Lo avevamo detto nella recensione del pilot: in Preacher la normalità sa essere più inquietante di vampiri e fenomeni paranormali, e questo Monster Swamp ne è in fin dei conti la sintesi. Largo dunque a paintball notturni con il morto tra i rozzi dipendenti della Q.M. & Power e giovani prostitute, scuolabus che girovagano di notte e mascotte che si aggirano per le vie di Annville. Situazioni al limite del paradossale che innescano una moltitudine di interrogativi, immagini impreziosite da dettagli inusuali, un’attenzione quasi spasmodica al particolare, una narrazione che si dipana sul doppio binario delle immagini e del non detto: è questa forse la vera ricetta di Preacher, al di là dei protagonisti, al di là della trama orizzontale.
In questo quarto episodio di Preacher conosciamo un po’ di più l’anima di una città assoggettata alla rassegnazione, alla normalità di valori quasi sovvertiti. Simbolo di questo status quo è sicuramente Odin Quinncannon, il vero padrone della città, colui che detta le regole, colui a cui nessuno osa ribellarsi. A metà tra un boss mafioso e Mr. Burns dei Simpsons, l’uomo senza scrupoli interpretato da Jackie Earle Haley controlla il classico business che dà lavoro a mezza città, che difende la proprio egemonia con mezzi leciti ed illeciti, che fornisce elettricità alle case di Annville con metodi misteriosi e sicuramente discutibili, se non addirittura macabri. La rassegnazione traspare nell’assoluta indifferenza della gente di Annville nell’esposizione del corpo di una povera ragazza finita in una misteriosa buca, nella vile e insensata eulogia di uno scocciato Quinncannon che ne annulla la tragicità. Una rassegnazione dettata dalla consapevolezza colpevole di tutti coloro che hanno accettato questo status quo, che non si fanno domande, che ne fanno ormai normalità. Una condizione questa che non è poi così lontana da noi. Lo vediamo serialmente in Gomorra, ma lo vediamo anche nella nostra storia fatta purtroppo di atti efferati e di tessuti culturali inquinati dalla criminalità organizzata.
Il declino morale della città di Annville è il Male che ora Jesse Custer può finalmente sconfiggere grazie al suo potere, platealmente, durante la sua funzione, dove una chiesa gremita assiste al miracolo della conversione di Odin Quinncannon, scelto tra tutti come simbolo per un cammino collettivo di redenzione. Non mancano chiaramente nemmeno in questo episodio i dilemmi morali di una coscienza ormai perennemente al limite tra il Bene e il Male. Il cosiddetto “il fine giustifica i mezzi” mal si sposa però con i valori cristiani ed in quest’ottica è dunque forte il contrasto tra le azioni di un uomo in ambito talare e le sue nobili intenzioni. Ed è ancora più curioso come sia proprio Quinncannon a sottolineare questa incoerenza di fondo:
Jesse: I could make you come to church.
Odin: That wouldn’t be very Christian of you.
Jesse: My father’s land. You always wanted it. […] Come to church tomorrow.
E ancora più riprovevole della coercizione, forse, è usare una lotteria e una TV gigante – con tanto di manifesto innanzi alla chiesa invece delle originali esortazioni a cui siamo abituati – per attirare i fedeli in Chiesa.
Gli eventi legati a Quinncannon e la Q.M. & Power innescano anche delle dinamiche che ci regalano nuovi e interessanti scorci sulle vite dei protagonisti. Attraverso dei flashback impariamo qualcosa di più dell’infanzia di Jesse e del suo rapporto conflittuale col padre, sacerdote dai discutibilissimi metodi educativi, che tuttavia ha avuto un peso enorme nella definizione della personalità di Jesse. A questo poi si aggiunge il mistero di una stanza segreta della Q.M. & Power che sembra turbare e non poco il giovane Custer.
Si aggiungono anche dei piccoli tasselli per Tulip, che finalmente ha un primo incontro ravvicinato con Cassidy che promette scintille. All’esilarante vampiro – oltre che l’ormai canonica funzione di comic relief – tocca invece il compito di tenere viva la componente più prettamente sci-fi permettendoci di conoscere meglio i due angeli venuti per riprendersi il potere di Jesse. Ed è inutile dire che già li amiamo.
Continua a camminare a piccoli passi Preacher, forse troppo piccoli? Stilisticamente ineccepibile e con una precisa identità, la sua anima si affievolisce a tratti nel suo intraprendere tortuosi dedali di interrogativi e simbolismi che non si sposano sempre bene con una serie il cui tratto canzonatorio richiede, ad un certo punto, un’accelerazione degli eventi. Un’anima che fortunatamente viene arricchita e alimentata da un’elevatissima cura nelle caratterizzazioni, che fanno della più semplice comparsa fonte di nuovi interrogativi, e da quel senso di inquietudine di fondo che si accompagna sorprendentemente bene con l’ironia dissacrante o le scene più squisitamente splatter.
Mi auguro vivamente che doppieranno #preacher, gli italiani devono vederlo.
— Riccardo Bernini (@Operapple) June 23, 2016
Studi scientifici dimostrano che 45 minuti di #Preacher provocano gli stessi effetti dell'oppio o di un orgasmo #SerialUpdate
— Vané (@vanevanx) June 20, 2016
Tra il nome Jesse, il deserto, il logo AMC e il parlare di droga a volte #Preacher mi ricorda #BreakingBad e mi rende malinconico 🙁
— Ennibol☀️🎃 (@xjokerscars) June 20, 2016
https://twitter.com/andi_ter/status/744972886981644289