Orange Is The New Black4×06 Piece Of Shit – 4×07 It Sounded Nicer In My Head

Viaggiamo nelle molteplici prigioni di Lolly, soffriamo con Sophia, ci preoccupiamo per il futuro incerto di Nicky. Mentre il futuro delle detenute è segnato dai prossimi lavori forzati, Piper subisce una punizione esemplare, che cambierà tutte le dinamiche interpersonali in corso, in primis quella con Alex.

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Piece Of Shit

Ciò a cui assistiamo, nel sesto episodio della quarta season di Orange is the new black, è la parabola discendente della nostra amata Nicky. La strepitosa, ironica, sarcastica, controversa Nichols. Quanto ci era mancato il suo umorismo, il suo sguardo particolare sul mondo? Davvero molto. Al carcere di massima sicurezza, si apre il sipario sulla sua storyline, con un discorso davvero emblematico del suo profilo. Nicky è libera, non dalle sbarre, non dal suo crimine, ma dal suo passato, da quel tunnel perenne che è la tossicodipendenza. Nicky si è disintossicata, ha ricevuto quel pezzo di plastica così stupido, eppure così speciale. E la seguiamo con il carrello delle pulizie, tra i corridoi del carcere, ad osservare quel cielo confinato in un cortile, a recitare le capitali, per conservare inalterata la sua mnemosine. Sembra una situazione un po’ triste, ma non è cosi, perché ha ritrovato se stessa e ha raggiunto un equilibrio, da troppo tempo perso. Al carcere di massima sicurezza troviamo un’altra sorpresa: Stella. Colpita dall’acredine di Piper, anche Stella si trova lì, in una liaison abbastanza paradossale con Nicky. Ciò che ci colpisce del loro incontro è vedere Nicky nelle vesti di un grillo parlante. Come una bussola morale, ripudia la ricerca di droga della sua partner.

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Un momento topico è l’incontro con Luschek. Da vero colpevole del destino di Nicky, in preda ai sensi di colpa, va a trovarla. Ma di certo Nicky non segue nessun tipo di diplomazia, ogni suo discorso è, sempre, uno specchio della realtà, nudo e crudo. Ogni sua parola è un vetro tagliente dell’ipocrisia della guardia. Sola, ma pulita. Sì, è disintossicata, peccato che si ritrovi in un posto in cui ad ogni angolo spacciano. Senza famiglia, senza un amico. Sola, eppure costretta a vivere in mezzo alla folla. La sua condizione è paradossale, contraddittoria. Immaginate quindi il suo disappunto quando, a distanza di mesi, un riprovevole Luschek si presenta al di là del vetro a blaterare parole di circostanza. Beh a questo punto un’unica parola è appropriata: vaffanculo.

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Un colpo di scena introduce, nella storyline di Nicky, un altro personaggio: Judy King. Dato che Luschek voleva confessare, la Madre Teresa di Litchfield agisce secondo il proprio particulare. Non volendo perdere l’unica persona con cui è affine, con la quale condivide sentimenti razzisti e classisti, riesce a far tornare a casa Nicky. Ma ogni cosa ha il suo prezzo e quello di Judy è, davvero, altamente squallido. Purtroppo, la tempistica del suo rilascio è tragica. Mentre Caputo sta per firmare, in una scena bipartita e ampiamente suggestiva, Nicky raggiunge quello squallore dettato dalla fragilità. Dopo aver assistito al tentato suicidio di Sophia, dopo aver osservato le pagine del giornale insanguinate, dopo aver rivangato il passato con l’artefice della sua rovina, Nicky soccombe a quella dicotomia così noir del vizio e della miseria. Il sipario sulla sua storyline, che si era aperto sul suo nuovo brand, si chiude in quello stanzino, correlativo oggettivo della decadenza. Due i simboli di questo climax ascendente: il gettone iniziale e la dose finale. Nel mezzo, una Nicky sì forte, ma non ancora coraggiosa e soprattutto succube di ogni tipo di violenza, fisica e psicologica.

Intanto, a Litchfield, Piper si trova in una situazione profondamente rischiosa. La task force, da lei organizzata, ha scoperto il suo business delle mutandine. La Chapman, a questo punto, si trova ad un bivio: fare lo squalo o attendere? Esortata da Big Boo a tutelare tutte e non solo se stessa, Piper incastra Maria, con conseguenze tragiche. Infatti, Piscatella, appellandosi ad una intransigenza ferrea e dogmatica, cifra della sua persona, propone un allungamento della pena da tre a cinque anni. Maria non sarà presente nella vita della sua bambina, ma proprio nel momento di maggior sconforto e disperazione, tra le lacrime, alza il tiro. Non più mutandine, bensì droga. Negli ultimi minuti dell’episodio, nel suo sguardo rivolto a Piper, avviene la sua metamorfosi. Diventa un vero boss, come suo padre, e ciò che seguirà sarà proprio quella logica del cartello, che conosce così bene.

