Once Upon a Time6×20 The Song in Your Heart

Con Once Upon A Time, è finalmente arrivato il momento di cimentarsi in magnifiche coreografie e lasciarsi trasportare da melodie fiabesche e cariche di emozioni: il nuovo episodio musicale è pronto a mostrarci un lato inedito, inaspettato e che è assolutamente benvenuto non solo dei nostri personaggi preferiti, ma anche degli attori che li interpretano.

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Dopo sei stagioni, di ben 22 episodi ciascuna, anche la serie più poliedrica ed originale rischierebbe di divenire stantia, banale e, perché no, ripetitiva. Se, tra l’altro, la serie di cui stiamo parlando è Once Upon A Time, che già in passato ha mostrato sintomi di pigrizia e di poca creatività nella scrittura, la necessità di una puntata sopra le righe, in grado di spiccare per il suo concept inedito ed alternativo, è certamente innegabile. In un certo senso, un tentativo era già stato fatto con Wish You Were Here e Tougher Than The Rest, che hanno voluto far leva sulle possibilità date dall’introduzione di una realtà alternativa, seguendo alcuni dei più classici cliché: eppure, nessuno dei due episodi regge il confronto con The Song in Your Heart, che rappresenta la ventata di aria fresca di cui lo show – e il cast – avevano evidentemente bisogno.

A chance for happy ending

Con The Song in Your Heart, i toni di reminiscenza disneyana di Once Upon A Time raggiungono il culmine, grazie al primo e finora unico episodio musical della serie: questo momento non può che costituire un altro traguardo, un’altra bandierina issata da un telefilm che, nonostante i suoi molteplici difetti “di fabbrica”, ha di certo avuto un impatto non indifferente sulla serialità fantasy degli ultimi anni.

Tuttavia, giustificare un episodio quasi interamente musicale solo come l’eccezione, il momento di frivolezza di una serie, non può essere sufficiente, soprattutto nell’ottica di una trama orizzontale che,comunque, richiede uno sviluppo e una coerenza narrativa. E, nonostante non sarebbe nemmeno troppo necessario grazie alla chiara ispirazione alle colonne sonore dei Classici della Walt Disney, in questo senso Once Upon A Time sembra impegnarsi, cercando di spiegare la presenza di una tale rarità nel suo format attraverso l’arma a doppio taglio della magia. Un desiderio, espresso quasi inconsapevolmente da una Biancaneve impaurita per le minacce della Evil Queen e per il destino della bambina che porta in grembo, costringe l’intero regno a esprimersi non più mediante frasi semplici, ma in musica, anche se con le dovute eccezioni che, se da un lato sembrano dei piccoli buchi di trama, dall’altro evitano di scadere nel ridicolo.

Eppure, è tutto più facile a dirsi che a farsi. I tentativi, sicuramente degni di stima, di giustificare questo exploit canoro sostenendo che, se l’amore è la magia più potente di tutte, quello espresso attraverso la canzone abbia qualcosa in più, sembrano un po’ goffi, più simili alle consuete dosi di trash piuttosto che ad una credibile soluzione narrativa. Ma fortunatamente, dopo gran parte della visione passata con questa fastidiosa pulce nell’orecchio, il pubblico può tirare un sospiro di sollievo, quando capisce che la presenza delle canzoni nei flashback è ancillare allo sviluppo di Emma nel corso delle stagioni, a quel percorso che l’ha portata ad uscire dalla propria solitudine. Il fatto che tutti i personaggi delle favole, anche gli ex-cattivi, abbiano lasciato parte di loro nel cuore di una Salvatrice non ancora nata, così da poterle stare accanto nel momento del bisogno, come la famiglia che sono destinati ad essere, fa di certo la sua buona figura, anche se forse leggermente cervellotica e forzata dal punto di vista logico: ma insomma, sempre Once Upon A Time stiamo guardando.

Once Upon A Song

Disclaimer: siete ancora su SerialFreaks, e se vi sono giunte voci che il sito stia lentamente approdando alla critica musicale, diffidate. Semplicemente, ci sembra lecito riservarci dello spazio per rispondere alla domanda forse più quotata riguardo questo episodio: come sono le canzoni? Un calderone di emozioni diverse, senz’altro. La splendida colonna sonora di The Song in Your Heart, tutta rigorosamente originale, cerca di rappresentare quello che lo show, e soprattutto i suoi personaggi, sono stati nel corso degli anni, con dei testi e delle musiche perfettamente attinenti ai loro caratteri. Proprio in onore di questo omaggio ai nostri beniamini, la canzone degli Charmings non può che esaltare la loro Powerful Magic, attraverso una melodia che riecheggia palesemente i toni fiabeschi e incantati delle più classiche tra le canzoni Disney, proprio come un Capitan Uncino ancora assetato di vendetta non può che cantare, tra un bicchiere di rum e un yo, ho! piratesco, di come Revenge Is Gonna Be Mine. Esemplari anche le performance delle sorelle Mills dei tempi bui: mentre la strega verde Zelena stupisce con una gradevolissima canzone da solista, che esprime i suoi perfidi piani ai danni della sorella minore, la Evil Queen si distingue nell’unico momento rock dell’episodio.

