Dopo il finale della quinta stagione, eravamo tutti un po’ perplessi circa il futuro di Suits. Rovesciate le fondamenta della serie ci si chiedeva come fosse possibile mandare avanti lo show senza perdere l’essenza principale.
To Trouble inaugura questa nuova stagione con il botto, facendoci capire che forse siamo noi ad aver sempre percepito in modo erroneo il punto focale della serie: Mike in prigione non scalfisce minimamente il ritmo ed anzi suggerisce nuove dinamiche, parallelismi. Questa premiere diverte, intrattiene, sorprende in pieno stile Suits. Quello patinato, citazionistico e superficiale.
Ma To Trouble è forse troppo in “stile Suits” lasciandone intravedere i difetti, da sempre presenti, in modo molto evidente. Troppo.
Più volte abbiamo scherzato sul taglio di capelli da paggetto di Mike e su quanto fosse una pessima rappresentazione del suo essere cresciuto, pare dunque simbolico (soprattutto alla luce del twist finale) farci vedere il processo di rasatura appena entrato in prigione.
Il “piccolo genio”, inserito in un nuovo ambiente lontano dagli sfarzi della New York bene, soffre l’inesperienza e dopo nemmeno 24 ore si è già rovinato con le sue stesse mani, nel modo più sciocco e prevedibile possibile. Frank, il compagno di cella, si guadagna in poche ore la fiducia di Mike che di rimando racconta la sua storia mettendo in risalto, seppur in modo subliminale, il rapporto fra lui ed Harvey. Se non fosse abbastanza, Mike accetta l’offerta di Frank ed usa il cellulare del compagno di stanza per inviare un messaggio a Rachel, alzando così la posta in gioco.
La location della prigione – anche se fin troppo posticcia con quelle camicie che sembrano uscite dritte da uno store Abercrombie – risulta l’unica vera novità di questa stagione e l’unica luce che ci fa ben sperare per qualcosa di nuovo e con nuovi meccanismi.
A peccare in To Trouble è quasi interamente la storyline dedicata ai superstiti della Pearson Specter Litt, in bilico fra il ridicolo e la noia mortale.
A soffrirne maggiormente è Louis, che ci delizia con erezioni nascoste nei fanghi, ceneri di segretarie morte sbuffate in faccia e l’immancabile confessione post-infamata che finisce a tarallucci e vino.
La domanda sorge spontanea, obbligata: dopo sei stagioni ci meritiamo questo?
Pur volendo comprendere la necessità, dopo una quinta stagione piena di momenti drammatici e seriosi, di ristabilire la vecchia ironia degli albori, i risultati sono pessimi e i momenti di comicità sembrano più usciti da un cinepanettone di bassa lega che da una serie tv sulla upper class newyorkese.
I personaggi risultano deboli, fuori dal personaggio, ripetitivi. I dialoghi sono sciatti e più impegnati a strizzare l’occhio al fandom che a risultare veritieri.
Sembra che gli sceneggiatori si siano dimenticati della struttura che hanno dato ai personaggi nelle passate stagioni: se nell’episodio precedente Rachel decide di vendicarsi con il fidanzato privandolo di un giorno insieme non può, ora, apparire come paladina della giustizia che mette a posto gli altri che si comportano in modo “infantile”.
Harvey è totalmente non pervenuto, seppur sempre in scena, è scevro di qualsiasi carisma, risultando così il fantasma di se stesso: lo possiamo avvertire chiaramente nella scena dell’ascensore con Donna, cinque minuti di nulla totale ma necessari a tenere buono il fandom del Darvey.
Gli unici momenti di rilievo all’interno della Pearson Specter Litt sono tutti per Jessica, capace con poche battute di far trasparire con disarmante lucidità l’essenza del suo personaggio di donna indipendente.
For women, the rules are different. You can’t be everyone’s friend and invite them to tea because warm means you’re weak.
Jessica Pearson diventa icona di femminismo non patinato che traspare nonostante i pellicciotti con cui l’adornano, le falcate e le occhiate torve.
Lo spazio a lei dedicato è comunque sempre troppo poco, infilato ogni tanto, senza mai approfondire realmente il personaggio.
Gina Torres e Patrick J. Adams sono l’unica ragione per cui questa premiere non è stata un fallimento totale. Non solo convincono nella recitazione ma dimostrano che qualche sceneggiatore ancora capace di produrre qualcosa che non sia un insulto all’intelligenza dello spettatore esiste ancora.
To Trouble riesce a barcamenarsi mischiando difetti e lati positivi in un’altalena emotiva e qualitativa che lascia però il tempo che trova; gli spunti interessanti (l’uso dei colori, il parallelo fra lo studio legale e la prigione, gli intermezzi di Jessica e di Mike) sono completamente vanificati da un uso sbagliato della comicità, una poca attenzione ai dialoghi e alla debolezza di alcuni personaggi.
Un’occasione sprecata.
Vota l'episodio!
Sei d'accordo con noi o avresti dato un voto diverso? Dai i tuoi porcamiseria all'episodio e dicci che ne pensi nei commenti!
Hanno votato questo episodio 8 lettori, con una media di 3,25 porcamiseria su 5.
Loading...
Ti è piaciuto l'episodio?
