House of CardsHouse of Cards Season 4: un castello dal precario equilibrio

Mentre la campagna elettorale è agli sgoccioli, Frank e Claire prendono sempre più potere, candidandosi come futuri Presidente e Vice Presidente. Al culmine della loro forza politica, la minaccia estera di una guerra contro un'organizzazione terroristica e quella interna di uno scandalo, che potrebbe sconfiggerli definitivamente, si abbattano prepotenti sul loro castello di carte. Come reagiranno gli Underwood?

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Gli ultimi episodi della quarta stagione di House of Cards sono il ritratto preciso e sintetico dell’andamento degli eventi che hanno visto impegnati gli Stati Uniti sia in politica interna sia in politica estera negli ultimi mesi: l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali novembrine e l’avanzata di un’armata terroristica, l’ICO, la controparte televisiva di ISIS, sono i due capisaldi attorno a cui ruotano gli ultimi cinque episodi della stagione. Ed è qui che risiede gran parte del successo planetario di House of Cards: romanzare gli eventi della storia contemporanea, creando un prodotto che non pecca in verosimiglianza e non scade in prosa improbabile.

In Chapter 48, la ritrovata unione dei coniugi Underwood dimostra che Frank e Claire sono tanto più potenti quando sono insieme: ancora una volta, in un plot pattern già visto ai tempi dell’elezione della Durant a Segretario di Stato, i due inquilini della Casa Bianca non esitano a manipolare i propri affiliati e non per plasmare a proprio piacimento l’esito della Convention Democratica – quella che, nella nostra realtà attuale, ha portato alla conferma di Hillary Clinton come candidata presidenziale democratica. Frank e Claire sono astuti: pur trovandosi, per imposizioni di ruolo, sempre in prima linea, orchestrano il grosso del loro piano dietro le quinte e da lì lo dirigono con maestria.

Gli Underwood sono dei cacciatori esperti: conoscono la loro preda, riescono ad anticiparne le mosse per contrattaccare con una strategia ancora più efficace per arrivare, finalmente, a catturarla. Il piano che, ormai è chiaro, porterà i due a concorrere unitamente come Presidente e Vice Presidente, non è un’alternativa, bensì l’unica opzione che i due ritengono percorribile nel loro futuro più prossimo. Tutto ciò a danno della Durant – o forse no: la Segretario di Stato conosce i mezzi che Underwood metterebbe in campo per spianare la strada per sé e per Claire (dice Francis in Chapter 46: “We are willing to go one step farther than anyone else”) e perciò non esita a ricorrere al trasformismo non appena comprende di essere l’ennesima pedina sulla scacchiera del Presidente. Il passaggio della Durant nella squadra del candidato repubblicano Conway è la dimostrazione palese del potere che quest’ultimo sta accumulando e di come la macchina inarrestabile di Frank e Claire non è immune ai danni provocati dallo schieramento avversario.

House of Cards 4

Una macchina che, in Chapter 49, trova una rinnovata spinta, il carburante necessario a riportare gli Underwood alla ribalta dei riflettori politici: questa volta non come Presidente e First Lady, ma come candidati alla Presidenza e alla Vicepresidenza. Il piano di guerra della coppia presidenziale trova il suo culmine tanto atteso, passando anche per l’utilizzo delle vicende private a favore del successo pubblico: la morte della madre di Claire – scene intense, quelle girate nella casa di infanzia della First Lady – diventa la leva su cui gli Underwood si poggiano per smuovere i sentimenti degli elettori a nominarli come unici candidati. In momenti come questi si capisce pienamente come Frank e Claire traggano forza l’uno dall’altro, un unicum le cui due parti sono imprescindibili l’una dall’altra.

E se questo è un dato di fatto, è pur vero che anche da soli sono dotati di una forza espressiva che non passa inosservata: ne è un esempio lo scontro tête-à-tête tra Frank e Cathy, dove il Presidente fa ammissione di colpa sapendo di poter contare sul beneficio del dubbio che il proprio ruolo gli concede, riuscendo a carpire il Segretario di Stato nella sua presa, con la certezza che la donna non avrebbe avuto altra alternativa se non quella di sottostare alla sua direttiva-ricatto.
Una storia di intrighi, sangue e menzogne quella di House of Cards, che ci porta dalle quinte al palco di una scena politica che, ad ogni episodio, diventa sempre più spietata.

