Grey's Anatomy13×17 Till I Hear It From You

Seppur con il season finale alle porte, Grey's Anatomy non riesce a riprendersi dal torpore narrativo di questa stagione e dimostra di non saper imparare dai propri errori, anche se il risultato non è così pessimo come ci si potrebbe aspettare.

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Grey’s Anatomy non si trova più nella posizione privilegiata che aveva un tempo, quando le bastava far inumidire l’occhio allo spettatore, anche a quello più impassibile, per far dimenticare al pubblico l’effetto soporifero tipico degli episodi meno efficaci. Questo stratagemma non ha più presa su chi, strano a dirsi, continua a guardare la serie con occhio critico. C’è chi segue Grey’s Anatomy solo per le storie d’amore e chi, a distanza di anni dalla prima volta in cui Meredith Grey mise piede al Seattle Grace HospitalSeattle Grace Mercy West Hospital Grey-Sloan Memorial Hospital, continua la visione solo per via di un’inerzia che si indebolisce sempre più mano a mano che la stagione si avvicina alla sua conclusione.

Già l’abbiamo detto parecchie volte, ma mai come in questo caso repetita iuvant: gli autori di Grey’s Anatomy non sanno più che pesci prendere, e quindi ecco spiegata la carrellata di episodi che ci hanno lasciati con quella sensazione di tedio pesante da digerire.
Anche questa settimana, l’unico appiglio a cui l’intreccio si aggrappa per arrivare zoppicante alla fine dei quaranta minuti è una dose eccessiva di drama. “E grazie tante” direte voi. Trattandosi di Grey’s Anatomy non è insolito che un episodio ruoti attorno al dramma, anzi sarebbe strano se così non fosse ma, come per tutte le cose, è necessario dosare il tutto in maniera equilibrata per far sì che il risultato finale non sia eccessivamente troppo. E infatti, troppa è stata la drammaticità del caso di questa settimana – una storia sì commovente, ma dai risvolti e dal finale piuttosto scontato: un esempio di matrimonio perfetto, facente funzione di specchio della relazione in dirittura d’arrivo (forse, chi può dirlo) tra Amelia e Owen.

È incomprensibile il modo in cui la dottoressa attacchi il marito per i desideri (condivisibili o meno) di quest’ultimo

Hunt e la Shepherd e il loro burrascoso rapporto di coppia sono l’emblema della deriva di Grey’s Anatomy. Non si capisce come Owen e Amelia siano arrivanti a questo punto della loro relazione, o meglio non capiamo il perché gli autori abbiano deciso di intraprendere questa strada narrativa. Ormai è chiaro a tutti che Amelia è un personaggio dal passato controverso e complicato (non che quello di Owen sia stato sempre tutto rosa e fiori, anzi) che l’ha scalfita e segnata in maniera permanente; ciò che infastidisce è il modo in cui la Shepherd si serve dei propri traumi passati per farne uno scudo, addirittura un’arma . Tutto ciò non regge, anzi in questo modo gli autori hanno trasformato Amelia facendola passare da un personaggio con un elevato potenziale drammatico a un alto grado di fastidio. Pur non prendendo le parti di nessuno, è incomprensibile il modo in cui la dottoressa attacchi il marito per i desideri (condivisibili o meno) di quest’ultimo, arrivando persino a mettere in mezzo Cristina e quanto debba essersi sentita soffocata dalle esigenze di Owen in fatto di figli e famiglia. D’altro canto, una famiglia è tale anche senza alcun figlio, ed è indubbiamente questo ciò che Amelia vuole fare capire al proprio marito: i due possono essere una famiglia, anzi già lo sono a tutti gli effetti anche senza dovere necessariamente dare alla luce un figlio. C’è un problema di comunicazione insormontabile tra i due, ma Owen e Amelia sembrano essere gli unici a non capirlo.

Cavalcando l’onda del drama e del successo che assicura alla serie, Grey’s Anatomy coglie l’occasione e fa scoprire a Maggie il reale motivo della presenza di sua madre a Seattle, il che mette fine all’atteggiamento infantile ed egoista della dottoressa: messa di fronte alla gravità della situazione, Maggie avrà occasione per riflettere su se stessa e sulla portata delle proprie parole.

Maggie non sarà la sola a (ri)scoprirsi, perché anche per Meredith è arrivato il momento di mettere da parte la vecchia sé che ancora la lega al passato per proseguire in un nuovo percorso. Finalmente, infatti, la dottoressa Grey ha accettato l’invito del dottor Riggs: questo ci fa ritornare indietro di diversi episodi, cioè a quando il rapporto tra Meredith e Nathan era rimasto sospeso a mezz’aria, perso fra le tante sottotrame lasciate a prendere polvere a favore dell’arrivo di Eliza Minnick – a proposito, dov’è finita?

Il difetto di questa tredicesima stagione di Grey’s Anatomy sta proprio in questo: in 17 episodi gli autori non sono stati capaci di portare a termine la trama orizzontale in maniera continua e omogenea, favorendo talvolta alcune trame secondarie talvolta altre. Il risultato è quello di un mosaico incomprensibile, quasi raffazzonato alla bell’e meglio. Questo episodio si discosta leggermente dalla media dei suoi predecessori, in termini di godibilità e di narrazione: strano a dirsi, ma il tono di questi 40 minuti ha ricordato a grandi linee il Grey’s Anatomy delle prime stagioni, nonostante l’eccessivo e forse addirittura stucchevole tripudio di drama. Un episodio da 3 Porcamiseria, dunque, senza infamia e senza lode.

3

 

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