Grey's Anatomy13×19 What’s Inside

Un altro episodio di Grey's Anatomy che galleggia sopra l'inaccettabile mediocrità di quelli precedenti. Non malvagio, lontano anni luce dalla perfezione, porta a casa una sufficienza risicata.

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Continua con un nuovo episodio l’ottovolante che è questa stagione di Grey’s Anatomy: tra alti e bassi – molto più numerosi sono questi ultimi, dovendo essere obiettivi – viene difficile riuscire a capire quale sia il gran finale che gli autori hanno in serbo. Se è vero che ci sono stati alcuni picchi di ormai insolito interesse, è innegabile che essi non riescano a reggere il confronto con gli abissi di noia e i momenti di totale nonsense a cui abbiamo assistito finora.

Avendo già in saccoccia la conferma di una quattordicesima stagione e uno share che, inspiegabilmente, tiene testa ai competitor, tutto ciò non sembra turbare Shonda Rhimes più di tanto, dal momento che continua a professarsi fiera della sua creatura più longeva – e grazie tante. C’è da chiedersi se anche il pubblico continuerà a seguire il carrozzone della Rhimes anche il prossimo autunno, dovesse ancora Grey’s Anatomy procedere in maniera altalenante.

Per quanto queste criticità non possano essere ignorate, What’s Inside ne è leggermente immune: volendo analizzare l’episodio nel suo insieme a grandi linee, potremmo dire che con questa puntata Grey’s Anatomy ha portato a casa la sufficienza senza troppi sforzi – un risultato che poco ha a che vedere con il plauso di critica e pubblico ottenuto da Be Still, My Soul, complice l’inespettato talento da regista di Ellen Pompeo. Tuttavia, basta togliere solo un po’ della patina dorata che avvolge questo episodio per rendersi conto che no, Grey’s  Anatomy continua a disattendere le aspettative, abbassando l’asticella dello standard di qualità a livelli ben inferiori rispetto ad alcuni momenti del proprio passato.

Nessun amarcord, forse solo una punta di quella inevitabile nostalgia da aficionado della prima ora nell’accorgersi che il confronto con il passato è impietoso. Perché? Perché non basta disseminare qua e là qualche episodio di poco sopra la media, come fosse un contentino per i pochi fan più esigenti; non è abbastanza inserire qualche dialogo brillante o qualche scena piena di potenziale emotivo a discapito di innumerevoli storie che aspettano di essere sbrogliate, raccontate e terminate – che fine hanno fatto Alex e Jo? Come è andata a finire la storia tra Jackson e April di ritorno a Seattle?

What’s Inside non è stato un episodio totalmente negativo, sebbene si sia fuori luogo rispetto agli altri di questa stagione. Tuttavia, è iniziato con una scena che rispecchia quelli che sono i canoni di un certo Grey’s Anatomy d’annata: fa sorridere vedere Meredith quasi proprio agio in un cimitero, che diventa il luogo ideale per un ulteriore passo in avanti verso Amelia. Le due cognate-sorelle scendono a patti con le proprie diversità, riconoscendo di avere ciascuna un atteggiamento nei confronti delle avversità non troppo differente  – Meredith scelse di lasciarsi andare in solitudine, mentre Amelia prese la strada della tossicodipendenza -, tuttavia accorgendosi che il loro background di dolore le accomuna più di quanto avrebbero pensato.

A completare il trio Maggie, che si aggiunge alla sorellanza fresca di un nuovo lutto: dopo la perdita della madre, la Pierce sorprende tutti con un rapido rientro a lavoro portando a termine un delicatissimo intervento di cardiochirurgia oncologica fetale (solo a pensarci, la cosa fa girare la testa). Maggie afferma di stare bene e che, come il cuore microscopico della bambina dopo l’asportazione del tumore, ha solo bisogno di tempo per ingranare la marcia esatta per ripartire da zero – un tempo che ancora non sembra essere sufficiente, perché il confronto con Jackson, accusato di non aver lavorato al meglio per salvare Diane, la fa ripiombare nello sconforto. A sorreggerla ci sono però Meredith e Amelia, ché loro ormai hanno le spalle forti: e allora via con la 30 second dance, panacea così cara ai fan di Grey’s Anatomy, in una scena che strizza l’occhio all’addio di Cristina e al finale della undicesima stagione. Questo a dimostrazione del fatto che gli elementi iconici di una serie, che tuttavia ha perso il suo smalto originale, rimangono tali anche quando vengono riproposti in altri contesti.

Diversi punti non convincono però, i buchi di trama tra tutti: appurato che Alex e Jo sono più invisibili di una noiosa carta da parati e che April e Jackson siano ancora in un limbo indefinito post-Montana, qua abbiamo storto il naso davanti a questa nuova e inspiegata amicizia tra Riggs e Arizona – seriamente? – con la Minnick a fare la bella statuina sullo sfondo,  e pensare che avrebbe dovuto essere un uragano di rivoluzione a Seattle.

Rivoluzione è quello che ci aspettiamo per i prossimi episodi. Ci si augura che molti cerchi vengano chiusi, e che non si aggiunga ulteriore carne al fuoco, quantomeno non prima di aver esaurito il materiale, tanto e confuso, già presente. Il rischio in cui Grey’s Anatomy  sta incorrendo è appunto quello di sovraccaricare la trama principale con orpelli sgraziati di cui faremmo a meno. Al netto di quanto detto, quindi, 3 porcamiseria sono più che abbondanti.

3

 

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