Esattamente come nei due precedenti capitoli, anche questa terza stagione di Penny Dreadful ci presenta un episodio dove Vanessa Ives è l’indiscussa protagonista (vedi la scorsa puntata), e un altro invece dove della bella ed enigmatica lady non si scorge nemmeno l’ombra. Il che per certi aspetti non è del tutto un male visti gli scarsi approfondimenti di tutte quelle storyline che non la coinvolgono (ancora) direttamente: in questo quinto episodio, che visti i presupposti dell’intera stagione può in effetti essere etichettato come il più debole, vediamo germogliare finalmente qualcosa di succoso dalle basi scarne e con poco appeal che la storyline “americana” ci aveva presentato fino a questo momento.
Continuano tuttavia a non essere coinvolti alcuni membri fondamentali del cast come Lily e Dorian Gray, i quali latitano ancora, per la seconda volta consecutiva, intrappolati nella pellicola di John Logan, mentre per quanto riguarda Frankenstein e il Dott. Jeckill, la storyline sembra rimanere ancora alquanto stagnante, pur se le basi per un seguito di tutto rispetto sembrano essere discretamente buone.
Gli Allegri Chirurghi
Victor e il suo amico di vecchia data continuano nella sperimentazione del miracoloso siero. Arrivati a quello che apparentemente sembra il risultato sperato, ci viene presentata una scena breve ma significativa che ci fa capire l’importanza della perfetta riuscita di questo esperimento per il dottore. Quando ritorna nel suo laboratorio si nota con quanta cura e dedizione pulisca e rassetti quell’ammasso di sudiciume in cui spende le sue giornate cupe e solitarie, trascorse nella sola compagnia di corpi freddi e sonetti shaekesperiani: mai il suo luogo di studi ed esperimenti era stato più pulito e ordinato di così. Vediamo come, precorrendo forse un po’ troppo i tempi, lava il vecchio vestito appartenuto alla sua Lily, la Lily prima maniera, quella che ancora non era stata sedotta dal delirio dell’immortale potenza e superiorità indotta dalla vicinanza di Dorian Grey.
In quanto essere singolare ed emarginato, sempre affascinato dall’oscuro, e dalle droghe che lo aiutano a rifuggere la pena della sua solitudine, i primi giorni di vita dell’ amata creatura erano stati i più felici della sua intera esistenza e per questo, una volta finite le pulizie del suo laboratorio che sembrano quasi simboleggiare il colpo di spugna che lui stesso vuole dare all’onnipresente nuvola nera stanziata sopra la sua testa, vediamo il viso del dottore distendersi in uno dei suoi rarissimi sorrisi.
Tra le righe dei dialoghi dei due colleghi si coglie anche un accenno alla natura furiosa ed animalesca del Dott Jekyll, della quale ancora la serie non ci ha reso partecipi. É piuttosto evidente che quest’impressione sia trapelata per la secolare fama che investe questo personaggio letterario conosciuto dalla stragrande maggioranza di noi, ma ancora non è dato sapere se e quando Penny Dreadful ci delizierà di questa sua caratteristica.
Il Buono, il Brutto e il Licantropo
Come abbiamo già accennato ad inizio paragrafo, lo spaccato di trama che viene argomentato con maggiore approfondimento è quello riguardante Ethan, lo sviluppo del suo personaggio e di come i traumatici eventi del suo passato abbiano eroso il suo equilibrio psicologico fino a portarlo inevitabilmente a scegliere la strada più facile, quella che una “creatura” come lui dovrebbe essere per natura portato istintivamente a percorrere.
Tutto questo ovviamente volendo seguire la corrente di pensiero portata in auge della bella e letale compagna di viaggio del nostro cow boy, che brama l’idea di cavalcare insieme a lui verso i lidi più oscuri delle tenebre. Facendo rapidamente un passo indietro per constatare la panoramica dentro la quale sono iscritte tutte queste vicende, è interessante analizzare l’atmosfera dentro la quale si ritrovano i personaggi, completamente agli antipodi rispetto a quella con cui abbiamo avuto a che fare fino a questo momento: nulla delle immense distese aride e desertiche americane sembra ricordarci i toni cupi e poetici della cara vecchia Londra, che vengono sostituiti con colori più caldi ed accesi.
Quella spessa patina di gotico che ha sempre permeato in ogni singolo episodio di Penny Dreadful è stata a tratti alleggerita in questa occasione, pur rimanendone comunque spesse tracce lungo tutto l’episodio. Così come il paesaggio, anche la parola, che di solito è sempre magnificamente raffinata e curata nei minimi dettagli, risulta più arida e meno studiata, forse anche per sottolineare la semplicità più terra a terra del popolo americano.
