Marvel’s The PunisherSeason 1: Con Violenza e Umanità

Season Recap Bianco, nero o grigio? Giustizia, criminalità o vigilanti? A Frank Castle probabilmente non interessa in che categoria viene etichettato, ma sicuramente in questa prima stagione di Marvel's The Punisher gli interessa tirare i fili della matassa ingarbugliata del suo scomodo passato e arrivare alla radice dei problemi, iniziati in Afghanistan e giunti fino in America. L'esordio del Punitore in Daredevil ha stregato tutti quanti; qui, semplicemente, vi lascerà senza fiato.

8.7

Correva l’anno 1989 e Dolph Lundgren vestiva per la prima volta su schermo i panni del Punitore, stravolgendo la fedeltà al fumetto e lasciando un ricordo talmente fallimentare che dai cinema si passò diretti all’home video. Dato il successo del personaggio di Frank Castle, tuttavia, Hollywood non poteva rinunciare facilmente a una fetta di mercato simile: ci riprova, nel 2004, a cavalcare l’onda dei supereroi con The Punisher interpretato stavolta da Thomas Jane. Guadagna qualche successo in più, propone un sequel, nulla di fatto. Siamo al 2008, con Punisher: War Zone e l’imponenza di Ray Stevenson. Ancora, il pubblico non coglie, non apprezza. Il destino di Frank Castle dalla carta alla pellicola sembra giunto al capolinea.

Finché, manco a dirlo, la Marvel inizia a sfruttare Netflix; non staremo qua a raccontare la rava e la fava perché la sappiamo tutti. Se nei cinema la Marvel porta i suoi eroi “maggiori” – quelli più adatti, forse, allo stile in salsa Disney con cui si sono affermati e rivolti alle famiglie – sulla rinomata piattaforma di streaming, la Casa delle Idee si diverte a ritrarre la parte più cupa del suo universo, quello fatto di sangue, dogmi e una sana dose di violenza. Inconcepibile, ovviamente, da mostrare al target diventato ormai di riferimento. E dunque, quale culla migliore per provare a far crescere nuovamente il personaggio del Punitore se non un posto dove la censura non esiste e il sangue può scorrere a fiumi? Non appena Jon Bernthal ha indossato il giubbotto antiproiettile con il memento mori serigrafato addosso, nelle orecchie di tutti i produttori è suonato un campanello: bingo. Diamogli uno spin-off, portiamo avanti qualcuno che finalmente sembra aver dato il giusto corpo e la giusta anima a Frank Castle. Ma insomma, ci chiederete, ci sono riusciti oppure no? Diavolo, sì.

Di violenza e di fantasmi

E di che parla Marvel’s The Punisher? Se vi aspettavate un già citato prodotto targato Marvel in salsa “supereroe” scanzonato e condito da numerose battute – nello spirito anche del recente, e indovinato, Thor Ragnarok – scordatevelo. Subito. Netflix, fortunatamente, ci ha insegnato che anche gli eroi Marvel sanno essere cupi, soprattutto in questo caso. Frank Castle e tutto il riuscito parco di comprimari ci accompagnano per tredici episodi in un’analisi cruda e serrata della violenza in ogni sua forma, in particolare come i suoi personaggi usino la violenza quale modo per comunicare, vendicarsi, affermarsi. Da Madani e dalla bollente scena della sua prima notte con Billy Russo, a David Lieberman, che aprendosi con Frank si ritrova a insultarlo in modo non proprio lusinghiero. Se però vi aspettate unicamente un machismo sconfinato, sparatorie e scene d’azione truculente – che, diciamolo, sono più o meno il tema principale su cui è stata promossa la serie – sarete solo parzialmente soddisfatti. The Punisher parte lento, forse, ma ingrana con la stessa, crescente ferocia che spinge Frank a perseguire il suo obiettivo. E non lo fa solo attraverso scene di violenza davvero disturbante – per quello bisogna aspettare il finale.

Ciò che vediamo in The Punisher è uno spaccato di società americana molto scomoda, ovvero la condizione dei veterani una volta che tornano a casa.

Il Punitore, infatti, ci fa immergere in un universo molto più intimista di quanto pensassimo, sviscerando le dinamiche di potere soffocante nell’esercito e nel Governo, la sindrome da stress post-traumatico, la sempre dibattuta questione delle armi, il disagio reale che provano i veterani di ritorno dalla guerra. Quando la guerra non è più sul campo, ma nella loro testa. Rispetto a Marvel’s Iron Fist, questa serie si dimostra più in linea con un paio di suoi cugini Netflix: Jessica Jones, che ha scavato in argomenti oscuri quali l’abuso e lo stalking, e Luke Cage, che può piacere o meno ma è innegabilmente uno spaccato molto attuale della realtà black americana. Inutile ribadire come si allontani parecchio dallo spettacolo di violenza gratuita attraverso cui è stato commercializzato.

Ciò che vediamo in The Punisher è uno spaccato di società americana molto scomoda, ovvero la condizione dei veterani una volta che tornano a casa. Tutti i protagonisti di questa serie, eccetto uno, sono tornati dall’Afghanistan, ma nessuno di loro l’ha fatto davvero. I fantasmi del loro passato li seguono in patria e ognuno ha il suo modo per cercare di risolvere le cose: la giustizia di Madani, la vendetta di Castle, la rabbia esplosiva di Lewis, la criminalità e le manie di grandezza di Orange; tutti loro non riescono a trovare la loro nicchia in cui ristabilirsi.

