Prison Break5×01 Ogygia

Sull'onda del riciclo delle idee (non sempre buone), torna Prison Break, con una quinta stagione che potrebbe aver assestato il suo primo passo falso già nelle première. Dobbiamo tatuare sul corpo degli autori la strada per uscire dal cul de sac in cui si sono infilati?

0.0

Sono tornati.

Sul tono con cui pronunciare questa frase massima libertà. Noi dal canto nostro lo abbiamo esclamato con l’allegria con cui si fa una rimpatriata tra compagni di scuola a distanza di pochi anni dal diploma: sì, tutto bello, ci siamo divertiti e la serata non è stata male. Ma finisce lì.

Have a break

Come diretta conseguenza della sorpresa di essere riuscita a mantenere un discreto fandom nonostante le terribili ultime due stagioni (cioè metà della sua vita televisiva…), Prison Break è incappata in quel fenomeno totalmente attuale di riciclo delle idee, resuscitata dalla FOX per questa quinta stagione di cui potevamo fare a meno  dalle basse aspettative, completamente confermate da questa première dal titolo che richiama più un trailer di Maccio Capatonda che non una prigione yemenita. Rovinando un finale decente, Bagwell Lincoln vengono messi al corrente da una fonte anonima del fatto che Michael in realtà non è morto. Scofield avrebbe trascorso gli ultimi sette anni in Tibet in Yemen, imprigionato nel solito cubicolo con le sbarre alle finestre, lasciando che la moglie, il figlio e tutti gli altri lo pensassero intento a pianificare una fuga dal paradiso. Una volta raggiunto in Medio Oriente dal fratello, Michael, imbellettato con nuovi misteriosi tatuaggi, sembra non riconoscere Burrows e C-Note, lasciando intendere che sia tutto parte del solito misterioso piano.

Alle cinque righe di trama aggiungete scene d’azione non proprio mozzafiato, qualche cospirazione stereotipata e l’irreprensibile simpatia di Sara Tancredi, incredibilmente peggiorata nei sette anni trascorsi (e sono tanti quelli che preferirebbero la prigione yemenita a una quotidianità con lei). Ci prova Prison Break ad abbozzare una psicologia meno superficiale dei personaggi, ma questo primo episodio non si discosta molto dai caratteri visti nelle quattro stagioni precedenti, quasi avessero ibernato i protagonisti per scongelarli solo adesso (tranne Sara, che sta ancora in freezer). Nonostante il nuovo matrimonio di quest’ultima, la pena scontata da T-Bag, la nuova missione teologico-sociale di C-Note e il negozio panamense di Lincoln, non si vede all’orizzonte un chiaro motivo per cui il ritorno di questa serie fosse necessario, dato che quel poco che i personaggi avevano da dire era già stato abbondantemente spremuto.

Le atmosfere della serie originale salvano l’episodio dall’insufficienza, ma non sono abbastanza.

Rivedendo recentemente le stagioni precedenti si può incappare in un sentimento di nostalgia misto all’imbarazzo per gli anacronismi che rendevano la serie già un passo indietro rispetto alle concorrenti. Questa nuova Prison Break prova a discostarsi, contestualizzando il tutto nel presente, ma senza staccarsi troppo dai fantasmi del passato, per titillare la fantasia degli spettatori più fedeli ma al contempo risultando indecisa sul piano da seguire. Così lo scontro evidente tra nuovo e vecchio, palpabile e visibile nei quaranta minuti della puntata, si può applicare in generale alla direzione che questa stagione vuole intraprendere, finora troppo confusa tra l’elogio di un passato non così maturo da potergli affidare una batteria di nuovi episodi e l’azzardo di un futuro fatto di trovate originali che riescano a smarcarsi dalla prigione formale che – ironicamente – la serie ha creato su se stessa.

Una piccola nota a parte merita il comparto tecnico che, se da un lato perde i caratteristici (ma alla lunga noiosi) stacchi improvvisi pre-pubblicitari fatti di time-lapse, dall’altro incappa in errori semplicistici ed elementari, quali raccordi sbagliati o sfondi evidentemente posticci nelle scene in automobile.

Le atmosfere della serie originale, pur nella loro semplicità e ripetitività, salvano questo episodio dall’insufficienza, ma non sono abbastanza e ancorano, col loro sapore di già visto, il voto a tre porcamiseria, più di nostalgia che non di merito, pronti ad essere ridimensionati se le cose non cambiano.

3

 

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Chissà se anche a Monopoli…

Personaggio dell’anno:

La morte ti fa bello:

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