NarcosSeason 3 Recap: L’eredità di Escobar

Season Recap Il cartello di Cali domina incontrastato il traffico di droga americano, e mentre la DEA accarezza l'avversario nei suoi ultimi mesi di attività, Peña non molla l'osso nella sua ricerca di giustizia. Narcos è uno spaccato ricco di dettagli del mondo violento e spietato del narcotraffico, anche dopo la morte di Escobar.

7.7

Le prime due stagioni di Narcos ci hanno raccontato Pablo Escobar, la sua vita, l’ascesa nel traffico della cocaina, la lotta contro Peña e Murphy, i suoi rivali e la sua sconfitta. Quella di Escobar fu una lezione da imparare per il cartello di Cali, subentrato nel dominio del narcotraffico non appena l’allora sovrano fu fermato. La distinzione tra il metodo Escobar e il metodo dei fratelli Rodríguez viene subito fatta notare, sottolineando la temibilità del cartello, tanto che si ha il sentore che la Cocaine Inc. sia persino più pericolosa di Pablo.

Per certi versi la sensazione che i movimenti di Peña e della DEA debbano essere misurati e ponderati al millimetro è evidente, specialmente nei primi episodi: viene messo in primo piano l’aspetto tattico della lotta al traffico di droga, a discapito di eventi più densi di azione; tanta è la percezione che la storia debba maturare coi suoi tempi che si deve aspettare il quarto episodio per vedere un po’ di vera carne al fuoco. Come in ogni partita, prima si ordina la scacchiera, poi le pedine possono muoversi.

È tutto psicologicamente allineato all’atteggiamento dei Rodríguez verso i loro affari, più meticolosi nel controllo della loro città tanto da riuscire a scongiurare gli attacchi ancora prima che questi vengano pianificati. Inizialmente, l’unica preoccupazione nel ritiro dalle scene del cartello è la guerra contro i recidivi del narcotraffico, non disposti a rinunciare ai guadagni a lungo termine.

La radice, l’insegnamento di questa rivolta all’abbandono del campo della droga, è la trappola che esso costituisce una volta che vi si mette piede. Non è solo la ritorsione da parte dei trafficanti di Norte del Valle, ma anche e soprattutto l’impossibilità di chi fa parte della squadra di Cali di tornare alla vita civile. Prominente in tal senso è la storia di Jorge Salcedo, l’uomo che fece crollare il castello dei Rodríguez con le mani relativamente pulite – nella serie fa una sola vittima, mentre nella realtà non uccise nessuno -, che a volte risulta persino egemonica sulla storia dei fratelli del cartello, rappresentato al meglio nei suoi momenti più spietati.

Siccome non c’è serie sul narcotraffico senza sparatorie, morti violente e momenti di pura tensione, Narcos riesce quasi sempre nell’intento di farci venire la pelle d’oca. Particolarmente soddisfacente è l’incursione di Pacho in chiesa – una rivalsa della componente LGBT curiosa ma graditissima – come estremamente intenso è il tentativo di cattura di Miguel, nascosto in una claustrofobica intercapedine nel muro della sua residenza: la perquisizione della DEA è un fallimento, ma l’intera sequenza, e soprattutto i primi piani sul volto di Miguel con la mascherina, sono un enorme successo. Meno convincenti i momenti di tensione dedicati a Jorge, costruiti secondo il classico schema della salvezza / risoluzione all’ultimo secondo che alla lunga risulta prevedibile e stancante.

L’aspetto politico è l’altra costante di questa stagione, arrivando a compromettere le operazioni di Peña in più occasioni fino a dopo l’arresto delle quattro teste principali del cartello. La scoperta di un sistema corrotto fino al midollo potrebbe far desistere persino colui che ha contribuito alla fine di Escobar, e la sensazione di sconfitta inevitabile è lo spettro che perseguita il suo percorso: sono altri pezzi di un puzzle ben elaborato, che tuttavia non riesce ad esprimersi al pieno del suo potenziale – tutta la storia di Jurado e consorte, ad esempio, sembra del tutto estemporanea e usata semplicemente per fare brodo.

Narcos, in questa terza stagione, ha avuto il grande pregio di fornire un quadro a 360 gradi della criminalità organizzata colombiana, fino nei minimi dettagli. La mancanza di un personaggio con la stessa gravitas dell’Escobar di Wagner Moura è in parte supplita dallo sforzo congiunto dei Rodríguez, mentre tra i buoni Pedro Pascal difende ottimamente il suo ruolo. La storia del cartello di Cali, carica di momenti di tensione e di riflessioni sul panorama politico degli anni del narcotraffico sudamericano, risente però purtroppo dell’influenza di alcuni espedienti narrativi che azzoppano una narrazione altrimenti eccellente e realistica.

Porcamiseria
  • 7.5/10
    Storia - 7.5/10
  • 7.5/10
    Tecnica - 7.5/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
7.7/10

In Breve

Il cartello di Calì è riuscito, in senso seriale, a far fruttare l’eredità lasciata da Pablo Escobar? La risposta è sì, con qualche riserva. La terza stagione di Narcos rinnova il nostro interesse per la storia del narcotraffico dell’America Latina, ma manca di quel quid necessario a renderla magnetica come le precedenti, azzoppata da qualche espediente narrativo di troppo.

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Porcamiseria

7.7

Il cartello di Calì è riuscito, in senso seriale, a far fruttare l'eredità lasciata da Pablo Escobar? La risposta è sì, con qualche riserva. La terza stagione di Narcos rinnova il nostro interesse per la storia del narcotraffico dell'America Latina, ma manca di quel quid necessario a renderla magnetica come le precedenti, azzoppata da qualche espediente narrativo di troppo.

Storia 7.5 Tecnica 7.5 Emozione 8
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