How to Get Away with Murder3×09 Who’s Dead?

Un mid-season finale sicuramente ben costruito per How To Get Away With Murder, nel quale finalmente si scopre l'identità del morto e si assiste a dei colpi di scena intriganti e gestiti al meglio, andando così a fomentare l'hype per Gennaio; un episodio che ricorda i vecchi tempi e che riesce per un attimo a far dimenticare al pubblico quella scarsità creativa che ha monopolizzato la stagione.

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Dopo più di due mesi in cui siamo stati tormentati dall’hashtag #UnderTheSheet, ecco che arriva l’ambito mid-season finale di How To Get Away With Murder, nel quale finalmente le linee temporali si unificano, rendendo possibile ricostruire gli eventi che hanno portato allo sconvolgente (più o meno) flashforward del primo episodio.

I’m in trouble

Come da regolamento, il colpo di scena è solo la punta dell’iceberg rispetto ad un sostrato di eventi quasi altrettanto importanti, che come al solito vedono protagonista indiscussa Annalise, la quale continua suo malgrado quel vertiginoso percorso di decadenza che la sta portando verso un baratro apparentemente molto profondo.

E’ arrivato il momento per gli scheletri – nel senso più letterale possibile – di uscire fuori dall’armadio, come dimostrano il ritrovamento del cadavere di Rebecca (un applauso alla polizia di Philadelphia che è sempre sul pezzo!) o l’intuizione da parte di Oliver della verità che si cela dietro la morte di Sam.
Prima di arrivare a queste conclusioni, decisamente lecite ma forse un po’ troppo ritardatarie, la narrazione si attorciglia nuovamente intorno al difficilissimo rapporto tra la Keating e i procuratori del momento, come era successo l’anno scorso con la Sinclair e come accade in questa stagione con l’assistente Atwood: le tensioni tra le due donne raggiungono il culmine e la seconda apre l’ennesima indagine sulla sua rivale, andando a gettare le basi per un’altra storyline apparentemente trita e ritrita.

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La differenza sostanziale rispetto ai processi intentati contro di lei nelle prime stagioni tuttavia sta nel fatto che questa volta Annalise non solo si trova indebolita a livello di alleanze e in campo emotivo, ma deve anche vedersela con delle accuse ben specifiche, prima fra tutte quella dovuta alla soffiata che ha portato alla sua incarcerazione.

Se la leonessa della Middleton riuscirà ad uscirne illesa è tutto da vedere, anche se conoscendo il personaggio possiamo farci una qualche idea; quello che risulta invece palese è di nuovo il suo tormento interiore e la sua apparente resa di fronte a quel casino che la sua vita è diventata, come emerge dall’ulteriore – ma magistrale – scena in cui la donna, sola in casa, si lascia andare all’alcol, alla follia e all’autocommiserazione, per poi scappare da Bonnie e addossarle la responsabilità di prendersi cura di lei. Ancora una volta il rapporto tra le due è curato alla perfezione, per quanto possa ormai risultare ridondante: abbiamo tutti capito che l’assistente nutre dei sentimenti di profonda sottomissione nei confronti della Keating e che tra le due c’è un palese ed alquanto pericoloso rapporto odi et amo, ma più assistiamo al loro rapporto malato, più ci rendiamo conto della sua importanza all’interno di quel grande e intricato panorama che è la psicologia di How To Get Away with Murder.

#UnderTheSheet

Pur avendo sottolineato nelle scorse recensioni lo scarso successo riscosso da questo espediente, ci ritroviamo in questa sede a discostarci un po’ da questo discorso, dal momento che effettivamente siamo stati trollati per bene tutti quanti. Se infatti sembrava ormai quasi scontato che il tanto pubblicizzato cadavere #underthesheet sarebbe stato quello di un personaggio alquanto secondario, ossia il povero Nate, questa serie torna a stupirci e a traumatizzarci attraverso un plot twist totalmente inaspettato, anche se piuttosto lecito e comprensibile: con una gestione assolutamente magistrale e mind-blowing delle diverse linee temporali, eravamo convinti che tutti i personaggi visti alla fine di ogni episodio fossero salvi, senza che ci passasse nemmeno per l’anticamera del cervello che si potesse trattare di un semi-flashforward. Kudos, Pete Nowalk.

