Making a MurdererMaking a Murderer Season 1

Making a Murderer, la docu-serie Netflix, ci racconta la storia di Steven Avery: condannato per uno stupro che non aveva commesso viene rilasciato ma poi nuovamente arrestato, questa volta per omicidio. L'ombra della corruzione cala sulla contea di Manitowc. Una serie appassionante che vi terrà con il fiato sospeso per 10 episodi.

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Quando nel 2003 Steven Avery venne rilasciato dopo aver scontato 18 anni di carcere per uno stupro che non aveva commesso, nulla lasciava presagire quello che sarebbe successo.
Con una causa di 36 milioni di dollari all’orizzonte e addirittura una legge a suo nome (la Avery Bill, poi rinominata), le telecamere nazionali ed internazionali non potevano evitare di gravitare attorno a questo personaggio e la sua particolare famiglia.
Proprio da qui parte Making a Murderer, la docu-serie Netflix che percorre la strana storia di Steven Avery in 10 episodi: dai pregiudizi di una piccola contea alla prima condanna, il rilascio, la causa milionaria, fino ad arrivare al colpo di scena dell’arresto per l’omicidio della giovane Teresa Halbach nel 2005 e il grande complotto, o presunto tale, dietro di questo.
Netflix inanella un nuovo successo planetario portando allo spettatore un prodotto fuori dal comune che vi terrà incollati alle sedie per ore.

Gli stati uniti sono sempre stata la patria dell’intrattenimento true crime, un rapporto che ha spesso portato a profondi cambiamenti nella società, oltre all’istituzione di associazioni e nuove leggi in concomitanza con fatti di cronaca di rilievo: dalla NCMEC e John Walsh (e i decenni di America’s Most Wanted) fino all’allerta Amber passando per Jacob Wetterling e il registro per i criminali sessuali.
Making a Murderer si inserisce nel genere, dando un angolo del tutto nuovo ad un caso di cronaca, in modo prepotente ed inaspettato, andando involontariamente ad infuocare il dibattito sulle forze dell’ordine americane.
Tecnicamente è un documentario ineccepibile, d’assalto, girato nell’arco di un decennio. Un particolare, quest’ultimo, che concede una naturalezza difficilmente replicabile, soprattutto se accostato al fatto che nessuno durante le riprese potesse immaginare il successo che avrebbe suscitato.
A farla da padrone, in questo senso, sono Dean Strang e Jerry Buting, i due avvocati del team Avery, che trascendono dall’immaginario del legale azzeccagarbugli e arrivista, in loro trraspare la passione e l’onestà, e detto in modo brutale, sono l’arma vincente di Avery per conquistare le simpatie degli spettatori.

“No sane lawyer looks forward to presenting a defense that the police framed his client. No sane lawyer” —Dean Strang

Ciò che manca in Making a Murderer è il contraddittorio, vuoi per una scelta ponderata di regia della Ricciardi e della Demos, vuoi per forze maggiori (Manitowoc, come la famiglia Halbach si è tenuta lontana dal prodotto), rendendo a tratti parziale il documentario.
In realtà l’obbiettività è solo una chimera del fruitore ingenuo,  cioè che si dovrebbe ricercare in un documentario dal taglio giornalistico è una storia e non una cronaca, per quello esistono le carte processuali.
Ed in questo Making a Murderer eccelle ed il risultato appare scontato, gli Stati Uniti, all’alba del 2016, complici storie come quelle di Avery e di Adnan Syed e la pila di dati sulla disparità di trattamento nel sistema giudiziario delle minoranze, si è svegliata, realizzando che esiste un problema che parte dalle forze dell’ordine ed arriva ad intaccare il funzionamento del sistema giudiziario: un interrogatorio fatto male porta a casi come quello di Brandon Dassey (il nipote minorenne e con problemi di apprendimento condannato come complice di Steven Avery) e non ai successi blasonati di Jack Bauer di 24.

Making a Murderer ci porta dall’altro lato, ci fa vedere cosa succede quando si spengono le luci degli studi televisivi in cui il criminologo e l’opinionista di turno si scannano su quella prova, quella confessione, quello sguardo di troppo, oltre gli innocentisti e i colpevolesti.
Ci sbatte in pieno viso come i media abbiano trasformato la presunzione di innocenza in quella di colpevolezza.
Più di tutto, la serie Netflix, ci illustra le vittime secondarie, quelle a cui solitamente nessuno chiede nulla e se lo fa è poco interessato nella risposta.
Making A Murderer si addentra nella famiglia Avery e Dassey, ci commuoviamo con loro ed impariamo, alla fine dei 10 episodi, a soffrire con loro.
Tutti, di default, empatizziamo con la famiglia Halbach, nessuno ha bisogno di mostrarci una fratello o un genitore in lacrime per capire l’orrore a cui stanno andando incontro.
Ma quello della madre anziana di Steven Avery? E quello della famiglia di Brandon Dassey?
Ricciardi e Demos ci fanno spogliare dei pregiudizi portandoci a comprendere una famiglia che in nessun altro modo potremmo capire se non questo. Il servizio più imparziale non ci concede di provare simpatia per dei personaggi beceri, sboccati, criminali e ignoranti quali sono gli Avery.
Making a Murderer Season 1 Review

Ora sì. Dopo queste 10 ore avrete impresse nella mente cosa vuol dire, e questo grazie ad una regia ed un montaggio capaci di creare pathos e racchiudere in “poche” scene emozioni che si trascinano per anni.
Il contrasto fra le parti è palese ma delicato, il più possibile rispettoso della vittima, criticando forse l’ignoranza di base e il tifo pieno di bias che spesso si crea da ambo i lati.
Che Avery sia innocente o meno però è affare delle carte processuali, Making A Murderer non è imparziale e non deve esserlo, in questo caso (come Paradise Lost per i West Memphis Three) salta all’occhio perché presenta i “perdenti” e non i vincenti, perché non esiste il colpo di scena finale (The Jinx) e soprattutto non ci sono eroi ma solo tante cose fatte male e vite sregolate.
Nel titolo c’è da ricercare il senso di tutto il prodotto: Creare un assassino. Una sconfitta per tutti perché o la contea di Manitowc e i media hanno incastrato per la seconda volta un innocente o la contea di Manitowc e i media hanno creato il terreno fertile per trasformare una vittima in un carnefice convinto di essere sopra la legge.

“Poor people lose. Poor people lose all the time” —Steven Avery

Vi attendono 10 buie ore nell’America più arida e meno sfarzosa esistente, in mezzo a redneck che sembrano dipinti e piccole faide locali.

4.5

 

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