Gotham3×14 The Gentle Art of Making Enemies – 3×15 How The Riddler Got His Name

Il caos portato da Jerome chiude l'arco narrativo di Mad City e introduce il nuovo capitolo Heroes Rise, che vede come primo protagonista un Enigmista alle prese con dubbi sulla propria identità.

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Si chiude il capitolo Mad City di Gotham per cominciare il nuovo filone Heroes Rise. Dopo la pausa invernale la serie aveva rilasciato una manciata di episodi per chiudere il primo arco narrativo della terza stagione, riproponendo quasi immediatamente uno hiatus durato tre mesi che si è concluso il 24 aprile.

The Gentle Art of Making Enemies

Il ritorno di Jerome aveva segnato una rapida svolta negli eventi, con una città che, nel primo dei due episodi che analizziamo, assume inquietantemente contorni mad già nell’intro, modificata appositamente. Dopo aver fatto saltare la corrente, Jerome invita i cittadini di Gotham a darsi alla pazza gioia e seguire i propri repressi istinti, con l’ovvia conseguenza di gettare nel caos l’abitato e la polizia. Jim, Bullock Alfred intanto cercano di bloccare lo stesso Valaska, che ha rapito Bruce per completare il suo omicidio, nel ricordo di quanto stava per fare prima di essere ucciso da Galavant. Il piccolo Wayne si rivela in realtà un avversario già ostinato, riuscendo addirittura a fermare in un corpo a corpo il criminale. Sul versante villain, il piano di NygmaBarbara volge al termine: Oswaldormai al corrente di tutto, dimostra il suo vero amore per Edward, il quale però non riesce a superare l’omicidio di Isabella e gli spara comunque gettandolo nel fiume.

Gotham confeziona un midseason finale abbastanza equilibrato, ricorrendo a quello che è il perno della serie stessa e che, piano piano, viene sviscerato da tutte le prospettive possibili, ovvero la costruzione della propria identità. La serie lo fa sia con l’espediente più evidente e facile della formazione della coscienza superomista nel giovane Bruce Wayne, sia trattando il delicato tema nei confronti degli adulti, buoni e cattivi, che spesso si trovano a combattere con se stessi, a metà tra il contestare un destino narrativo già segnato da una mitologia fumettistica sconfinata e il tratteggiare con sfumature più ragionate alcune personalità altrimenti stereotipate e prevedibili.

Ricorrendo a una narrazione più cruda rispetto al passato – evidente soprattutto nei dettagli quasi splatter dell’episodio – gli autori mostrano il primo vero scontro tra il futuro Batman e la pura insanità rappresentata da Jerome (e poi incarnata dal Joker, ammesso che non sia lui), mai sconnessa dalla radice stessa della città: Gotham è una città folle, unico luogo sulla Terra che possa dare i natali e contenere Batman e Joker. Per questo il rapporto tra Jerome e i cittadini è importante, ed in questo la serie non fa altro che riprendere in toto l’eccellente lavoro de Il Cavaliere Oscuro di Nolan, adattandolo al mezzo televisivo e arricchendolo di dettagli fumettistici (riferimenti a The Killing Joke Batman: The Dark Knight a bizzeffe); niente di originale, quindi, eppure materiale maneggiato con cura e sicuramente ascrivibile all’omaggio piuttosto che al plagio.

Inevitabile quindi la disamina tra la doppia anima della futura missione di Batman, divisa tra vendetta e giustizia, in cui la prima e fondamentale regola del Cavaliere Oscuro, quella di non uccidere, segna il confine netto tra due principi osmotici. Regole e caos fanno quindi da sfondo a una città che raccoglie i pezzi di un continuo flusso criminale, ma che nella declinazione amorosa Nygma-Cobblepot non riesce ad attecchire, lasciando sempre un senso di fuori luogo, di mero fan-service che fa da riempitivo fino alla svolta successiva.

Da questo punto di vista la ricomparsa della Corte dei Gufi fa ben sperare, giacché il versante della criminalità organizzata langue e si nutre finora solo di personalità singole che dopo qualche episodio spengono l’interesse. Tre porca miseria e mezzo quindi per questo finale di Mad City il cui compito è portare alla rivalsa degli eroi.

3.5

How the Riddle Got His Name

Il quindicesimo episodio di Gotham già dal titolo si focalizza sulla nascita ufficiale dell’Enigmista. Edward Nygma non è nuovo a imprese criminali, ma con questa puntata la sua tormentata identità trova finalmente pace nell’abbracciare totalmente la propria oscurità, affrancandosi definitivamente dalla figura del Pinguino, che, più che una guida, era forse stato un ostacolo alla reale maturazione del criminale. Ma Cobblepot ovviamente non ha tirato le cuoia, ed è stato salvato in extremis da Ivy, che l’ha curato e rimesso a nuovo, pronto per vendicarsi del suo ex interesse amoroso. La Corte dei Gufi mette in atto il proprio piano di sostituzione di Bruce Wayne con il suo doppio, e apparentemente cerca di coinvolgere Jim Gordon con l’aiuto di un vecchio zio associato ai Gufi, che rivela al detective la presunta verità sulla fine di suo padre.

Più che nell’episodio precedente, in questo How the Riddle Got His Name (perché i titoli corti a Gotham fanno schifo) è evidente come l’identità sia il perno dell’intera serie e, nelle parole di Nygma stesso, in questo caso si tratta più di sapere come diventare chi si è. Da qui il ricorso a un mentore che possa guidare, ma che si rivela invece improduttivo, e la scoperta dell’altro come strumento per delineare, nella differenza, i contorni dell’identità. Così un percorso simile segue Jim, costretto a cambiare opinione su suo padre e su quanto gli ha insegnato, e, di conseguenza, mutare se stesso. Tutta questa introspezione non ottiene però l’effetto sperato.

Gotham non è Legion, e per quanto sembri richiamare a quella serie (vedi l’allucinogeno ballo del Pinguino), il tutto risulta uno scimmiottamento malriuscito e, alla lunga, noioso. Nygma, infatti, non ha il mordente per tenere da solo l’intero episodio, o quantomeno non attingendo a dinamiche mentali trite e ritrite all’interno della puntata stessa, che hanno l’effetto di annoiare anziché portare ad empatizzare. Lo stesso accade per l’ennesimo rapimento di Bruce, il secondo in due episodi e un numero a due cifre dall’inizio della serie: onestamente esistono espedienti narrativi differenti per far sparire un personaggio che non siano il rapimento e la presunta morte (come nel caso del Pinguino).

Un episodio questo che, se da un lato prova a seguire il solco tracciato dalle stagioni precedenti, dall’altro incappa in meccanismi ripetitivi e poco interessanti, con la conseguenza di arrivare a forza a fine puntata.

2.5

 

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