Secret CitySeason 1 Recap: Erano Giovani e Forti

Season Recap Sull'asse Canberra-Pechino scorrono tensione, sangue e attacchi al limite del terrorismo, mentre alcuni esponenti politici cinesi si infiltrano in Cina per porre fine agli attivisti pro-liberazione Tibet. La giornalista Harriet Dunkley però non si lascerà intimorire nemmeno quando violeranno più volte la sua dimensione più intima e privata, costringendola a patire sofferenze ben camuffate.

7.0

Spiare, investigare, morire. Il trinomio chiave formato da quelle prime due componenti così simili, ma così sottilmente distinte, che spesso conducono a una fine brusca e violenta dell’esistenza. Queste sono le colonne portanti su cui si snoda la trama di una serie a sfondo chiaramente politico e assoggettata alle tecnologie contemporanee di tracciamento e hackeraggio. Alla miscela basta aggiungere un pizzico di intricate relazioni private, tra il sentimentale e il complottista, e ci ritroviamo nel bel mezzo di un caso internazionale, magistralmente orchestrato in Secret City, una serie datata 2016 ma facente parte degli ultimi arrivi nella libreria degli Originali Netflix.

Un giallo che ci coinvolge subito nei primissimi secondi del pilot, facendoci balzare tra Cina e Australia, senza dimenticare la tappa necessaria (ma presente solo nei discorsi) per gli USA, creando un triangolo nell’Oceano Pacifico che tocca tre nazioni diverse, ma tutte unite in un complotto piuttosto misterioso e intricato. Questo climax ascendente iniziale però si smorza subito, forse un po’ troppo. Infatti le trame che si svolgono tra i vari personaggi partono in sordina, compiendo un improvviso balzo in avanti solo dopo più di due episodi, a partire dalla vita professionale e privata di Harriet Dunkley, interpretata da una forte Anna Torv.

Giornalista al The Daily Nation, si butta a capofitto nelle indagini che vedono protagoniste diverse persone, decedute in circostanze più o meno dubbie e poco cristalline. Non sembra essere più chiara la sua relazione con l’ex marito, ora diventato la signora Kim Gordon, dopo essere riuscito a esternare la sua omosessualità e assumendo sempre più un’identità femminile. Lento nel racconto, la serie si basa soprattutto su dialoghi inerenti le relazioni politiche tra Paesi, ma l’azione tarda parecchio ad arrivare. Ad esempio, un intero episodio è dedicato all’ex marito di Harriett, un peso notevole nell’economia della narrazione, costituita da soli sei episodi. Inoltre la vera azione si ha solo di fronte alla morte di diverse persone e intorno a uno degli oggetti più importanti: una sim card per smartphone, oggetto al centro di parte delle indagini. L’investigazione coinvolge in seguito un gruppo di ragazzi attivisti circa la liberazione del Tibet, i quali si muovono soprattutto nel campo dell’informatica e dark net, attività costate care per uno di loro, Max Dalgetty, trovato morto sventrato sulle rive di un lago.

Dunque da Pechino a Perth il passo è breve, davvero: attraversiamo il Mare Cinese Meridionale, dove si affrontano e si attaccano eserciti e mondi diversi, e arriviamo tra Canberra e Perth. Già questo punto della storia risulta claudicante nella coerenza narrativa: all’inizio, il senatore Mal Paxton localizza la storia a Perth, mentre successivamente si parla di Canberra, nonostante le ambientazioni non siano cambiate. Non è solo questo uno dei problemi di organizzazione della trama: guardando oltre i dettagli, notiamo una difficoltà di partenza fino a quasi metà della serie. Solo dal terzo episodio infatti gli eventi si faranno un po’ più agili, ma sempre focalizzati più su questioni politiche che sulle vicende private dei protagonisti, posizionando la serie a metà tra il genere investigativo e intellettuale. L’azione vera e propria viene spesso soffocata da intermezzi dialogici che non possono essere giustificati per smorzare la tensione, faticando a sorgere nel corso della serie.

Lo spessore che sta alla base della costruzione della trama e della qualità di riprese e tecniche di regia si ottiene anche aggiungendo una buona dose di elementi di hackeraggio e tecnologia à la Mr. Robot, ma senza eccedere nella componente nerd. Dunque non lasciamoci ingannare dall’etichetta “Originale Netflix”: come sappiamo, dal cilindro del distributore “born in the USA” e propulsore del fenomeno del binge-watching sono apparsi anche tanti diversi titoli a sfondo politico di indiscusso successo, non solo proposte di nicchia che strizzano l’occhio all’universo indie. Secret City si può tranquillamente avvicinare a questa pletora di produzioni, grazie anche alla presenza della Torv, una professionista nella recitazione che sa occupare la scena in modo eccellente e senza annoiare mai (almeno lei).

Come ti trovi nel tuo lavoro? Difendere la nazione è esattamente come te l’aspettavi, o è solo un compromesso dopo l’altro?

L’alta qualità è definita anche dal lessico piuttosto difficile da comprendere, per chi non è del settore, soprattutto quando si tratta di terminologie informatiche e di politica: se le prime saranno complesse da capire e talvolta si farà riferimento a sistemi sconosciuti ai più, le seconde renderanno un po’ più difficoltoso seguire le vicende, a causa anche della voluta opacità dei dialoghi per non lasciar trapelare le vere intenzioni dei personaggi.

In ultima battuta, notiamo però come le fisionomie dei protagonisti ricalchino molto bene delle figure stereotipate: la giornalista dai tratti angelici che continua le sue ricerche imperterrita fino alla fine, dalla morale incorrotta e pacifica; il senatore dal volto squadrato e dalle sembianze tipiche americane, con un fare spaccone e un figlio che potrebbe essere parente di Trump Jr. Per non parlare di Catriona Bailey, senatrice dalle fattezze quasi pari a M in 007 o ancora il giovane dottorando nerd, con i capelli lunghi e mal tenuti. Non brilla quindi di originalità questa serie, salvata forse dalle nuances di noir e thriller e dal traballante tentativo di camuffare la solita “coppia che scoppia” tra States e una nazione dell’Est, sostituendo la prima però con una terra anglofona. Tante questioni rimaste aleggianti e mai ben approfondite o sfruttate al meglio; tutti sacrifici a favore di un segreto che si nasconde nei meandri della politica e del web, ancora una volta padrone delle nostre vite, e di una serie.

Porcamiseria
  • 6.8/10
    Storia - 6.8/10
  • 7/10
    Tecnica - 7/10
  • 7.2/10
    Emozione - 7.2/10
7/10

In breve

Ammettiamo che la storia non abbia molti elementi originali in sé, per giunta le sequenze sono troppo dilatate da momenti di bassa tensione, con il rischio che l’attenzione si perda. Per quanto sia ben costruita da un punto di vista tecnico, nemmeno qui troviamo punte di diamante particolarmente brillanti, niente che colpisca l’occhio scenico di un regista. Va da sé e, a parte dei momenti di suspense nei punti critici e salienti, nulla di rilevante.

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9/10 (2 votes)

Porcamiseria

7

Ammettiamo che la storia non abbia molti elementi originali in sé, per giunta le sequenze sono troppo dilatate da momenti di bassa tensione, con il rischio che l'attenzione si perda. Per quanto sia ben costruita da un punto di vista tecnico, nemmeno qui troviamo punte di diamante particolarmente brillanti, niente che colpisca l'occhio scenico di un regista. Va da sé e, a parte dei momenti di suspense nei punti critici e salienti, nulla di rilevante.

Storia 6.8 Tecnica 7 Emozione 7.2
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