Insomma, è evidente che a sentire l’esigenza di questa ventata di novità non fosse solo il pubblico, ma anche i produttori e lo stesso cast, il cui divertimento è più che palese. Oltre a dare il meglio di sé a livello recitativo, gli attori si cimentano nelle scene di ballo e canzone con un entusiasmo contagioso, che esalta tutto il loro talento; tutti mettono in campo prove attoriali eccellenti, come si evince, ad esempio, dall’attenzione di Lana Parrilla alla vocalità del suo personaggio o alle sue sensuali movenze (anche se il ballo della Evil Queen possa sembrare talvolta eccessivo e caricaturale), o dal pàthos che permea l’assolo di Jennifer Morrison nell’ufficio del sindaco. Un applauso va, inoltre, a tutti i tecnici del suono, i musicisti, i coreografi e parolieri il cui lavoro, diretto da Kitsis e Horowitz – con i quali ci complimentiamo per il coraggio -, ha dato vita ad una colonna sonora pressoché perfetta.

A Happy Beginning

A portare avanti la trama orizzontale, ovviamente, ci pensano le scene ambientate a Storybrooke, che,come già accennato, ruotano intorno alla Salvatrice, sempre più vicina alla resa dei conti con la Fata Nera. Le sue emozioni, i suoi ricordi, la sua crescita e il suo percorso sono, dopo la musica, tema centrale di questo episodio, che ha chiaramente l’intenzione di mettere dei punti fermi alla storyline di Emma Swan, un obiettivo ancora più comprensibile dopo la notizia dell’abbandono del cast da parte di Jennifer Morrison. L’apice viene raggiunto nel momento in cui la donna dà voce alla canzone che da sempre conserva nel proprio cuore, la sua canzone, che le ricorda l’importanza di ciò che ha trovato: è chiaro, dunque, come ogni momento, ogni scatto, ogni scena abbia come meta finale la celebrazione del matrimonio tra Emma e Uncino, dopo l’immancabile – ed ennesima – presa di consapevolezza da parte della donna che anche per lei è possibile avere una famiglia, degli amici, un lieto fine e, soprattutto, un ancor più lieto inizio.

There’s no storm we can’t outrun, we will always find the sun, leave the past and all its scars, a happy beginning now is ours.

Dei minuti finali carichi di emozione, dunque, quelli di questo episodio musical, anche per coloro che si pongono, come il sottoscritto, al di là delle ship amorose: dopo le promesse dei due sposi, che ricalcano tutta la loro maturità ed evoluzione, a fare da punto fermo all’esperienza più unica che rara di The Song in Your Heart arriva un momento che esalta appieno la coralità – letteralmente – dello show, coinvolgendo tutti gli invitati in un delizioso inno alla vita, alla felicità, alla speranza, che tanto ci ricorda i capisaldi che fondano questa serie.

Con la minaccia della Fata Nera improvvisamente reale, il tanto pubblicizzato episodio musicale si conclude come un successo per la serie. I tratti fiabeschi, che da sempre caratterizzano lo show, riescono infatti a trovare attraverso le canzoni il loro rafforzamento e il loro habitat naturale, dando vita ad un senso d’armonia che riesce a far chiudere gli occhi sulle incongruenze e i momenti più squisitamente trash della puntata: quella che prevale è infatti l’essenza stessa del genere favolistico, da sempre adibito alla rivelazione di messaggi morali e profondi attraverso figure semplici ed archetipiche, piuttosto che alla coerenza e complessità narrative. Per questo, non vale la pena fossilizzarsi su dettagli di trama poco credibili, dialoghi forzati o scene apparentemente fan-service: quello che conta è godersi l’episodio per quello che è, ossia uno dei prodotti di maggior coraggio che questa serie ha sfoggiato, nonché un’interessante affermazione dell’entusiasmo, del talento, della poliedricità e della fiducia nel proprio progetto che tutto lo staff di Once Upon A Time condivide.

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