PosePose Season 1: Tens Across the Board!

Season Recap Entriamo nelle ballroom degli anni '80 con Pose, una serie ricca di riferimenti culturali, vissuti difficili e umanità. Una rivoluzione, sia in termini di casting che nel modus narrandi delle storie a tematica LGBT+, finalmente permeate da un senso di speranza e leggerezza, a prescindere dalle difficoltà.

8.5

Contro ogni aspettativa, vista la natura erratica delle sue produzioni, Ryan Murphy con Pose è stato in grado di fare una piccola rivoluzione nel panorama seriale americano. Se siete nel tipico periodo di magra da serie tv, questa è un’ottima opportunità per scegliere qualcosa da recuperare, e vi consigliamo spassionatamente di iniziare proprio da qui.

Il setting di Pose è la New York del 1987, nel pieno dell’ascesa di Donald Trump e dell’epidemia di AIDS, con un focus in particolare sulla ballroom culture e sulle fatiche quotidiane di diversi membri della comunità LGBT+.

L’accento è in particolare sulla lettera T, poiché Murphy ha il merito di aver portato sugli schermi il primo cast a maggioranza transgender anche dietro le telecamere, roba da far tremare Scarlett Johansson. Le attrici protagoniste danno quel senso di rappresentatività che ad Hollywood purtroppo manca, senza rinunciare ad una bravura innegabile nell’interpretazione. Prima di iniziare con i giudizi, è opportuno dare un quadro di riferimento su cosa sia la ballroom culture – dalla quale attinge a piene mani, ad esempio, RuPaul’s Drag Race, per cui se già lo seguite e ne siete fan forse sapete di cosa si sta parlando.

Le attrici protagoniste danno quel senso di rappresentatività che ad Hollywood purtroppo manca, senza rinunciare ad una bravura innegabile nell’interpretazione

Le protagoniste principali, Elektra Abundance (Dominique Jackson) e Blanca Evangelista (MJ Rodriguez), sono immerse nell’attività della ballroom: in questi luoghi di aggregazione abusivi, un host dichiara diverse “categorie” – tipologie di look da sfoggiare in sala, sfilando – mentre chi gareggia, accomunato dall’appartenenza ad una “house“, cerca di impressionare i giudici con la propria “realness“, ossia la capacità di apparire reale e verosimile nella categoria per cui sfila. Una delle più celebri categorie, giusto per entrare nel gergo, è la cosiddetta executive realness: chi sfila deve essere il più possibile assimilabile al mainstream degli uomini in giacca e cravatta, o delle donne in longuette e tailleur –  vi consigliamo l’account Instagram di Pose per ogni definizione, già che ci siamo.

È un modo per guardare da lontano l’egemonia bianca ed eterosessuale che rifiuta e discrimina chi non ne fa parte, un gioco, visto da fuori, ma una competizione serissima e senza esclusione di colpi per chi la vive in prima persona. Blanca inizia la catena degli eventi separandosi dalla sua mentore Elektra – “madre”, in gergo, poiché vi è un forte senso di famiglia a prescindere dal legame di sangue – per fondare la sua house, trovando altre anime allontanate dalla famiglia d’origine poiché omosessuali o transessuali.

Il conflitto tra la minoranza e la cultura egemonica affiora anche in contesti meno aspri, si veda ad esempio il rapporto che si va a creare tra Angel Evangelista (Indya Moore) e Stan Bowes (Evan Peters), lei prostituta sui moli di New York, lui uomo d’affari in corso d’opera con alle spalle la classica famiglia tradizionale – eccezionale Kate Mara nel ruolo della moglie Patty. La loro è una cotta in piena regola sabotata in partenza dal diverso background. È un’illusione splendida, finché la si vive, ma che prima o poi dovrà fare i conti con la realtà, dove il privilegio di Stan non può ancora convivere armoniosamente con l’esistenza sfortunata di Angel. Con la loro sottotrama si tocca la famiglia del Mulino Bianco e ne si intaccano le ipocrisie, con disarmante semplicità.

Pose non è solo ball culture, ma è soprattutto un modo per gettare luce sulla parte più drammatica della quotidianità delle persone queer e trans: l’allontanamento dalla famiglia – Blanca affronterà in prima persona questo tema – l’operazione di riassegnazione sessuale, ribadendo come essa sia in realtà pienamente facoltativa e non indispensabile per la definizione dell’identità di genere, e l’epidemia di AIDS che dilaga mietendo vittime vicinissime ai protagonisti.

L’idea è effettivamente rivoluzionaria sulla carta, ma cosa rimane di sconvolgente in Pose, passando dall’idea all’esecuzione? Il tema apparentemente si presta ad una narrazione tragica, nel tipico modo in cui Hollywood si approccia a storie di questo tipo: nessun lieto fine, una perenne aura di morte e una comunità che non troverà mai felicità e leggerezza; fortunatamente, Murphy ribalta il cliché, proponendo una storia che ha sicuramente la sua gravitas e i suoi momenti di profonda riflessione, ma in cui c’è sempre una speranza di fondo, dove la bontà delle persone cerca di prevalere e trova la sua strada. Si addolcisce la pillola, ma senza privarla del suo sapore originale.

Nonostante una sceneggiatura che non brilla per originalità, Pose ha comunque un cuore pulsante, è una storia di cui si aveva bisogno per dare una sfumatura diversa al modo di raccontare la comunità LGBT+. I dettagli estetici arrivano a complemento e si incastrano perfettamente nella narrazione, con una interessante fotografia, una colonna sonora iconica – che potete trovare su Spotify – e un lavoro eccelso da parte di tutto il cast.

La chiusura della stagione, con un vero e proprio finale, pare cautelativa, dato quanto Pose rappresenti un esperimento seriale sotto diversi punti di vista, ma non è nulla che non possa essere riaperto con una meritatissima seconda stagione. Non sarà un tens across the board, ma il nostro giudizio per Pose è qualcosa di abbastanza vicino all’eccellenza.

Porcamiseria
  • 7.5/10
    Storia - 7.5/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 9.5/10
    Emozione - 9.5/10
8.5/10

In Breve

Pose, nella sua spensieratezza di fondo, riesce a veicolare messaggi importanti e a innescare una piccola rivoluzione nel panorama seriale americano. Una sceneggiatura non particolarmente articolata od originale non toglie nulla al risultato finale della serie, un ottimo prodotto e un’ottima rappresentazione della comunità LGBT+ (con un accento alla parte transgender) degli anni ’80.

Porcamiseria

8.5

Pose, nella sua spensieratezza di fondo, riesce a veicolare messaggi importanti e a innescare una piccola rivoluzione nel panorama seriale americano. Una sceneggiatura non particolarmente articolata od originale non toglie nulla al risultato finale della serie, un ottimo prodotto e un'ottima rappresentazione della comunità LGBT+ (con un accento alla parte transgender) degli anni '80.

Storia 7.5 Tecnica 8.5 Emozione 9.5
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