Tornando a monte del discorso, Hecate sa esattamente quali corde pizzicare per stimolare in Ethan la voglia di lasciarsi andare, la voglia di abbandonare finalmente quell’insalubre senso di colpa che grava su di lui come un pesante giogo dal quale non riesce a liberarsi. Il fatto più curioso è che in effetti il suo essere mostro pesa relativamente poco in questa continua autoflagellazione mentale: i suoi crimini più gravi sono stati commessi dall’Ethan uomo, non animale.
Se per l’approvazione del padre ha massacrato intere tribù di apache, per la redenzione si è scontrato con i suoi vecchi compagni alleandosi con il “nemico” e tradendo addirittura la sua famiglia, provocando poi la tragedia di cui suo padre l’accusa e che lo porterà a confrontarsi con lui alla fine dell’episodio.
La crisi d’identità che alberga in lui è più che mai evidente: è un Talbot? Un Chandler? Un apache? Un mostro o un salvatore? Mentre esplica a gran voce i suoi dissidi interiori, Hecate cerca di spingerlo verso il punto di non ritorno.
É come se la strega incitasse, con le sue parole dissacranti e i suoi discorsi miscredenti, rivolte a quel Dio crudele ed ingiusto che lo ha trasformato in un glorioso mostro portandolo ad odiare se stesso, quella vocina nella sua testa che lo persuade ad abbracciare il lato più buio di sé, perché le energie spese nel cercare di combatterlo sono troppe e per quanti sforzi faccia non riesce mai a scacciarlo dal cuore e dalla testa.
Potremmo quasi antropomorfizzare questo concetto ipotizzando l’immagine classica e stereotipica del diavoletto appollaiato sulla spalla del protagonista. Ma come in ogni rappresentazione di questo tipo c’è sempre una controparte che cerca di salvare il soggetto per condurlo verso una più fulgida luce.
In questo caso si tratta del padre apache di Ethan, Kaetenay, che con l’appoggio di Sir Malcom cavalca instancabilmente per assicurarsi che la profezia avuta in sogno non debba mai avverarsi: il mondo piomberebbe nel caos, brulicante di sanguinarie creature della notte che letteralmente divorerebbero questa terra, del quale non resterebbe poi nient’altro che oscurità.
Il chiaro parallelismo che intercorre tra la cristiana concezione di satana/maligno/vampirismo presentataci fino a questo momento nella cornice londinese e quella invece apparsa nel più primitivo mondo tribale degli apache, chiaramente esplicata con terminologie e figure differenti, è resa evidente sia dal sogno di Keateney che dal racconto di Ethan ad Hecate mentre si trovano nella grotta: non si parla di vampiri ma di “creature della notte”, non si nomina il salvatore ma “il primo apache”, ma comunque il concetto è chiaro e lampante. Tornato infine al ranch di famiglia, Ethan ha finalmente il confronto tanto atteso con il padre.
Con un Brian Cox in splendida forma, che dà sempre il suo meglio nell’interpretazione di uomini duri, arroganti e risoluti, viviamo quest’ultima manciata di minuti con i giri del motore a mille: un’angoscia densa e palpabile si sprigiona dal discorso di Jared Talbot, che ripercorre passo passo gli orrori che hanno investito la sua famiglia, massacrata dagli ultimi apache sopravvissuti con il diretto aiuto di un’inconsapevole Ethan che viene trafitto da violente e precise stilettate di dolore alle rievocazioni dettagliate del padre, mentre descrive con spietata minuzia la morte della moglie e dei figli.
La pena è troppa per Ethan, che decide di scrollarsi di dosso una volta per tutte questo fardello e percorrere la strada che aveva iniziato ad intraprendere insieme ad Hecate dopo aver accettato l’evocazione satanica dei serpenti, suggellata poi dal loro amplesso nella grotta. Se il dubbio sul suo essere distruttore o salvatore del genere umano era vivo fino a poco prima, ormai Ethan sembra essersi liberato da ogni futile congettura: lui appartiene all’inferno.
Questo episodio non rasenta certo l’eccellenza a cui ci ha abituato Penny Dreadful, ma sicuramente è riuscito a guadagnarsi diverse note positive. L’ambientazione in puro stile spaghetti western, completamente estranea al mondo che la serie ci ha presentato finora, può piacere o non piacere, ma comunque la carenza di linguaggio e dialoghi forbiti tipici di questa serie ha contribuito ad abbassare il livello generale dell’episodio. Delle tante scene forti e d’impatto (evocazione satanica, discorso finale di Jared Talbot) se ne aggiungono altre decisamente più tediose come i combattimenti e i discorsi autocelebrativi dello sceriffo. L’analisi dei dissidi interiori che tormentano Ethan è accurata e profonda, aiutata nella sua perfetta riuscita da un Josh Hartnett più credibile del solito.
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— monia 🏳️🌈 (@maplewhite1912) May 30, 2016
Ethan, capisco che in tempo di carestia ogni buco è galleria, PERÒ #PennyDreadful
— bobo the angsty zebra (@allonsydearie) May 30, 2016
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