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Ebbene sì, si tratta proprio di Wes, personaggio fondamentale della serie nonché vera causa di tutti i problemi dei Keating 5. Certamente la scelta dei produttori è stata davvero audace, nonché succulenta e utile a creare hype per la prossima manciata di episodi, che sarebbero stati altrimenti poco seguiti dal pubblico, deluso per questa prima parte di stagione.

Questa attesa interessa inoltre più storyline, poiché la narrazione volutamente incalzante della puntata – anche se mai troppo veloce – non ci permette di avere dettagli circa l’esplosione o l’incarcerazione di Annalise o la vera causa della morte di Wes, lasciando così diverse vicende in sospeso. Per quanto riguarda le scene riguardanti la vittima, appare tutto piuttosto confuso e non si capisce bene cosa sia successo durante i vari interrogatori e subito dopo, cosicché il flashforward finale risulta ancora parzialmente irrisolto.

L’unica cosa momentaneamente certa è l’addio a Wes, sancito dalla suggestiva scena finale in cui esce dal commissariato e guarda in alto, anche se possiamo stare certi che tornerà nei flashback e magari nelle allucinazioni degli altri protagonisti.

Who is it?

La morte del più problematico – e probabilmente più odiato – tra i Keating 5 arriva come un pugno nello stomaco anche per tutti i suoi compagni, che non hanno la minima idea di cosa sia successo finché Bonnie non rivela loro l’identità del cadavere. Il momento è emotivamente molto forte, grazie ad un’interpretazione eccellente da parte degli attori, Aja Naomi King fra tutti: l’ennesimo breakdown di Michaela si differenzia da tutti i precedenti, poiché anch’esso giunge quasi inaspettato al pubblico, caricandosi di pathos. I cinque ragazzi sono sempre sembrati indifferenti gli uni agli altri – amore e sesso permettendo – come se si parlassero solo perché ritrovatisi sciaguratamente a condividere sulle loro teste la Spada di Damocle rappresentata dall’omicidio di Sam; è invece chiaro in questo episodio che un legame tra di loro c’è ed è anche piuttosto viscerale.

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Michaela: “What have you given me? Everything in my life, I gave me”

Come di consueto, questo episodio ha anche la funzione di piazzare i personaggi esattamente dove si trovavano nei flashforward mostrati precedentemente e a questo proposito viene nuovamente prestata molta attenzione alla vicenda di Michaela, che si trova a dover affrontare una madre egoista ed inopportuna, che si ricorda di amare la figlia nera solo nel momento in cui deve chiederle aiuto. La banalità del cliché riguardo la madre bianca che sfrutta la figlia adottiva risulta però secondaria rispetto alla potenza dei dialoghi tra le due donne e rispetto al grande tema del razzismo che ha sempre caratterizzato How To Get Away With Murder.

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Che bilancio dare dunque a questo mid-season finale in pieno stile HTGAWM? Sicuramente la visione d’insieme è positiva e nettamente superiore a quelle degli ultimi tempi, grazie ad una serie di colpi di scena ben congegnati e all’inserimento di scene emblematiche come quella mostrata nella gif, che diventa quasi una premonizione del destino del povero Wes di lì a pochissimo; non mancano tuttavia alcune imperfezioni e passaggi poco chiari o irrisolti, abbondanti sicuramente rispetto agli scorsi winter finale. Ciò appare tuttavia comprensibile poiché la stagione manifesta una certa mancanza di idee che può essere rattoppata solo dal focalizzarsi, nei prossimi episodi, sulla morte del ragazzo e sul processo di Annalise.

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Note a margine

  • Ci auguriamo che il bacio tra Annalise e Bonnie sia solo colpa del vino, poiché banalizzare il tutto ad un amore latente sarebbe davvero una regressione terribile da parte dei produttori
  • Connor resta quasi impassibile quando scopre della morte di Wes: dobbiamo essere sospettosi o si tratta semplicemente di un atto di coerenza con tutte le minacce che gli ha lanciato?
  • Nate viene sempre più messo in secondo piano, arrivando in questo episodio ad assumere l’unico ruolo di distrarre e deviare lo spettatore, e non si sa bene se considerarla una cosa positiva o negativa: ai posteri l’ardua sentenza.

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