Se nella puntata precedente ci sono stati proposti, già piuttosto alacremente, gli ideali puri e primordiali che regolano il vero spirito profondo e passionale degli Highlander, in questo decimo episodio si procede spediti sulla stessa linea di condotta, ma addentrandosi questa volta a pieno regime nel clima della tanto preannunciata battaglia. Non ci sono più dubbi ormai, la guerra incombe e nel momento in cui investe a pieno i nostri protagonisti, ci fa assaporare fino all’ultimo momento il gusto dolceamaro che sprigiona con i suoi alti e bassi, trasformando questo decimo episodio in uno dei più commoventi ed emotivamente provanti dell’intera serie.
Mai come in questo caso, noi spettatori ci troviamo piuttosto spiazzati al preludio di questa guerra perché in fondo anche i più ferventi idealisti devono chinare il capo non solo nei confronti della storia, la Storia vera, quella con la s maiuscola si intende, ma anche verso gli eventi futuri di Outlander che ci sono stati presentati ad inizio stagione. Claire e Jamie non riusciranno a cambiare la storia, Culloden sarà una vera e propria Waterloo e la cultura Highlander scomparirà per sempre.
Niente eventi estrosamente romanzati o aleatori specchietti per le allodole: abbiamo la certezza matematica che Claire tornerà nel suo tempo e scoprirà la triste realtà che tutti abbiamo imparato sui banchi di scuola. Per tanto, approcciarsi sempre più da vicino a questi eventi è emotivamente difficile per gli appassionati, e lo è anche nel caso in cui si ha la certezza che le cose vadano per il verso giusto. Stiamo infatti precorrendo un po’ troppo i tempi, perchè alla disfatta di Culloden manca ancora qualche tempo. Ora la battaglia che incombe è quella di Prestonpans: Claire sa che questo primo round verrà vinto dall’esercito scozzese, lo sanno Jamie e Muragh e lo sappiamo anche noi.
E allora perchè trapela questo sottile filo di tensione che si insinua serpentino nelle certezze di tutti? Il perchè verrà spiegato dallo stato d’animo turbato ed amareggiato di Claire espresso dalla sua stessa voce narrante ad inizio episodio e, in maniera breve ma esemplare, da Murtagh verso la fine dei sessanta minuti.
Murtagh: ” I expected the flavour of the victory taste sweeter”.
Non tiriamo certo in ballo gli stucchevoli moralismi di chi fa del buonismo becero il proprio pane quotidiano: la guerra è (purtroppo) spesso necessaria e, da un Macchiavellico punto di vista, il fine giustifica i mezzi nella maggior parte dei casi. Suvvia, non si può certo pensare di guadagnarsi la libertà intavolando diplomatiche trattative seduti a tavolino con gli inglesi sorseggiando del te con i biscotti! Ed infatti questo concetto trapela più e più volte nei discorsi dei nostri personaggi, persino di Jamie, del quale tutto si può dire meno che abbia squallide tendenze guerrafondaie. Ma purtroppo è anche vero che finché il dolore non ci tocca personalmente, non riusciamo a comprendere fino in fondo la scia di orrore che ogni guerra lascia dietro di sé.
Prima di toccare però i punti cardine di questo discorso, è necessario intavolare una breve premessa spendendo due parole sugli importanti contorni che circoscrivono la portata principale dell’episodio. Come già visto nella puntata precedente, anche in questo caso vediamo come il forte ma poco lungimirante spirito scozzese vada a cozzare con chi invece fa della lungimiranza la sua primissima forza: l’esempio più calzante in questo senso lo vediamo negli accesi scontri verbali tra i due comandanti dell’esercito Highlander.
L’uno scozzese, l’altro irlandese. L’uno propende per un attacco violento, immediato e senza quartiere nonostante il terreno paludoso che si frappone fra loro e l’esercito britannico. L’altro sostiene una strategia più cauta e ragionata, asserendo che il peso degli uomini li farebbe sprofondare in quella pozza di melma acquitrinosa. Che fare quindi?
Perchè il principe Charles, colui che dovrebbe essere il leader indiscusso di questa ribellione, si impantana in maniera piuttosto goffa nella sua vacua diplomazia inconcludente, dando come l’impressione di voler tenere il piede in due scarpe. A risolvere questi inutili attriti, ci pensa ovviamente il nostro Jamie, che propone a Dougal di testare il terreno paludoso a cavallo.
E questo gli fa onore. Fa onore a Dougal che, tronfio e pomposo come non mai, si inorgoglisce nel correre il rischio di finire impallettato dai moschetti inglesi andandoli a stuzzicare fin troppo vicino a casa loro, dimostrando alla folla di Highlanders ammiranti e al suo principe, quanto sia coraggioso e disposto ad immolarsi per la loro nobile causa. Il sorrisetto sotto i baffi quando una pallottola gli sfiora la testa, la dice molto lunga. E ovviamente fa orgoglio a Jamie che prova sì a risolvere questo noioso grattacapo ma dà anche a Dougal la possibilità di sentirsi acclamato e fiero, infondendo di riflesso l’ennesima e utile iniezione di fiducia nei suoi commilitoni che applaudono e urlano di gioia, rinfrancati e fiduciosi come non mai da questa dimostrazione di coraggio. Non due ma ben tre piccioni con una fava, e bravo Jamie!
