonare il pianeta a bordo della stessa navicella con cui è arrivato, tutta la parte finale dell’episodio è dunque volta a celebrare la forza d’animo di Kara nell’aver operato una scelta così sofferta e al vederla struggersi in questa nuova realtà dove – sadicamente – tutti coloro che la circondano sono felicemente accoppiati. Benvenuta nel club, aggiungeremmo. A salvare la deriva teen drama in cui precipita inesorabilmente questo finale, i soliti dialoghi di Cat Grant e la risposta ad un interrogativo che da tanto tempo ci portiamo dietro. Contrariamente a tutti gli abitanti di Metropolis e National City, la nostra amata Cat ha saputo vedere oltre gli occhiali da vista di Kara, e quel “Go get’em, Supergirl” ci strappa quel sorriso tanto agognato dopo 40 minuti di disappunto misto a dispiacere per la dipartita di un personaggio con così tanto potenziale.

2x22 Nevertheless, She Persisted recensione

Ci si aspettava molto di più da questo finale, in linea con tutti i miglioramenti di questa stagione in confronto a quella d’esordio. In generale è mancato un certo senso di gravità e tragicità – coerente con un’invasione aliena – e, come già detto, una gestione molto più corale del cast, che desse maggiore spazio ai series regular piuttosto che relegarli a mere comparse. Come soliti fare in tutte le serie dell’Arrowverse, non mancano poi gli indizi sulla prossima stagione: dopo un telefonatissimo riferimento di Superman, pare proprio che l’anno prossimo approderà a National City nientemeno che Zod, arcinemico dell’Uomo d’Acciaio. L’ultima scena infatti, mostrerà una navicella spaziale pronta a lasciare Krypton nei momenti immediatamente precedenti la distruzione del pianeta. Un cliffhanger questo che è fin troppo simile a quello della scorsa stagione e che denota una mancanza di originalità che è seconda solo a quella di The Flash.

Supergirl, salvaci da tanto scempio. Oppure no, riportaci Mon-El che è meglio.

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Note da nerd

  • I dialoghi di Cat Grant sono sempre pieni zeppi di easter eggs. In questo episodio cita Star Wars affermando di non averlo mai visto. L’occhiolino strizza chiaramente al marito Harrison Ford, il noto Han Solo della celeberrima saga.
  • Cat afferma poi di aver quasi sposato Rob Lowe per ben due volte. Calista Flockhart e l’attore hanno lavorato insieme in Brothers & Sisters, dove interpretavano Kitty Walker e il senatore Robert McCallister, convolati a nozze nella seconda stagione.
  • Dopo aver lasciato la Terra, la navicella di Mon-El finisce nella famigerata Phantom Zone. Alcune teorie ipotizzano un suo ritorno in grande stile magari con alcuni membri della Legion of Super-Heroes, ripercorrendo così lo stesso destino della sua controparte a fumetti in Superboy.

 

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