Sherlock4×03 The Final Problem

La quarta stagione di Sherlock si conclude con un episodio emblematico, che fa luce sul passato degli Holmes e rappresenta la sintesi di tutto ciò che è accaduto finora, suscitando nei fan seri dubbi riguardo le sorti future della serie.

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È arrivato il momento di fare i conti con il proprio passato, al 221B di Baker Street, è ora di guardare dritti negli occhi i demoni che per troppo tempo sono rimasti sepolti, ed è proprio questo l’input che dà il via al season finale della quarta stagione di Sherlock, uno degli episodi più complessi e coraggiosi della serie. Quella che abbiamo in The Final Problem è infatti una resa dei conti a tutto tondo, che non si limita alla narrazione, ma pervade anche il tessuto stesso della puntata, cercando di mettere dei punti fermi e dare un senso definitivo a ciò che il famoso show della BBC è stato in questi anni.

Ciò avviene attraverso lo schieramento delle sue qualità migliori e più emblematiche, proprio quelle che hanno reso la serie una delle pietre miliari della storia televisiva contemporanea e che vengono portate in questo frangente alla sublimazione: con un approfondimento dei personaggi e delle loro dinamiche esemplare e con una trama intensa quanto disorientante, The Final Problem incanta lo spettatore come solo un season finale di Sherlock sa fare.

Redbeard, the first and last case

Dopo una prima quanto essenziale contestualizzazione degli eventi grazie alla scoperta di alcuni retroscena della storia dei fratelli Holmes, la parte più essenziale dell’episodio comincia intorno al ventesimo minuto, con lo spostamento dell’ambientazione a Sherrinford, che si rivela essere nient’altro che la prigione più isolata e all’avanguardia del pianeta: insomma, la cornice perfetta per l’attuazione del famigerato problema finale.

Grazie ad una vera e propria decostruzione della complessa interiorità del detective attuata attraverso una serie di prove e reminiscenze traumatiche, l’episodio riesce ad essere uno dei più sublimi viaggi alla scoperta di un personaggio mai visti, nonché il perfetto studio dell’umanità di uno Sherlock che sta assumendo caratteri sempre più nuovi e sorprendenti – ma mai veramente out of character – rispetto al suo corrispettivo letterario.
Ci rendiamo conto in questo modo dei passi da gigante fatti nel corso delle stagioni dal protagonista, che ha riscoperto una sensibilità e un’emotività che per troppo tempo aveva celato nel proprio inconscio; nonostante l’idea generale riguardo ciò sia sempre stata negativa, Sherlock si rende ora definitivamente conto, anche grazie ad un confronto obbligato con la sorella, di quanto orgoglioso debba essere della propria fragilità, arrivando ad abbracciarla completamente. E l’orgoglio, bisogna dirlo, non è solo il suo.

Compagni immancabili di questo viaggio all’interno di se stesso non potevano che essere le due figure più importanti per Sherlock, coloro che incarnano alla perfezione l’ambiguità del personaggio: John Watson con i suoi sentimenti e Mycroft Holmes con la sua – presunta? – intelligenza.
Se al primo è stato dedicato interamente l’episodio precedente, in The Final Problem è il fratello maggiore ad avere il proprio riscatto narrativo, attraverso un focus che è direttamente conseguente all’approfondimento di Sherlock e del suo passato. Che Mycroft abbia carisma è indubbio dalla sua prima apparizione, così come è noto il suo istinto di protezione quasi maniacale nei confronti del protagonista, ma troppe volte queste caratteristiche sono state messe in ombra dalla rappresentazione di un personaggio dalla mente fredda, calcolatrice e talvolta senza scrupoli.

I suppose there is a heart somewhere inside me. I don’t imagine it’s much of a target, but why don’t we try for that? […] Goodbye, brother mine.

È proprio per questo che non può che essere gradito il desiderio di umanizzare anche Mycroft, attraverso la messa in evidenza dei suoi errori di pianificazione riguardo la sorella e del suo senso del dovere, che prorompono in tutta la loro potenza nel momento in cui tenta di sacrificarsi per lasciare che John e Sherlock possano continuare le prove e arrivare incolumi alla fine, in una delle scene più emozionanti della puntata.

Gli sforzi immani di Mycroft non saranno però di alcuna utilità, quando i fantasmi del passato di Sherlock usciranno finalmente allo scoperto nella sua casa d’infanzia, mostrandosi nella loro verità e crudezza e aggiungendo così un ulteriore tassello al ritratto dell’uomo oltre il detective: scopriamo così il motivo dei tanti problemi sociali di Sherlock, ossia la traumatica scomparsa del suo migliore amico in tenera età, il piccolo Victor aka Barbarossa. Una risoluzione molto efficace del cosiddetto Musgrave Ritual, che trova però un contrappeso nella poco chiara conclusione della storyline della bambina in aereo.

L’unica, ma importante, debolezza dell’episodio risiede infatti proprio in alcuni passaggi logici che costringono gli spettatori ad un’eccessiva sospensione dell’incredulità, da sempre ingrediente secondario nella ricetta Sherlock e in questo caso sapore principale di diverse trovate narrative; se solitamente siamo abituati a spiegazioni fantascientifiche, alla buona, o lasciate all’intuito del pubblico, nel caso dell’aereo e della poesia risolutiva ci troviamo di fronte a qualcosa di apparentemente inspiegabile: ma d’altronde, con dei personaggi dalle capacità intellettive così straordinarie, cosa ne vogliamo capire noi slow ones?