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Suggestivo, in Piece of Shit, costruito su profonde note tragiche, il discorso che Lolly fa ad Healy. Entrambi alieni dalla realtà contigente, la loro scena proietta lo spettatore al di là delle logiche trasversali e meschine che colpiscono gli altri personaggi. Ed ecco che ci ritroviamo nelle prigioni di Lolly. La prigione letterale, ovviamente. La prigione delle medicine, quella in cui non si sente niente. E, infine, la prigione delle voci. Un discorso al confine tra realtà e fantasia, raziocinio ed ingenuità, che ci fa amare ancora di più il suo personaggio, ma che, sopratutto, evidenzia la profondità e la consapevolezza di una donna che, aliena dalla contigenza, viaggia nei meandri del suo Io.

Cinque porcamiseria per Piece of Shit, in quanto l’episodio si basa su una suggestiva struttura ad anello, in cui ogni inizio coincide con la fine, intersecando piani temporali così diversi ed irreversibili.

5

 

It Sounded Nicer In My Head

Una giornalista sui generis, un reportage che scotta e un editore che non vuole pubblicarlo. Sembra una situazione perfettamente ordinaria, anzi caratteristica dei giornalisti più validi e competenti, all’inizio della loro carriera. La giornalista in questione, con abiti colorati, una parlantina inconfondibile e una macchina da scrivere retrò è, però, la piccola Lolly. Inizia il flashback e conosciamo il suo retroscena, fatto di complotti e una particolare allegria. Relegata dalla sorella a vivere tra emarginati, la piccola Lolly scappa dove nessuna voce può raggiungerla, dove, nella tranquillità della natura e della povertà può rifugiarsi nel suo mondo, lontana dalle congetture e dalle spie del governo della sua psiche. Protagonista del suo flashback non è solo l’estrosa Lolly, ma sono anche le sue voci che filtrano, per lei, la realtà, mistificandola. Un flashback, quindi, corale e policentrico. Innocua e felice, Lolly va in giro a versare quel balsamo del cuore e dello spirito che è il caffè. Purtroppo vittima della logica di una società non tanto diversa da quella cospiratrice, dipinta dalla sua mente, viene bloccata dalla polizia, in modo ingiusto. Solo perché è pazza, solo perché appartiene a quel cerchio di invisibili che la società preferisce nascondere e reprimere, piuttosto che assistere. La stessa società che ha costruito quelle strutture abominevoli che sono i manicomi, a cui assomiglia la psichiatria di Litchfield. Alla prigione delle sue voci si aggiunge così, nella sua vita, quella letterale. Ed eccola a Litchfield, a costruire una macchina del tempo.

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Nicky è tornata a casa e tutte le novità del carcere sono filtrate dal suo occhio. Non è solo Red ad essere super felice per il ritorno di una delle sue figlie, lo è anche Piper, per avere, finalmente, un’amica a cui confidare la sua paura ed il suo rimorso per aver denunciato Maria. Ma il rimorso non basta, non riesce a cancellare il passato né ad evitare le conseguenze, nel futuro prossimo. Conseguenze sanguinarie e punitive. Tradita dalla sua logica opportunistica e pragmatica, viene marchiata. Letteralmente. Proprio nel suo momento più vulnerabile, Piper diviene vittima del rancore di Maria. Non più Orange is the new black, ma Gomorra, Maria sembra essere l’erede perfetta di don Pietro o Ciro. Finisce l’episodio con Piper, con una svastica sul braccio, marchiata con il fuoco. Una scena sapientemente elaborata in cui, in un chiasmo suggestivo ed emblematico, alle urla di Piper si contrappone la musica della festa. Gioia e dolore, umiltà ed arroganza, amicizia e razzismo: tutto questo viene rappresentato negli ultimi tre minuti di questo settimo episodio. Un plauso a tutto il lavoro autoriale.

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Per quanto riguarda le altre storyline, Caputo si era impegnato, come ogni direttore dovrebbe fare, a migliorare le condizioni delle detenute ed a fare in modo di dare loro le competenze necessarie per avere un posto nella società. Ma Lidia e la logica della Mmc hanno trasformato i suoi corsi di letteratura e matematica in Calcestruzzo 1. Lidia è partita dalla proposta di Caputo e l’ha trasformata in una legittimazione di veri e propri lavori forzati. Il carattere opportunistico e classista di Lidia diviene lampante. In questo modo la sua relazione interpersonale con Caputo diviene un rapporto tra due profili assolutamente antitetici.

Judy King è una classista irritante ed irriverente, ma questo già lo sapevamo. Ciò che non sapevamo è che è anche razzista. Star di uno spettacolo degli anni ’80, profondamente scorretto, ora vive nel terrore delle black girls, le quali, al contrario, cercano solo un po’ di celebrità. La sua storyline diviene l’emblema delle divergenze sociali. Da una parte i privilegiati, con tutti i loro credi e quella dose di corruzione sempre onnipresente, dall’altra coloro che sono temuti e ridicolizzati allo stesso tempo, posti ai margini del progresso e perennemente sfruttati. Capitalisti ed operai, come ci ricorda Big Boo.

L’episodio merita 4 porcamiseria, per averci condotto nel labirinto di Lolly, tra le sue voci e le sue speranze. It Sounded Nicer In My Head penetra, senza finzione e senza retorica, nel suo inconscio, facendo emergere sogni alternati alle angosce più cupe.

4

 

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https://twitter.com/troublehealy/status/745987793520824320

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