NarcosNarcos Season 2 – Vita e morte di Pablo Escobar

Pablo Escobar torna più cattivo che mai per la seconda stagione di Narcos. La realtà si mescola alla finzione, e il realismo magico della Colombia ci accompagna in un viaggio pieno di insidie verso la caduta del re indiscusso del narcotraffico.

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Alla fine il protagonista muore“, affermano spesso i simpaticoni che vogliono rovinare il film ai propri compari, o almeno farglielo credere. La mania del No Spoiler ha preso ormai piede in maniera irreversibile tra i divoratori di serie TV, limitando la fruizione – e spesso anche il giudizio – di una qualsiasi opera quasi esclusivamente allo sviluppo della trama. Per nostra fortuna ogni tanto qualcuno è pronto a ricordarci che in fondo l’importante è il “come” una storia viene raccontata: ci ha pensato lo scorso anno American Crime Story – The People v. O. J. Simpson e Narcos segue a ruota. Consci della questione, e dotati di efficace ironia, quelli di Netflix hanno pensato bene di stampare un bel “Pablo muore” sulle magliette promozionali per il lancio della seconda stagione di Narcos, prendendosi definitivamente gioco del terrorismo da spoiler e alimentando un interesse che in verità non si era mai assopito.

Narcos season 2

Narcos 2 riprende le fila del discorso senza alcun cambiamento apparente: torna dunque ad interpretare Pablo Emilio Escobar Gaviria un maestoso Wagner Moura, le cui défaillance linguistiche tanto criticate vengono costantemente oscurate dal carisma recitativo, torna Boyd Holbrook a cui non invidiamo il talento, torna Javier Peña a cui invidiamo i baffi, tornano gli spiegoni della voce narrante, più didascalica e fastidiosa che mai. La vicenda riparte dalla fuga da La Catedral, e con essa la caccia all’uomo, che questa volta accosta ai ripetuti tira e molla tipici delle indagini televisive, una costante e lenta discesa verso la nota conclusione spoiler free. Si è parlato di un Escobar più umano, più profondo e approfondito, ma quello che vediamo per la prima metà della stagione è senza troppe menate il solito Pablo perennemente imbronciato, follemente dedito all’amore per famiglia, e costantemente in controllo della sua vita e di quella di ogni cittadino colombiano; al contrario la seconda metà è giocoforza costretta a cedere il passo al declino del più grande narcotrafficante di cocaina, andando ad eliminare alla cieca pedine dalla sua scacchiera e inserendone di nuove, con un occhio sempre furbamente rivolto alle prossime stagioni.

Nuovi e vecchi personaggi fanno la loro comparsa già dai primi episodi, l’impressione è quella che in mancanza di fatti da raccontare si sia voluto in qualche modo allungare il brodo. La storia infatti ci dice che dalla fuga dalla prigione avvenuta il 22 Luglio 1992 all’uccisione avvenuta il 2 Dicembre 1993, Pablo passò fondamentalmente il tempo a nascondersi. Ecco allora che i nuovi sceneggiatori – Chris Brancato e Carlo Bernard, creatori della serie, hanno lasciato a tal T.J. Brady, responsabile di 9/10 della seconda stagione – si ritrovano a rimboccarsi le maniche per romanzare quanto più possibile, dalla storia di Limòn e l’ingenua ragazza madre, che costruiscono un bel colpo di scena per la definitiva dipartita del redivivo colonnello Carrillo, fino alla nascita dei Los Pepes, i PErseguiati da Pablo EScobar che, realmente esistiti, costituiscono un ottimo collegamento per le prossime annate. Laddove la prima stagione era stata per quanto possibile fedele alla realtà dei fatti, alternando materiale romanzato e riprese reali, formando il mix che ha portato al successo la serie, ora sembra che la finzione prevalga, e se non è certamente un male in alcune occasioni, in altre – vedi la preoccupazione del nuovo colonnello a capo del search bloc per il figlio (momento peggiore della stagione), ma anche le morti di Valeria Velez, che in realtà sarebbe lei, e la Quica, che in realtà non fu così importante – forse attenersi alla realtà avrebbe portato risultati se non più avvincenti, almeno più sinceri e sentiti.