Di questo forte spirito c’è però da sottolineare anche la nota non proprio stonata, ma piuttosto malinconica espressa in maniera quasi “romantica” da Murtagh: lui non ha mai fatto parte di una grande realtà, ma solo di quella circoscritta e, passatemi il termine, “limitata” del piccolo praticello del suo clan, nella cui storia la sua memoria sarebbe sempre rimasta indelebile in caso di morte durante un piccolo assalto o sortita.
Ma per questa grande causa e in questo ampio esercito lui cosa conta? Che il responso della battaglia sia positivo o negativo, la sua morte non sarà nient’altro che un numero, un statistica insignificante in mezzo a tante altre. Tradotto in parole povere, la paura che pende gravosa nell’animo del buon Murtagh è quella di non essere ricordato per le sue gesta di guerriero immolatosi per la sua terra, morendo quindi senza lasciare un segno tangibile del suo coraggio. Dilemma che in realtà è facilmente accostabile con quello espresso a profusione nei grandi poemi dell’epica classica. Gira che ti rigira tutto il mondo è paese.
E’ ora il momento di tornare al punto di partenza di questo paragrafo, a quel già citato sapore dolceamaro che può produrre una battaglia, seppur vinta in maniera schiacciante. Si, pechè Prestopans è stata un vero trionfo per l’esercito scozzese, che grazie alla soffiata di un fittavolo del posto, ha potuto aggirare furbescamente il terreno paludoso e sorprendere con il favore della notte e una fitta nebbia, l’ignaro esercito inglese.
Questo è ovviamente il dolce della vittoria: le felicità di un popolo oppresso nel vedere uno spiraglio di speranza per le battaglie a venire. E questo lo si nota soprattutto quando Jamie mette piede nell’ospedale gestito dalla sua Claire, incrociando così lo sguardo della donna: uno sguardo emozionato che non si dimentica facilmente, ma mai quanto quello che si sono scambiati prima di partire.
Se questo è uno sguardo di felicità, quello era uno sguardo di paura, intenso, innamorato, un tacito saluto che nasconde l’angoscia e il timore di non poter riabbracciare la persona amata. Questa volta però la triste sorte non è toccata a Jamie, ma ad un altro personaggio molto amato della serie e cioè il comico e sempre allegro Angus.
La sua morte è stata fulminea, improvvisa e inaspettata, un vero pugno nello stomaco per lo spettatore, che non avrà lesinato fiumi di lacrime per questa scena toccante. Claire, Jamie, Murtagh e persino Dougal circondano il corpo esanime e macchiato di sangue di Angus, ammutoliti e attoniti, con il viso rigato da lacrime amare e copiose che poco prima credevano di dover versare per Rupert, dolorante e in fin di vita, sopravvissuto invece al suo grande amico di tante risate.
L’emozione raggiunge il culmine nel momento in cui Rupert prende in ricordo la spada di Angus, promessa a quest’ultimo in caso di morte, durante la vigilia della battaglia in uno dei loro soliti momenti comici, che racchiudevano però intrinsecamente il vero senso dell’amicizia: nulla di commuovente ed epico come nel caso dei due amici fittavoli, ma esprimendo genuinamente, nel loro modo goffo, l’affetto profondo che legava l’uno all’altro.
Perchè l’amicizia in fondo non ha bisogno di paroloni e sguardi profondi per essere vera, e Rupert e Angus l’hanno dimostrato egregiamente. Ecco dunque il risvolto amaro della guerra: la battaglia è vinta ma Jamie, Claire e i loro amici hanno perso molto. Mentre tanti soldati Highlander che magari hanno avuto la fortuna di non perdere una persona cara nella battaglia, festeggiano a suon di musica e fiumi di birra, i nostri protagonisti stanziano sommessamente alla luce del falò, scuri in volto e con un peso gravoso sul cuore. Ecco qui il perfetto esempio di ciò che dicevamo circa una pagina fa: il dolore lo si può capire veramente solo quando ti tocca da vicino.
Altro episodio altro capolavoro. Non c’è niente da fare, l’atmosfera scozzese è quella che calza perfettamente su misura ad Outlander, molto più di quella francese lasciata alle spalle ormai da qualche episodio. E’ uno dei punti di forza della serie, l’habitat naturale dove esprimere tutto il suo potenziale. In questo episodio gli autori si sono evidentemente giocati tutto sull’emotività, che per un motivo o per un altro colpisce gli appassionati per tutti i sessanta minuti. La morte di Angus è stata gestita in maniera splendida: improvvisa, inaspettata e fulminea, quasi brutale oserei aggiungere, ma è proprio grazie a questo che la reazione emotiva è stata forte, mandando in subbuglio i sentimenti degli spettatori. Quattro porcamiseria e mezzo per questa splendida puntata.
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ecco perché avevano fatto fare il promo all'attore che interpreta Angus!!! era tutto calcolato ovviamente!! maledetti! #Outlander #2×10
— Veronica (@VperVero) June 12, 2016
Ancora emotivamente distrutta da #LadyMidnight mi guardo #Outlander e combo perfetta, mi vado a lanciare dalla terrazza.
— Venere (@artsalcoholic) June 12, 2016
"Se non smetti di affilarla, quella spada diventerà un ago." Palesissima reference a #got 😍 #outlander
— Rêverie. (@noaherondale13) June 12, 2016
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