House of Cards 4

Nell’undicesimo episodio, Chapter 50, la coppia degli Underwood è costretta a rinunciare temporaneamente al rinnovato sodalizio quando a Frank viene consigliato di diminuire i propri spostamenti aerei per questioni di salute: tocca quindi a Claire assumere la guida della campagna elettorale, diventandone di fatto la punta di diamante. Nonostante non si discosti di molto dal modus operandi del marito, e House of Cards non si esime dal ricordarcelo a più riprese, Claire ha dalla sua il fascino e l’innato magnetismo nei confronti della gente: la sua figura diventa il catalizzatore principale, un personaggio autonomo e a tutto tondo che risulta ideale per convincere l’elettorato a votare per lei e Frank. La First Lady di House of Cards è la facciata lucida e smaltata, apparentemente perfetta, dietro la quale nascondere tutto ciò che di deplorevole i due hanno fatto per arrivare dove sono ora. Un’impresa complessa, quella di Claire: nonostante la forza innegabile della coppia, non è mai stato chiaro quanto gli Underwood siano bravi a fare quello che qualsiasi politico dovrebbe saper fare, e cioè guadagnarsi il favore dei cittadini.

Strano a dirsi, è servita una figura esterna ai coniugi per trovare la soluzione più adatta a questo: è infatti Tom Yates che propone a Claire di andare “oltre il matrimonio“, di non focalizzare l’attenzione su di lei e Frank in quanto marito e moglie, ma in quanto compagni e, come tali, in quanto due individui che conoscono alla perfezione l’uno le mosse dell’altra.
La presenza di Tom e il suo rapporto con Claire danno spunti interessanti circa gli equilibri di coppia e quelli che sono i compromessi ai quali due coniugi, benché legati da decenni, accettano di sottostare pur di raggiungere gli obiettivi prefissati. L’equilibrio dei protagonisti si sposta necessariamente dalla coppia presidenziale a questo nuovo “trio”, che avrà ripercussioni non solo in ambito privato ma anche (e forse soprattutto) in quello pubblico.

House of Cards 4

Spostando il focus generale dal rapporto di coppia degli Underwood alle più articolate questioni di politica estera, Chapter 51 ci ricorda che House of Cards è, e rimane, prima di tutto una serie fondata sui sottili giochi di potere, siano essi plateali o invece più nascosti e subdoli – inutile dire quali Frank Underwood preferisca tra i due.
Lo shift narrativo permette a questo episodio di farsi carico di una questione fino ad ora solo accennata: la presenza dell’ICO, l’Organizzazione del Califfato Islamico che ricorda ISIS in tutto e per tutto. Il rapimento di una famiglia americana da parte di due giovani statunitensi affiliata con l’organizzazione terroristica è l’occasione che gli autori sfruttano per strizzare l’occhio all’attualità: non c’è nulla di inverosimile nei modi in cui la questione viene affrontata, forse soltanto il coinvolgimento del governatore Conway. Allo stesso tempo, l’ingaggio del candidato repubblicano è giustificato, rientrando nella tela tessuta da Underwood: il Presidente, conscio del desiderio di notorietà del suo brillante avversario, lo spinge, con un abile duello psicologico, a esporsi volontariamente all’attenzione dei media internazionali quale mediatore tra il governo degli Stati Uniti e i rapitori. In questo modo, Underwood sfrutta le velleità narcisistiche del suo oppositore e si prepara a darlo in pasto alle critiche qualora dovesse fallire. Ancora una volta, Frank sfrutta il corso degli eventi per ricavarne un proprio tornaconto personale.

