London Spy ci regala un claustrofobico finale di stagione che risolve molti degli interrogativi principali ma lascia aperte ancora alcune questioni. Danny si libera dalla sua ossessiva ricerca dell’assassino di Alex, recuperando i pezzi della propria psiche, incrociandoli con nuovi elementi e inaspettati alleati.
Li(v)e and Let Die
Come visto nel precedente episodio, Scottie ha deciso di farla finita lasciando Danny con un misterioso biglietto e la ben più sostanziosa eredità. Il protagonista, abbandonato anche dall’ex professore di Alex, Marcus, può contare solo sull’appoggio indiretto di Claire, che, diciamolo, non è poi tantissimo, e sulla poliziotta che finora aveva sospettato di lui. Intanto in città arrivano i genitori di Danny, i quali lo convincono a tornare a casa con la scusa del padre moribondo, ma si rivelano invece essere pedine minacciate dai servizi segreti allo scopo di cancellare tutti i dati in possesso di Danny, grazie a un flash alla Men in black ma per gli apparati digitali.
Senza ormai nulla in mano l’unica cosa che resta da fare è ritornare nuovamente dove tutto è cominciato, dalla famiglia di Alex. Lì la verità sulla fine della spia (e sulle sue origini) viene infine rivelata insieme alla falsa maternità di Frances, la quale, ravvedutasi decide di aiutare Danny nel denunciare il complotto di cui è stato vittima.
Finisce così, con una Thelma e Louise atipiche, questa prima (e ultima?) stagione di London Spy, che in cinque puntate ha stravolto il mondo di Danny conducendolo dall’illudersi di avere una storia vera alla verità di una confessione cercata anche a costo della vita e della propria sanità mentale. Il cosmo di Danny viene completato con l’arrivo dei suoi genitori, a rimarcare una fragilità sincera del personaggio, in questo sempre più lontano, apparentemente, dall’ostentata e falsa solidità degli affetti familiari di Alex.
Un edipico percorso che entrambi i protagonisti percorrono, dove le ombre delle figure dei padri appaiono fugacemente per dissolversi nel disprezzo delle parole delle mogli. Inevitabile, in un qualsiasi gay drama che si rispetti, il confronto con un sistema patriarcale nei fatti ma matriarcale nella psiche: l’amore di una madre (biologica o meno) è il secondo polo affettivo in questa intricata trama, così da bilanciare il sentimento imperante di Danny.
Danny: How do we live without the people that we love?
La risposta a questa domanda è la stessa per Danny e Frances, così ansiosa di dimostrare, forse prima a se stessa che agli altri, l’amore che prova per il “figlio”, consegnato alla morte dopo l’ennesima bugia travestita da verità.
Si tratta di un balletto armonioso e finemente orchestrato, quello tra verità e finzione che si corteggiano da cinque puntate e non si rivelano mai del tutto: due mondi opposti, come Danny e Alex. Il primo incapace di restare entro i limiti (il metaforico latte che fa tracimare dalla tazza), privo dell’ancora rappresentata dal secondo, un’ancora che pian piano perdeva il proprio ruolo man mano che ci si addentrava nella fitta trama di bugie che nascondevano quel barlume di verità rivelato, infine, solo grazie ad un artificio: “Never make contact with Danny: LIE”. Nello spazio grigio in mezzo alle verità e alle bugie si annida l’amore: materno (Alex ha due madri tanto vere quanto false), di un partner o di un amico (Scottie, Claire). Pilato in preda ai dubbi si domandava cosa fosse la verità, Danny dal canto suo risponderebbe che si tratta di uno strumento per non rimanere solo.
Se da un punto di vista esclusivamente drammatico London Spy ci dipinge un quadro di emozioni ben variegato e strutturato, credibile quanto profondo e coinvolgente, sul versante spionistico le cose vanno diversamente. Il meccanismo aveva dato cenni di cedimento già nella puntata precedente, quando l’ipotesi di una fantomatica macchina della verità assoluta aveva fatto capolino.
Non va meglio in questo episodio che, pur rispondendo all’interrogativo principale della serie, lascia aperte molte, forse troppe domande, probabilmente contando sulle capacità d’ipotesi degli spettatori. Un buon soggetto spionistico dosa sapientemente gli indizi per la soluzione degli enigmi che pone, così che chiunque ne fruisca possa azzardare ipotesi verosimili, spesso concordanti tra di loro. London Spy invece ha perso per strada questa capacità, limitandosi ad accenni mai conclusivi, sempre troppo problematici (qual è il ruolo della spia americana delle caramelle? Scottie si è suicidato perché spinto dai sentimenti per Danny a mettere a repentaglio la propria carriera/vita?). Il finale è aperto, ok, ci può stare, non stona, ha una sua utilità e soprattutto una sua costruzione che porta a tale esito: il resto spesso no.
Per questo motivo London Spy è un ottimo drama (anche gay drama, se necessitiamo di ulteriori aggettivazioni), ma non altrettanto buono come spy story.
Claire: You’re confused, Danny, between how to prove how much did you love him and trying to prove the conspiracy.
Ecco, la medesima analisi potrebbe essere adattata alla serie: non che l’essere drama sia un demerito, anzi, ci ha regalato i momenti più toccanti, ansiosi, claustrofobici e belli della stagione, ma quell’essere spy in maniera cosi superficiale le costa un mezzo porcamiseria dalla perfezione, inoppugnabilmente raggiunta da un Ben Whishaw magistrale.
Note
- Il titolo dell’episodio è un chiaro rimando al romanzo Se questo è un uomo di Primo Levi, opera incentrata sulla verità e sulla necessità vitale di raccontarla, che così stride a maggior ragione con quel “lie” insito nel nome della puntata, polo necessario quanto doloroso che rende un uomo tale.
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