L’episodio riesce ad essere uno dei più sublimi viaggi alla scoperta di un personaggio, nonché il perfetto studio dell’umanità di Sherlock

The girl on the plane

Se dal punto di vista narrativo sembra funzionare poco, dal punto di vista metaforico è invece essenziale la figura della bambina sull’aereo, incarnazione perfetta della geniale Eurus Holmes. Il vento dell’Ovest è ormai totalmente libero e pronto a distruggere Sherlock attraverso una vivisezione dei suoi sentimenti e della sua umanità, quella stessa umanità che la troppo intelligente Eurus non è mai riuscita a capire e che sta adesso cercando di studiare attraverso dei test perversi. Proprio per questo, la metafora di una bambina sola su un aereo in un cielo dal quale non sa scendere è molto potente: se nulla è giustificabile nei comportamenti della donna, allo stesso tempo nulla è del tutto condannabile, data la sua completa estraneità alle leggi morali degli uomini comuni.

Proprio grazie alla sua follia e la sua caratterizzazione a metà tra Jigsaw e la bambina de L’esorcista, che insieme alla sua intelligenza e disumanità la rendono la perfetta antitesi di Sherlock, Eurus è l’ennesima vittoria della serie, che può ora annoverare tra i suoi successi un personaggio tanto inaspettato e dalla psicologia devastante, che deve gran parte della propria riuscita anche all’interpretazione inespressiva, distaccata e magistrale di Sian Brooke.

Five minutes

Ma se l’hype per l’episodio era così alta, gran parte del merito va sicuramente all’attesa del possibile ritorno di Moriarty, nemesi storica di Sherlock e personaggio amatissimo dal pubblico. Seppur non sia un ritorno in carne ed ossa – kudos al geniale sadismo dei Moffitts e dei loro flashback inaspettati -, rivederlo complottare contro  il protagonista è stato essenziale per coronare questa summa della serie che The Final Problem rappresenta. Perfettamente comprensibile è anche la sua influenza sul piano di Eurus, cui il Napoleone del crimine ha portato un grande contributo: ciò che per la donna è un esperimento, rappresenta per Jim un’occasione di vendetta post-mortem, ed è dunque giusto che la maternità del problema finale sia attribuita alla nuova villain, senza tuttavia offuscare il ricordo di Moriarty.

Alla fine, forse, è anche meglio così, poiché la vera forza di questo personaggio è dovuta, oltre che alla inimitabile interpretazione di Andrew Scott, alla sua costruzione. Moriarty è apparso relativamente poco all’interno della serie eppure è riuscito ad avere un impatto enorme, grazie ad una narrazione che ha voluto mitizzare e rendere una sorta di fantasma o maledizione, in modo da tormentare costantemente protagonisti e pubblico, come specificato nello speciale dell’anno scorso e come accade anche in questo episodio attraverso i mini-video lasciati ad Eurus. E poi, diciamolo: la scena in cui scende dall’elicottero sulle note dei Queen resterà uno dei momenti più alti della serie.

Baker Street Boys

Negli ultimi minuti, una sensazione che tormenta lo spettatore dall’inizio dell’episodio si fa sempre più concreta, attraverso scene che confermano di trovarci davanti un finale di stagione che sa di finale di serie. In un montaggio che alterna la rinascita dalle sue ceneri del 221B di Baker Street e il ritrovo degli Holmes a suon di archetti di violino, si articola l’intensa riflessione metatelevisiva di Mary Morstan, che riesce a mettere per iscritto con le sue parole – e il poetico accompagnamento musicale della sigla – l’essenza stessa della serie, conferendo ai protagonisti un’aura di eternità che non è più solo letteraria.

Con un finale così aperto, privo di cliffhanger e apparentemente conclusivo, non sappiamo dunque predire le sorti dello show, che potrebbe trovare in questa conclusione o una chiusura ad anello, o un trampolino di lancio verso nuovi orizzonti. Il nostro augurio, per il momento, è di ritrovarci tra qualche anno in quell’amato scruffy flat con i nostri beniamini e qui su SerialFreaks con voi, ma la verità è che, se anche fossimo giunti al capolinea, non ci sarebbe di che restare delusi: il viaggio fin qui costituisce già un’esperienza che porteremo nei nostri cuori per molto tempo.

4.5

 

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Per i fan più nostalgici e appassionati, ecco l’eccezionale colonna sonora dell’episodio, con una piccola aggiunta per ricordare il ritorno di Moriarty!

Note

  • L’episodio è liberamente ispirato all’omonimo racconto doyliano, nonostante presenti elementi appartenenti a The Adventure of the Musgrave Ritual, contenuto nella medesima raccolta.
  • Nei video dei fratelli Holmes da piccoli, notiamo che Mycroft era in sovrappeso, proprio come accade al personaggio adulto in The Abominable Bride.
  • Anche il migliore amico d’infanzia di Sherlock, il piccolo Victor, è presente nel canone letterario come coinquilino del protagonista ai tempi dell’università, nonché colui che portò all’attenzione del detective il suo primo caso.
  • Nell’inquadratura finale i due protagonisti escono correndo da Rathbone Place, un chiaro riferimento all’attore Basil Rathbone, che interpretò Sherlock in una serie di film degli anni ’40, quelle stesse pellicole che hanno portato i Moffitts ad ideare una trasposizione in chiave moderna dei romanzi.

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