Peaky Blinders3×02 Episode 2 – 3×03 Episode 3

I problemi della famiglia Shelby non finiscono: tra affari sempre più loschi e tragedie inaspettate Peaky Blinders si rimette completamente in gioco. I criminali più amati di Birmingham si trovano a fare i conti con un cambio di equilibri da non sottovalutare, una prova di maturità per loro e per tutta la serie.

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Se c’è una cosa che amiamo di Peaky Blinders è la capacità di equilibrare in maniera sempre convincente i meccanismi narrativi delle serie – dichiaratamente commerciali – con il coraggio di osare proprio delle produzioni più indipendenti. La televisione inglese, più di quella statunitense, ci ha già abituato a questo sano equilibrio tra lo spettacolare e l’impegnat(iv)o, e Peaky Blinders ne è sempre più una conferma, tra cambi di rotta continui, sale da tè che prendono il posto dei pub, e affari ogni volta più pericolosi che mal si conciliano che le dinamiche private e famigliari dei protagonisti.

Peaky Blinders 3x02 3x03 recensione

Per prima cosa la romantica storia d’amore della prima stagione, il mescolamento di carte della seconda, e la celebrazione prolungata e apparentemente conclusiva del primo episodio di questa stagione, vengono completamente spazzati via dal secondo e terzo episodio: quella che sembrava essere una favola si è trasformata in una tragedia; in realtà lo è sempre stata, ma con la morte di Grace si segna un punto di rottura definitivo con il passato, che mette in pericolo gli equilibri della famiglia Shelby come mai niente era riuscito prima. Ci venga perdonato il salto temporale di 60 minuti, sappiamo bene che c’è un intero episodio prima del suddetto colpo di scena, ma l’evento chiave per meglio apprezzare sia il secondo che il terzo episodio sta proprio nella grandiosa sequenza finale, e da quella non si può prescindere.

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Premessa: forse la caratterizzazione di Grace era stata portata a livelli estremamente basilari per abituare lo spettatore alla sua perdita, forse poi l’intera storia dello zaffiro maledetto lasciava presagire l’imminente dramma, mettiamoci anche la faida con gli italiani, da cui ci si poteva aspettare una vendetta coi fiocchi, e i dialoghi sdolcinati pieni di promesse e speranze per il futuro tra Grace e Thomas, insomma, gli indizi sotto gli occhi dello spettatore erano tanti, e nonostante ciò Tim Mielants, regista di questa stagione, riesce a confezionare una scena che è un piccolo capolavoro, che forse non brilla per originalità, ma che appaga il cuore, la mente, e gli occhi mantenendo un’altissima intensità drammatica nonostante l’attenzione per la forma.

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La composizione è a metà strada tra un dipinto rinascimentale e una fotografia di Gerard Rancinan, il ralenti dilata la percezione della drammaticità e impreziosisce il fluttuare del vestito di Polly, che ricorda i volumi di Michelangelo tanto quanto la camera che indietreggia costante e lenta ricorda gli attualissimi videoclip di Kanye West e FKA Twigs per Power e Two Weeks. L’esercizio di stile, per quanto tale, riesce a darci una visione generale dell’evento e dei suoi attori da un punto di vista distaccato e obiettivo: Grace tra le braccia di un disperato Thomas, Polly che fa del suo meglio per soccorrere, come di solito succede, mentre Arthur e John pestano senza pietà l’assassino italiano, Linda sullo sfondo si dispera per la collera del marito che inevitabilmente riaffiora, e la duchessa Tatiana guarda la scena da spettatrice, senza alcune compassione, rendendo il quadro tanto ipnotico quanto inquietante.

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Il terzo episodio, per la prima metà, fa temere una pausa riflessiva che rischia di rallentare troppo la vicenda, ma così non è, e dopo l’iniziale disorientamento Thomas torna all’attacco più carico di prima, più feroce addirittura, gestendo i fratelli e gli affari con una spietatezza che ci saremmo aspettati invece da Arthur. I ruoli si sono un po’ invertiti, mentre Thomas sembra rischiare qualche passo falso per la troppa foga, Arthur guarda il sangue sulle sue nocche con occhi diversi. Neanche a dirlo John è sempre il solito ragazzino, ancora fedele alla mentalità “da strada” fatta di agguati e birre. Il personaggio di Michael invece sembra essersi perfettamente incastrato nei meccanismi della famiglia e della serie stessa, innestando le prime incomprensioni interne, a tal proposito ci auguriamo che il rapporto altalenante e ambiguo tra i tre fratellastri si risolva in modo ben più concreto della solita scena del puntarsi la pistola contro, che per quanto carica di pathos affossa tutto nel cliché del genere.

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Interessanti anche i nuovi arrivi, che non fanno rimpiangere il vecchio Campbell. La già citata duchessa e la sua famiglia, ma anche e soprattutto Padre John Hughes, ottimamente interpretato dal sempre impeccabile Paddy Considine, spostano per la prima volta gli affari e i conflitti al di fuori del controllo territoriale, e permettono inoltre alla scrittura di Steven Knight l’uso di un linguaggio meno intuitivo, fatto di sottotesti non sempre immediati. Le trame secondarie sono ben inserite in quella principale, come ad esempio la commovente vicenda del vecchio italiano e di sua moglie; i personaggi si stanno tutti muovendo in una direzione non del tutto nel loro controllo – a tal proposito Ada sembra essere l’unica senza un ruolo molto chiaro, staremo a vedere se rientrerà negli affari di famiglia o preferirà la tranquillità delle biblioteche -, dell’aspetto tecnico poi è inutile parlare, vista la manifesta superiorità sul 90% delle serie attualmente trasmesse.

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Peaky Blinders non smette di convincere. Con una veste finalmente più adulta, che sia quella per un funerale o quella dei completi su misura delle cene con le persone che contano, la serie inglese resta fedele alla sua natura violenta e spietata giocando non tanto con i colpi di scena quanto con una ricercatezza formale che finalmente è anche accompagnata da una narrazione dalla lettura non sempre facile. Non ci siamo mai soffermati sulla qualità della recitazione, forse dandola per scontata visto il livello da sempre alto dell’intero cast, ma questa volta davanti a Cillian Murphy c’è da inchinarsi, per una prova attoriale che definire sorprendente è riduttivo. Per i più esigenti poi a dare soddisfazioni su soddisfazioni c’è sempre la colonna sonora, che conferma i Radiohead e aggiunge i Queen of the stone age affiancandoli al solito Alex Turner e PJ Harvey; si può chiedere di più? 5 porcamiseria, inevitabili, perché di difetti – a parte forse l’assenza di Tom Hardy – proprio non ne vediamo.

5

 

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