KilljoysKilljoys Season 2: The Warrant is not all anymore

Giunge sulle pagine di SerialFreaks la recensione della seconda stagione di Killjoys, con Dutch, Johnny e D'Avin sulle orme di Klyhen e dei Level Six. Molto spazio però anche per Pawter e il suo ruolo fondamentale come membro della dinastia dei Simms.

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Pur correndo il rischio di esser tacciati di auto-referenzialità, avevamo concluso la visione della prima stagione di Killjoys chiedendoci se la serie soffrisse della sindrome del “vorrei ma non posso”, se non di quella del “potrei ma non voglio”. Giunti al termine della seconda stagione, la diagnosi del paziente sembrerebbe piuttosto virare verso una terza ipotesi, quella del “vorrei ma non so bene come fare“. Una seconda stagione, va detto, che si discosta dalla prima con importanti cambiamenti che appaiono nettamente evidenti sin dai primi episodi.

Killjoys Season 2 recensione

La prima grande novità è una struttura narrativa che abbandona completamente il carattere procedurale della scorsa stagione a favore di un più interessante sviluppo della trama orizzontale. Il potenziale d’altronde c’era tutto: l’assetto geopolitico del Quad, le lotte di classe, le implicazioni religiose; tutte delle ottime idee che, pur senza scomodare un mostro sacro come Battlestar Galactica per sterili paragoni, potrebbero essere sapientemente usate per creare un ottimo prodotto. La volontà di far bene, come dire, non è di certo mancata: l’introduzione dei Level Six e il nesso con il plasma di origine incerta, legata a doppio filo con gli esperimenti scientifici della Compagnia ma anche col culto religioso di Alvis, per non parlare dei giochi di potere tra i Nove e la Compagnia stessa. Nell’introdurre questo gran numero di elementi non si è però tenuto conto del formato di Killjoys: per una volta, dieci soli episodi non sono sufficienti a sviscerare tutte le dinamiche necessarie affinché questi mattoncini possano costituire solide fondamenta per una serie. Se a questo aggiungiamo lo screentime minimo indispensabile per un approfondimento sui singoli personaggi e sulle trame secondarie, è evidente che il risultato non può essere altro che un gran bel pastrocchio. Ed è davvero un peccato, perché di idee valide – seppur non originalissime – ce ne sono parecchie, dal muro di cinta al plasma senziente, dagli esperimenti su D’Avin all’introduzione di Aneela, forse sarebbe stato più saggio diluirle in almeno due stagioni.

La seconda novità della stagione è un maggiore spazio ai comprimari dei nostri protagonisti: Klyhen ma anche, e soprattutto, Pawter. Il primo è sicuramente l’anello di congiunzione di tutti i plot che sottendono alla trama orizzontale, fondamentale dunque nel fornire allo spettatore i pezzi del puzzle ancora mancanti, non solo nelle azioni ma anche nella reale natura del suo rapporto con Dutch. Esaurita tale funzione col season finale, gli diciamo addio quasi senza batter ciglio, pace all’anima sua. Anche qui, la troppa carne al fuoco schiaccia i personaggi rendendo vano ogni tentativo di introspezione psicologica e riducendo al minimo l’empatia con gli spettatori. Lo spazio riservato – al contrario – a Pawter è enorme ed è l’unico personaggio per cui si possa realmente parlare di uno sviluppo degno di questo nome. Da semplice recurring della prima stagione, la discendente della dinastia dei Simms ci viene sì proposta dapprima come love interest di Johnny ma la vediamo poi raccogliere con fierezza l’eredità della madre e prendere il suo posto tra i Nove. Il suo attaccamento agli abitanti di Westerley, il conflittuale rapporto con la famiglia, il tenero amore per il giovane Jaqobi, la consapevolezza della necessità di compromessi e sacrifici in politica sono i cardini di questa sua evoluzione sviluppatasi in appena nove episodi, apparendo ben più completa e soddisfacente di quella dei tre protagonisti, il che è tutto dire.

Killjoys Season 2 recensione

Ma veniamo a loro quindi, ai protagonisti, probabilmente le vere vittime di questa seconda stagione, ancor più della povera Sabine (chi?) quasi uccisa da un rapporto sessuale al plasma con D’Avin – la scena sicuramente più ridicola dell’intera stagione.

Dutch e D’Avin, sulla carta in primo piano all’interno delle vicende di questa stagione, sono quasi obbligati a rincorrere il susseguirsi degli eventi e c’è poco spazio per uno sviluppo concreto dei loro personaggi. Dutch è perpetuamente vittima dei fantasmi del suo passato e sarà sicuramente protagonista assoluta della prossima stagione, grazie anche all’introduzione del personaggio di Aneela. In questa stagione la ricorderemo solo per il bizzarro intrallazzo col monaco Alvis, chiaramente tirato fuori dal cilindro senza neanche una chiara ragione. Per il resto, solita caratterizzazione tra mise e acconciature sensuali e scene picchiaduro. Il percorso di D’Avin è già più centrato e l’interesse per le sue potenzialità connesse al controllo del plasma – che di fatto lo rendono un asset unico contro i Six – altissimo. Anche per lui quasi nullo lo sviluppo del personaggio dal punto di vista del profilo psicologico, anche per lui una caratterizzazione fedele a quanto visto la scorsa stagione. Sì, scene shirtless incluse. In questa stagione lo ricorderemo – come già detto – per l’amplesso mortale con Sabine. Con annessa facile ilarità. Dentro e fuori lo schermo si intende.

Un discorso a parte merita Johnny il cui personaggio beneficia del grande spazio dato a Pawter e in particolare ci si concentra su una sua chiamiamola indipendenza da Dutch. Da un lato si pone molto l’accento su questa sorta di tradimento verso la squadra per aiutare l’amata Pawter con le vicende legate a Westerley e il muro, dall’altro però non si approfondiscono le ragioni di così tante perplessità a riguardo, tanto che per lo spettatore appare poco più che una sua sega mentale. Anche per lui però quindi qualche battuta d’arresto, prima fra tutte la quasi totale indifferenza con cui viene affrontata la morte di Pawter. Quasi zero pathos, quasi come fosse stato un colpo di tosse.

Ovviamente l’amore incondizionato per Lucy rimane, sia in versione computerizzata sia nella sua versione antropomorfa.

Killjoys Season 2 recensione

Qualche effetto speciale qua e là azzeccato e un po’ più di cura per le scenografie rispetto alla prima stagione – ah, e una sigla nuova di zecca – ma in definitiva il bilancio di questa seconda stagione di Killjoys non si discosta più di tanto da quello della prima stagione in termini qualitativi. Se è vero che è stato fatto uno sforzo – eccessivo – di dare una solida base per la costruzione della trama orizzontale, ci è mancato molte volte il tono scanzonato della prima stagione, cosa per cui avevamo piacevolmente accolto questa novità Syfy con assoluta voglia di prendersi sul serio. L’impressione è che questa serie potrebbe avere davvero tanto da dire – le idee ci sono – ma che per qualche motivo gli sceneggiatori non riescano a cadenzare la narrazione in maniera efficace per il formato da dieci episodi. Citofonare Netflix, grazie.

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