Narcos season 2

Passando ad Escobar – in fondo siamo qui per questo – la sua presunta umanità viene una volta per tutte sviscerata solo negli ultimi due episodi, quando lui stesso si rende conto dell’inevitabile caduta e inizia a non radersi la barba, decisione quanto mai condivisibile, che tu sia un narcotrafficante oppure no. Nel nono episodio inizia a sentirsi aria di fuffa, con gran parte del tempo che viene speso raccontando di Judy Moncada, quando poi entra in scena Pablo tutto cambia: il confronto appassionato con il padre è senza dubbio uno dei momenti più riusciti della serie, e il maiale pronto per essere squartato a testa in giù di fronte al quale i due si scontrano è la perfetta metafora per ciò che è Pablo in quel momento. L’incipit del finale poi, per assurdo, ci spezza il cuore, il narcopresidente che mai sarà viene addirittura inquadrato sul water prima della sua cattura. L’umanizzazione del criminale è dunque completata, in un tripudio di controsensi, sogni, ed ipocrisia proprio della folle mente di Pablo.

Altre cose belle in ordine sparso: il piano sequenza di 3 minuti della sparatoria nell’episodio 6 “Los Pepes“, la lingua spagnola, Pablo che canta spensierato il tango Cambalache di Ruben Juarez all’inizio e alla fine dell’episodio 02 “Cambalache” mentre tutti i suoi ordini assassini vengono eseguiti. A proposito, la sparatoria sopracitata sarebbe avvenuta secondo il figlio di Pablo, Sebastian Marroquin, ben prima che Pablo lasciasse La Catedral, ma si tratta solo di 1 dei 28, giustificabili secondo noi, errori commessi volontariamente o meno, e denunciati da lui stesso con un post su Facebook. Verità o finzione che sia, quello di Narcos è un ritratto di Pablo Escobar sincero e verosimile, seppur non accurato, dunque bando alle critiche, soprattutto se spostando lo sguardo dal piccolo al grande schermo troviamo proiettato il recente “Escobar“, opera prima di Andrea Di Stefano con un provvidenziale Benicio Del Toro, che cerca di dipingere un ritratto intimo e personale provando a fare il duro mostrando il sangue ma (s)cadendo immancabilmente nella superficialità sentimentalista tipica dell’Hollywood che non conta. In questo caso meglio tornare a guardare la tv.

Narcos season 2

Narcos aveva fatto il suo primo esordio incantandoci con la definizione di “realismo magico”, concetto che viene ripetuto anche sul finale di questa seconda stagione, nel caso ce lo fossimo dimenticato. Per quanto azzeccato sia l’accostamento con la storia e la personalità di Escobar e con la Colombia tutta, c’è da dire che la serie ben si guarda dall’azzardare un stile narrativo accostabile in qualche modo al realismo magico – per quello fate pure riferimento alla seconda stagione di Fargo. Narcos 2, così come aveva fatto l’1, trova il suo punto forte nell’equilibrio mai perduto tra la realtà e la finzione, nel contrasto sfiancante tra le atrocità commesse e il desiderio di serenità, il pubblico ed il privato, il sangue e le parole. Ad essere onesti nessuno di questi aspetti viene mai approfondito in maniera decisa: la violenza non è mai troppo cruda, così come i sentimenti non affondano, purtroppo, mai nell’intimo. Narcos ha vissuto di contrasti ed equilibri, grazie ad un personaggio che li rappresenta al meglio; ora che Pablo è morto – ci risiamo – , si andrà avanti col cartello di Cali, ma non si può sempre vivere di mezze misure: trovarsi nel gruppo va bene all’inizio di una corsa, ma prima che arrivi lo sprint finale meglio essere ai primi posti.

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