ManiacSeason 1 Recap: Is This the Real Life? Is This Just Fantasy?

Season Recap Prendete Legion, Serendipity e Inception e shakerateli per bene: Maniac è una miscela esplosiva che colpisce sia formalmente che narrativamente, ma lascia in bocca un retrogusto amaro di potenziale inespresso.

8.2

Che Maniac fosse una serie quantomeno particolare era chiaramente prevedibile dal pilot, che rimane comunque tra gli episodi più lineari della stagione. Alla fine delle dieci puntate di questo arco narrativo unico (in quanto già troncata ogni possibilità di seguiti da parte dei produttori) sono molte le sensazioni che lo spettatore si trova a dover gestire: da una parte abbiamo un prodotto tecnicamente impeccabile, con un intreccio originale e interessante, dall’altra il sentore di un’occasione sicuramente non sfruttata al cento per cento.

Ceci N’est Pas A Fucking Drill

Dopo aver deciso di intraprendere il trial farmacologico, Annie Owen vengono sottoposti a tre trattamenti con lo scopo di metterli di fronte ai propri problemi e consentir loro di superarli. Alla prima fase, deputata al ricordo del trauma scatenante, segue una seconda focalizzata sui meccanismi di difesa dei pazienti, così da portarli al terzo step, il conflitto necessario all’accettazione finale. Le cose non vanno per il verso giusto e GERTIE, l’intelligenza artificiale che controlla l’esperimento, paradossalmente è vittima delle proprie emozioni; incapace di elaborare il lutto, la macchina ostacola il ritorno in sé dei pazienti, cercando di mantenere le loro menti all’interno delle diverse simulazioni.

Owen dall’interno e il dottor Mantleray dall’esterno riescono a evitare il peggio, meritandosi entrambi un lieto fine. O no? L’abile gioco di scatole cinesi condotto dal regista Fukunaga in questi dieci episodi finisce per confondere lo spettatore, che ritrova nel finale elementi delle simulazioni di GERTIE, pronti a bisbigliare nelle orecchie che tutto è ancora all’interno della realtà virtuale della macchina. Sono passaggi dell’ultimo episodio su cui la regia si sofferma volutamente: la macchina di Azumi è effettivamente quella che lei stessa dice non essere sua a Mantleray; il falco di Owen e il cane di Annie che si vedono sui titoli di coda; il padre di Annie fuori dalla capsula; la firma Wendy Lemuria, riferimento al lemure Wendy.

È la realtà che copia la fantasia? I ricordi reali a plasmare le simulazioni? Annie e Owen sono davvero partiti sereni per Salt Lake City?

Nell’interpretazione che sicuramente preferirebbe Christopher Nolan, semplicemente non ha importanza. Il conflitto è risolto, la cura ha funzionato, virtualmente o realmente che sia. Owen e Annie hanno spezzato il ciclo che li vedeva coinvolti entrambi, col primo che in ogni simulazione (o realtà) prestava ostinatamente il fianco alla natura traditrice della seconda; nel finale è una rinsavita Annie a non abbandonare il Milgrim diseredato, ormai anch’egli in grado di affrontare la paura di un futuro incerto a fianco di una persona che non ha paura di essere ferita.

Si tratta di un finale quasi necessario, una boccata di ossigeno in uno show che non è Black Mirror e che ha spinto molto in là l’asticella della claustrofobia, dipingendo un mondo dove è difficile stabilire chi sia il più sano di mente, dove si affittano amici finti o finti mariti per vedove, dove la solitudine è uno spazio occupato dal capitale e i servizi e piacere sono demandati alla tecnologia. Chiunque sia apparso in scena ha mostrato di avere un complesso rapporto con la realtà, per un motivo o per un altro, per cui il sorriso finale di Annie e Owen è catartico dopo dieci puntate trascorse sul filo radente della follia, declinata secondo simulazioni che altro non sono se non un riuscito omaggio a diversi generi cinematografici (fantasy, gore, bellico, noir), col regista che appare quanto mai divertito nello spingere gli attori ai limiti della loro capacità mimetica.

E se Emma Stone ne esce ancora una volta come un’ammaliante e istrionica sicurezza, capace di dare allo show una genuina eleganza, non è da meno Jonah Hill, forse il migliore tra i protagonisti, impegnato al massimo nel trasformare il suo personaggio in ogni episodio pur mantenendo intatta l’anima malinconica dell’originale Owen, fino al liberatorio sorriso finale. Sullo sfondo, a contendere la palma per l’interpretazione, figure del calibro di Justin TherouxSally Field Gabriel Byrne, in grado di monopolizzare la scena con le loro caratterizzazioni, volutamente spinte all’eccesso macchiettistico.

Numerose le citazioni cinematografiche, da Alien 2001: Odissea nello spaziopassando per Qualcuno volò sul nido del cuculo, che dà il nome ai McMurphy tanto temuti dalla Neberdie. Non è inusuale, inoltre, la sensazione di trovarsi dinanzi a una sceneggiatura di Gondry piuttosto che di Fukunaga, in accordo soprattutto all’idea dell’eterno ritrovarsi dei due protagonisti, che disegna un percorso all’interno del caos degli eventi. La fotografia è completamente votata all’intreccio, tracciando l’arcobaleno (altra immagine ricorrente) alla fine del quale i nostri dovrebbero trovare la serenità e raffrendandosi quando GERTIE viene spenta e si torna al piano “reale”.

Siamo quindi di fronte a un capolavoro seriale? Nì.

Se infatti da un lato la bilancia dei pregi può contare su tutto quanto detto finora, il piatto dei difetti, pur se appesantito in maniera minore, ha dalla sua un elemento rilevante: il potenziale esplosivo inespresso. Con le componenti a sua disposizione Maniac poteva candidarsi ad essere la rivelazione di questa stagione, mentre si accontenta di rimanere un buon prodotto. Le simulazioni sono trascinate troppo a lungo e con tempi troppo morti, non sempre in grado di mantenere alta l’attenzione dello spettatore. L’idea di puntare su generi diversi, per quanto divertente e azzeccata in generale, nel particolare mostra il fianco al gusto personale di chi guarda, inevitabilmente finendo per scontentare su più fronti. Si tratta in ogni caso di un mirabile esempio di narrazione seriale, capace di coniugare la pazzia di Legion col romantico determinismo di Serendipity.

Porcamiseria
  • 8/10
    Storia - 8/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
8.2/10

In breve

Tecnicamente impeccabile, Maniac gioca a confondere le carte in tavola per sorprendere lo spettatore, mischiando realtà e simulazione, in un gioco di scatole cinesi abilmente orchestrato, ma che presta il fianco a qualche critica nel suo formarsi. Un’idea vincente che paga quasi del tutto, ma che lascia spazio alla sensazione di avere tra le mani un prodotto che poteva rendere ancora di più.

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Porcamiseria

8.2

Tecnicamente impeccabile, Maniac gioca a confondere le carte in tavola per sorprendere lo spettatore, mischiando realtà e simulazione, in un gioco di scatole cinesi abilmente orchestrato, ma che presta il fianco a qualche critica nel suo formarsi. Un'idea vincente che paga quasi del tutto, ma che lascia spazio alla sensazione di avere tra le mani un prodotto che poteva rendere ancora di più.

Storia 8 Tecnica 8.5 Emozione 8
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