Se vogliamo scendere nell’abisso di questa violenza che ci viene mostrata, è interessante notare che la società americana – a causa del retaggio protestante e calvinista – la pensa in questa modo: se dimostri di essere qualcuno degno di fiducia, nessuno ti darà fastidio; basta un solo passo falso, tuttavia, e sei fuori per sempre. Frank Castle incarna esattamente questa già citata convinzione: non esistono perdono o giustizia, per un crimine commesso. Chiunque si sia macchiato, merita solo di subire la stessa violenza e lo stesso male che ha causato. E lo stesso Frank – attraverso il dolore, le ferite, tutto quello che incassa fisicamente e psicologicamente – sente la necessità di espiare le colpe del passato; ha deciso di vendicare la sua famiglia, certo, ma non può non punirsi per gli atroci crimini di guerra che ha commesso. La scelta di sacrificarsi – nel dodicesimo, splendido episodio – è figlia di questo pensiero ed è l’unico e autentico atto di eroismo che potrà mai compiere il Punitore; un martirio per salvare chi se lo merita. Perché si può dire qualsiasi cosa di Frank, tranne che sia innocente.

Di antieroi e di umanità

Grazie soprattutto all’intensa e realistica esibizione di Bernthal – che d’ora in avanti sarà sempre e per sempre Frank Castle – The Punisher stavolta porta sullo schermo qualcosa di più dello spietato antieroe introdotto nella seconda stagione di Daredevil, e si dimostra molto più incisivo di quanto possa sembrare inizialmente. Lo show è cupo, la fotografia pure, e ci trascina dentro gli avvenimenti lentamente; ci riesce non solo appoggiandosi a una ferocia morbosa, ma anche all’umanità viva, pulsante e meravigliosamente fragile di un marito che voleva solo indietro la sua famiglia. Un uomo a cui, come già spiegato, non è stato insegnato altro che reagire con violenza, quando si subisce un torto.

You’ve got nothing but a war inside you.

Il Frank Castle di Bernthal riesce a essere tremendo con i propri nemici – senza scrupoli e dalla ferocia difficilmente equiparabile – ma commovente e tenero con le persone a cui tiene, quelle che meritano di conoscere lui e non il suo alterego punitore; risulta credibile sia ad aggiustare un lavandino intasato o a regalare un mazzo di fiori, così come ricoperto di sangue in una fedele replica delle Montagna – alzi la mano chi non l’ha pensato, nella dodicesima, claustrofobica e sanguinolenta Home. Frank è quell’uomo che aiuta a crescere i figli di un amico che non può e sfigura per sempre la faccia di qualcuno che considerava quasi di famiglia.

La domanda, tuttavia, si pone: dove possiamo disegnare la linea fra il Punitore, il Vigilante e l’Amico? Fino a che punto possiamo chiamare la violenza di Frank Castle “vendetta” o “punizione”? Già con Daredevil ci siamo interrogati quando un vigilante diventa tale e si arroga il diritto di decidere fra giusto e sbagliato, ma il dubbio ritorna anche adesso nelle sanguinose vesti delle vittime di Frank, che sparge violenza non dissimile dai suoi nemici. Ritorna anche nelle vesti di Karen e del senatore Ori, che a tavolino discutono del famoso secondo emendamento della Costituzione Americana, che regola il possesso di armi per autodifesa. Quanto è giusto decidere chi deve vivere o morire? Perché chiunque abbia un’arma può arrogarsi il diritto di farlo? Chi ha subito più perdite in questo gioco di potere? Se vi aspettavate una risposta, vi suggeriamo di cercarla da un’altra parte, perché in The Punisher il bianco della giustizia e il nero del crimine si fondono dando vita al grigio, a una posizione indefinita che è quella del Punitore e di tanti altri supereroi Marvel meno noti. I confini sono più che mai confusi ma, diciamolo, ci piace così.

Insomma, Marvel’s The Punisher è solo cazzotti, sangue e azione? Proprio no. La violenza e l’umanità che ci vengono mostrate in questa serie sono tra le più vere mai viste in una serie tv dedicata ai superoi; non ci fosse il logo Marvel, Frank avrebbe tranquillamente potuto essere il protagonista di un film di tredici ore sui veterani e sui danni che la guerra causa soprattutto a chi la combatte. E torniamo a ripeterlo: il Punitore sarà anche una macchina di morte, spietato e ferale, ma Frank Castle resta meravigliosamente umano.

Porcamiseria
  • 8/10
    Storia - 8/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 9/10
    Emozione - 9/10
8.7/10

In breve

Come stagione d’esordio, The Punisher si conferma un prodotto degno di avere una propria serie tv, molto meglio di altri suoi cugini rilasciati di recente. Aiutato sicuramente da un Jon Bernthal immenso e da un cast particolarmente indovinato, la serie ci accompagna in un crescendo di tensione e violenza – grazie a combattimenti e scene d’azione ottimamente realizzati – fino all’ultima, indimenticabile puntata. Il finale dolce-amaro apre a nuove prospettive; una seconda stagione è più che mai doverosa. Diciamolo: Netflix, hai davvero fatto centro.

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Porcamiseria

8.7

Come stagione d'esordio, The Punisher si conferma un prodotto degno di avere una propria serie tv, molto meglio di altri suoi cugini rilasciati di recente. Aiutato sicuramente da un Jon Bernthal immenso e da un cast particolarmente indovinato, la serie ci accompagna in un crescendo di tensione e violenza - grazie a combattimenti e scene d'azione ottimamente realizzati - fino all'ultima, indimenticabile puntata. Il finale dolce-amaro apre a nuove prospettive; una seconda stagione è più che mai doverosa. Diciamolo: Netflix, hai davvero fatto centro.

Storia 8 Tecnica 9 Emozione 9
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