Gli eventi potrebbero presto ritorcersi contro Underwood, la cui sorte è stata fin troppo favorevole: nelle quinte di una Washington venduta anima e corpo alla corsa sfrenata al potere, Tom Hammerschmidt capisce che il miglior modo per lavorare indisturbato è stare lontano dalla pubblica piazza, optando per interviste ai limiti del legale in locali di dubbia fama, cercando di guadagnarsi il più piccolo briciolo di informazione rivolgendosi a personaggi del calibro di Garrett Walker, Heather Dunbar, Remi DantonJackie Sharp, tutti accomunati dal desiderio di rivalsa nei confronti di Frank.
Hammerschmidt ha tutto ciò che gli serve per sferrare un attacco fatale contro il Presidente, e la squadra che ha allestito ha preparato quanto necessario per montare lo scandalo che porrebbe immediatamente fine alla corsa politica di Underwood. Una storia, quella del giornalista, che si inserisce bene nel contesto di House of Cards: laddove c’è qualcuno che si dà da fare per costruire il proprio metaforico castello di carte, c’è sempre chi è disposto a tutto per farlo crollare una volta per tutte.

House of Cards 4

Noi non subiamo il terrore. Noi creiamo il terrore” è la chiosa della quarta stagione di House of Cards: con queste parole, Frank Underwood si rivolge per l’ennesima volta al pubblico spettatore. Ora, però, nello sfondare la quarta parete della finzione narrativa è accompagnato da Claire, anch’essa con lo sguardo fisso verso la telecamera. Un messaggio sottile ma estremamente chiaro: gli Underwood ormai sono un duo indivisibile, con le azioni dell’uno supportate dai pensieri dell’altra e viceversa. Il season finale rappresenta non l’esaurirsi della corsa di Frank e Claire, come sperato da Tom Hammerschmidt, bensì il climax delle loro macchinazioni: il limite che i due superano questa volta è invalicabile; portare una nazione intera in guerra per gettare polvere su uno scandalo che potrebbe annientarli. Nessuno conta di più ai loro occhi se non loro stessi. L’abbiamo visto durante l’intera stagione così come in quelle passate: tutte le persone di cui Frank e Claire si circondano sono strumenti, ora utilissimi ora meno, di cui si servono per raggiungere i propri obiettivi. Tutti i personaggi che gli orbitano attorno esistono in funzione della loro presenza.
Prendiamo Doug, per esempio: sebbene sia difficile simpatizzare per lui, è innegabile che in questa stagione abbia una storia molto interessante. Una dipendenza, le donazioni compulsive, che si sostituisce all’alcolismo e si accompagna contestualmente con l’avvicinamento sentimentale alla donna che ha reso vedova. Il tutto sempre e solo per salvare la vita di Frank.

Sono gli Underwood la fonte di energia di questa serie, ma anche la sua potenziale rovina: non sono stati pochi i passaggi in cui la presenza scenica di Kevin Spacey Robin Wright ha azzerato quella degli altri attori, e di conseguenza dei personaggi da loro interpretati. Nonostante questo, non si può dire che le spalle non siano ottime: rivelazione di questa stagione è Joel Kinnaman, che dà il volto al ferreo e giovane governatore Conway: Kinnaman dà esattamente l’idea di un uomo che, nonostante l’età, sa il fatto suo, avendo vissuto l’inferno della guerra servendo con lealtà la propria nazione.
Un plauso anche alla prima esperienza di Robin Wright come regista degli episodi 3, 4, 9 e 10, a conferma dell’eclettismo di questa attrice che non si esprime soltanto davanti alla telecamera, ma anche dietro le quinte.

Non si può certo sottolineare la debolezza più importante di House of Cards: la serie diluisce su più episodi i momenti più salienti così da azzerare la tensione, a volte, facendo calare l’interesse nei confronti di alcuni archi narrativi che sembrano durare più del necessario. Questo va anche a discapito di personaggi che potrebbero essere valorizzati maggiormente: è il caso di Remy Danton, ridotto in depressione, dilaniato dall’impossibilità di vivere una storia d’amore stabile, redento forse dall’aver partecipato attivamente all’inchiesta di Hammerschmidt, seppur in modo marginale.
Nonostante questo, non posso che assegnare quattro porcamiseria a una stagione che, nel complesso, è molto godibile se presa a dosi moderate.

A questo punto, la speranza per la quinta stagione è che House of Cards si assumi la responsabilità di caricare di maggiore significato la presenza di personaggi  lasciati finora ai margini dello schermo e che non scada in un banale drama politico, sull’onda della guerra contro l’ICO, dedicando invece più spazio alle conseguenze dello scandalo che si sta per abbattere sul castello di carte degli Underwood. Forse, definitivamente.

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