Orange Is The New Black5×01 Riot FOMO

Orange Is The New Black riparte con una stagione che potrebbe essere una scheggia impazzita. Niente è come prima quando le guardie diventano prigionieri e le detenute i capi, tranne la qualità della serie, che riesce sempre e comunque a convincere alternando toni spensierati e momenti drammatici con una facilità esagerata.

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A Litchfield è scoppiata una rivolta. Una detenuta impugna una pistola puntandola contro un agente, tutt’attorno una massa di criminali fomentate chiede a gran voce l’esecuzione: la quarta stagione di Orange Is The New Black si era conclusa con questa scena, e da questa scena riparte la quinta, che non ci tiene ad interrompere una continuità che è ormai diventata la formula vincente dell’intera serie.

Il problema della verosimiglianza Orange Is The New Black l’ha sempre avuto, e quanto sia effettivamente verosimile questa rivolta, e quanto lo sia la sua durata così prolungata, e l’assenza di un intervento esterno, non lo sappiamo. Il bello è che della verosimiglianza Jenji Kohan, creatrice della serie, se n’è sempre fregata, sfruttando l’idiozia delle guardie fin troppo spudoratamente per mettere in scena snodi narrativi altrimenti impossibili. In questo caso l’espediente della rivolta permette una libertà di scrittura che sarebbe un crimine non sfruttare: gli spazi e i tempi del carcere si slegano dai limiti costruiti negli scorsi quattro anni, per la prima volta le protagoniste non sono chiuse dentro, ma chiudono fuori il resto del mondo in un capovolgimento del concetto stesso di prigione. La possibilità che tutto si risolva in una vagamente distopica dimostrazione di fallimento dell’autogoverno in pieno stile “Il signore delle mosche” è concreto, la speranza è invece quella che l’improvvisa anarchia si riversi soprattutto all’esterno, e in questo senso l’intenso video messaggio di Taystee & co. condiviso sul web lascia ben sperare.


Mentre quelle che una volta erano le protagoniste, le bianchissime Piper e Alex, cercano di restare fuori dai guai accollandosi l’altrettanto bianca Linda Ferguson, e l’altrettanto bianco gruppetto di nazi/nazionaliste viene almeno temporaneamente annullato, sono le minoranze (che in realtà a Litchifield sono maggioranze) a prendere in mano la situazione. Tra le ispaniche Gloria sembra essere l’unica a sapere cosa fare, mentre Daya dimostra la sua eterna debolezza dopo averla nascosta gambizzando il biondino.
Dall’altra parte Taystee capitana il gruppetto black, che coerentemente con i fatti di cronaca a stelle e strisce degli ultimi due anni non perdono di vista la lotta per la giustizia. Il videomessaggio registrato è di fatto il cardine della rivolta stessa, delle sue motivazioni e delle implicazioni sociali, è il simbolo di un coraggio che supera il gap comunicativo e tecnologico fino ad ora subito dalle detenute, risolto brillantemente dal faccione di Danielle Brooks che sintetizza con un paio di espressioni in primissimo piano la definizione di dramedy.


Relegate al ruolo di simpatici riempitivi sembrano essere Lorna e Nicky, alle prese con le due tossiche stordite, e l’inseparabile coppia Boo/Doggett; in entrambi i casi probabilmente sarà crisi, da un lato per una dipendenza sempre in agguato e dall’altro per una cotta non completamente soppressa. Ma il riempitivo vero per ora è Red, personaggio protagonista per definizione, che non dubitiamo possa rialzarsi dal baratro raggiunto in quest’episodio, relegata a ridacchiare sulle foto, pur divertenti, di Piscatella.

Una partenza fulminante, ed essendo nel pieno di una rivolta non poteva che essere altrimenti. Se l’anarchia regna incontrastata nella (non) organizzazione del carcere, altrettanto non si può dire per la puntata, che mantiene la struttura solita, e riesce a gestire le tante storyline in maniera sempre equilibrata nel minutaggio e per quanto possibile nella rilevanza narrativa. Mai un attimo di confusione nonostante il viavai continuo per i corridoi, mai niente fuori posto, e se da un lato ciò è indice di idee chiare dall’altro conferma l’unico difetto che si può recriminare a questa serie: quello di non osare nella messa in scena e di non rischiare nulla nella scrittura, che resta efficace e ragionevolmente diretta nelle situazioni significative, ma che non fa niente per scrollarsi di dosso quell’aria edulcorata che ormai tutte le serie Netflix propongono. Un buon inizio per quella che sembra essere una vera e propria discesa verso territori inesplorati, una di quelle ripide, sperando che si continui a rotolare sempre più veloce spaccando tutto ciò che si trova sul percorso.

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