Dopo la fugace apparizione nella seconda stagione di Marvel’s Luke Cage, Danny Rand riprende a occupare il palinsesto Netflix con dieci episodi che raccontano le avventure dell’Iron Fist dopo gli eventi di Marvel’s The Defenders, che l’avevano visto più che protagonista.
Grosso guaio a Chinatown
La sconfitta de La Mano ad opera dei Difensori ha lasciato un pericoloso vuoto di potere a New York. In particolare è Chinatown a subirne le conseguenze più funeste, con due gruppi di criminali pronti a farsi la guerra per occupare il trono vacante. A tentare di arginare questa violenza ci pensa Danny, camuffato alla meno peggio ma distinto sempre dal meraviglioso pugno luminoso, con cui tenta faticosamente di mantenere la pace.
L’impressione, per la maggior parte di questa première, è di avere di fronte un personaggio giovane ma comunque maturato rispetto agli acerbi colpi di testa cui il rampollo Rand ci aveva abituati sia nella prima stagione che nel crossover. La presunta morte di Matt Murdock e la promessa a lui fatta di proteggere la città hanno portato a una crescita dell’Iron Fist, più attento nel controllo delle emozioni ma ancora imperfetto, come dimostrano sia il necessario intervento dell’immarcescibile Colleen e la scena finale.
Col debellamento della Mano, missione primaria del Pugno d’Acciaio, Danny deve anzitutto fare i conti con la ricerca di un nuovo senso alla sua vita (che ritrova appunto nella promessa fatta a Matt), ma al contempo questa scelta gli ha garantito un nuovo nemico nella figura di Davos, ex amico fraterno che si sente tradito dalla decisione del giovane Rand di abbandonare K’un-Lun al suo destino. Joy Meachum, come già anticipato nello scorso finale, si schiera anch’essa contro Danny appoggiando la crociata vendicativa di Davos e fornendo il capitale necessario ad associarsi con mr. Yang (un’altra vecchia presenza già vista in Luke Cage e Defenders). La donna condivide col guerriero di K’un-Lun l’amaro calice del tradimento, incolpando Danny e, soprattutto, Ward di quanto successo col padre un anno prima e dell’ambiente saturo di menzogne che avevano creato.
Ward per parte sua ha intrapreso un claudicante percorso di riabilitazione che sembra sortire ben pochi effetti, ma di cui ci viene dato giusto un assaggio in questa première, lasciando spazio alla narrazione negli episodi futuri. La furia del titolo della puntata è solo vagamente accennata, centellinata nei piccoli indizi di cui sopra, preferendo concentrare lo svolgimento della première sui confortanti binari di una trama standardizzata, in cui si riprendono le fila degli eventi raccontando le conseguenze degli stessi, tracciando con decisione le diverse storyline per garantire a tutti i protagonisti un adeguato punto di partenza per la stagione a venire.
Così Davos ha la sua storia, Colleen lo stesso, Joy idem e via dicendo, con Ward che è il più sacrificato in termini di minutaggio ma comunque presente nel computo dei vari intrecci (in cui si inserisce anche Alice Eve col suo nuovo personaggio). Se la sceneggiatura non brilla per originalità, lo stesso si può dire degli espedienti tecnici, che contribuiscono a creare quell’atmosfera di sufficienza e di una première tutto sommato buona ma che si accontenta. Visti i non eccelsi risultati della stagione scorsa, dal resto delle puntate ci aspettiamo molto di più.
Porcamiseria
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Storia - 6/106/10
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Tecnica - 6/106/10
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Emozione - 6/106/10
In breve
La première della seconda stagione di Iron Fist preferisce imboccare la strada sicura degli standard di genere, senza osare né tentare qualche elemento originale. Una sufficienza piena che si spera dia il la a uno sforzo ben più consistente per il resto della stagione.
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La première della seconda stagione di Iron Fist preferisce imboccare la strada sicura degli standard di genere, senza osare né tentare qualche elemento originale. Una sufficienza piena che si spera dia il la a uno sforzo ben più consistente per il resto della stagione.
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