Ormai abbiamo fatto il callo sui twist e i cliffhanger di How to Get Away with Murder – anche se, di tanto in tanto, rimaniamo ancora stupiti di quanto accade sullo schermo. L’utilizzo sfrontato di questi espedienti narrativi è opinabile, non tanto per l’effetto shock in sé, quanto per la loro capacità di rivelarsi completamente ininfluenti nell’episodio successivo. Prendiamo Nate e la sua comparsata a villa Keating: congetturiamo la qualunque, soprattutto a valle dello spostamento del cadavere di Wes, ma alla fine è un buco nell’acqua con tanto di firma falsa a suo nome per incastrarlo.
Immaginiamo quindi che anche gli ultimi secondi di “It’s War” e il segreto di Connor verranno smantellati con la stessa rapidità con cui Annalise si scola una bottiglia di vodka – o forse questa è la volta buona, Wes è esanime e c’è un massaggio cardiaco in corso. In tutto ciò, non si capisce se Nowalk vuole darci indizi o vuole semplicemente farci innervosire: questo accartocciarsi di twist e contro-twist senza che se ne venga a capo, secondo i quali alla fine potrebbe valere tutto e niente, rendono un potenzialmente bellissimo whodunit una semplice sequela di colpi di scena senza organicità e senza lungimiranza. Togliamoci le fette di salame dagli occhi e affrontiamo la verità: il mistero di questa metà di stagione fa acqua – o fuoco? – da tutte le parti, siamo praticamente al finale e nemmeno abbiamo tutta questa voglia di fare ipotesi che tanto sappiamo verranno smontate all’ultimo secondo.
Nel mezzo, tra un cliffhanger e l’altro, l’episodio ci offre un interessante spaccato procedurale americano, tra ricatti, bugie e complotti per tenere Annalise dietro le sbarre. Non sappiamo se la Atwood e soci siano invischiati coi Mahoney – surprise bitch, I bet you thought you’d seen the last of me – ma tutta la storia attorno a Wes e alla sua morte è dannatamente complicata: realisticamente, tolta l’ipotesi di qualche improbabile raptus omicida, la mano che ha ucciso Wes potrebbe davvero essere esterna al gruppo. Il movente lo fornisce Laurel, assoldando un investigatore privato e riuscendo a scoprire che i Mahoney sanno del legame di sangue con Wes.
L’idea di una forza più grande e minacciosa che cerca di mettere in difficoltà la vita di Annalise e dei ragazzi è obiettivamente sensata, soprattutto se a morire è un individuo interno al gruppo con un passato come quello di Wes, e se non possiamo sapere chi è stato a causa di flashback snervanti che dicono tutto e niente, possiamo solo intuire chi non sia stato. Il gruppo, tuttavia, è lungi dall’essere compatto, tra Laurel in conflitto con Annalise, il desiderio dell’avvocato di arrendersi al nemico – finalmente parla del suo passato agli altri – e Connor che inspiegabilmente ha omesso la sua presenza in casa di Annalise la notte dell’incendio. Innocente fino a prova contraria, dicono, ma Connor ora è in una posizione spinosa – difendiamolo, potrebbe non aver detto nulla preso dal panico, memore dell’omicidio di Sam Keating.
Per una volta in How to Get Away with Murder le parti si ribaltano: non è più il mistero a tenere in piedi la storia, ma il contrario. Paradossalmente, ora l’interesse è più verso l’intreccio perverso tra i Mahoney e chiunque abbia organizzato l’omicidio – ci si augura che sia così – piuttosto che verso l’esecutore materiale del gesto. Si vede abbandonato il pretesto per seguire la serie, cioè i colpi di scena, e si passa ad un vero interesse per quello che succede al centro dell’episodio; è un peccato che non si riesca ancora a trovare un equilibrio tra le parti, come nella prima stagione, ma è indubbiamente apprezzabile lo sforzo messo in atto per riportare How to Get Away with Murder ai fasti del passato. 4 Porcamiseria su 5.
Nota a margine: chiudiamo gli occhi sulla proprietà di linguaggio di Frank Delfino, ma la sequenza a lui dedicata verso la fine dell’episodio è davvero potente. Non lo si è mai visto parlare per così tanti secondi di seguito!
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— l'ego nel pagliaio (@emi_bar) February 22, 2017