Gomorra2×01 Episodio Uno

La distruzione di una famiglia e la metamorfosi ferina di un uomo sono al centro del nuovo episodio di Gomorra. Tutto ciò che pensavamo di conoscere sarà mistificato e sovvertito in una spirale autodistruttiva.

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Una bambina. Una moglie. Un padre. Tre persone in balìa degli eventi, immersi in un vortice di Amore e Potere, in grado di invertire ogni logica e amplificare ogni impulso. Questo è ciò che vediamo in questo episodio introspettivo e monocentrico che consacra Ciro e Debora come protagonisti assoluti di Gomorra. Donna Imma è morta, Pietro Savastano è in fuga e Genny è in fin di vita; Ciro, quindi, ha campo libero per poter effettuare la sua scalata al potere. Una scalata alla quale si sta preparando da molto tempo. Stretta un’alleanza con Salvatore Conte, Ciro si autoproclama vincitore di questa faida tra clan, assapora la sua vittoria, si gode la vetta raggiunta.

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Ma non è così. La realtà è molto diversa dalla sua percezione parziale, accecata dagli istinti più beceri, condizionata dalla sua sete di potere, dal bisogno di un riscatto sociale. Colei che ha una visione lucida, cristallina, razionale di ciò che stanno vivendo è Debora. Lei sa, con grande consapevolezza, che suo marito non ha vinto niente, ha soltanto ucciso la moglie e sparato al figlio del suo boss, tradendolo, oltraggiandolo. E Pietro Savastano starà anche fuggendo, ma non lascerà impuniti gli attacchi fatti alla sua famiglia.

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Debora lo sa, perché è una madre. Debora sa che lei e Maria Rita sono nel mirino dei Savastano, una potenza criminale mai in declino. Debora non vede la vittoria, non vede il potere, vede soltanto una minaccia di morte incombere sulla sua bambina e su se stessa.  Come detta l’istinto di protezione, innato in ogni madre e insito nella natura femminile, la moglie di Ciro non resta inerme di fronte alla follia suicida del marito. Non volendo subire l’insania pericolosa di Ciro, Debora inizia a contrastarlo. In primis, decide di trasferirsi nuovamente al loro rifugio, abbandonando la loro casa. La scena che precede questa decisione è costruita in modo perfetto: drammatica, suggestiva, catartica. Maria Rita, con l’inconsapevolezza beata degli innocenti, gira nel parco con la bicicletta. Debora segue con lo sguardo sua figlia, che per pochi secondi esce dalla sua visuale. Debora si alza, urla il nome della sua bambina per tutto il parco, noi vediamo la paura nei suoi occhi, avvertiamo il terrore nel suono di quelle parole pronunciate con amore struggente. La realtà meschina, fatta di mitra e pistole, è lacerata dal grido di una madre e dalla sua angoscia. Così decide di portare sua figlia in quel rifugio.

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Ma Ciro non lo accetta, perché lui pensa di aver vinto. Perché nascondersi? Ed ecco che queste due prospettive cosi antitetiche si scontrano in un confronto dialettico, preparatorio per l’azione futura di Debora. In preda al panico più totale, Ciro implora la moglie di calmarsi, perché loro sono al sicuro, perché ora sono la famiglia del più potente. Ma è proprio questa cecità di Ciro ad indurre Debora a cercare protezione alla polizia. La seguiamo nel viaggio da casa sua alla questura, vediamo nei suoi occhi il travaglio interiore che sta vivendo, il dissidio che la vede scissa tra l’amore e la maternità. Ma Debora non avrà il coraggio di andare dalla polizia. Ma è troppo tardi, l’hanno vista davanti alla centrale e tanto basta per farsi condannare a morte, in quel mondo corrotto, depravato e dissacrante. Debora torna a casa e trova suo marito che la invita a cena. La scena della cena è molto introspettiva e rivelatrice del background di Ciro che già trapelava nella prima stagione e che qui viene approfondito.

Ciro è il figlio di nessuno, ha sempre avuto come principio guida la sua sopravvivenza, il suo mondo egotistico e nessuna lealtà ad alcun clan. Ciro è stato sempre leale solo a se stesso e alla sua famiglia, almeno fino a questo episodio. Dice a sua moglie che se prima guardava il ristorante da fuori, con due centesimi in tasca, adesso può permettersi una cena da lusso, ha una donna bellissima al suo fianco e ha “sconfitto” i Savastano. Accecato dalla visione mistificatrice della Realtà che si è creato, non comprende lo sgomento e l’incredulità di Debora. Sua moglie, infatti, lo deride dicendogli che non si trova al top, non è arrivato al vertice, se la sua vita è scandita solo dal terrore e da una morte incombente. Fugge la nostra Debora, come paladina della Verità, sulla spiaggia, gli urla in faccia che lo fermerà e qui abbiamo il primo momento in cui si avverte la paura di Ciro. Infatti, lui risponde che non può fermarsi, ché ormai è andato troppo avanti, ha infranto ogni regola, oltrepassato ogni limite, non può più fermarsi. Il dialogo tra i due diviene sempre più serrato e claustrofobico e lo spettatore resta in apnea. Debora si agita, ha una crisi isterica, lui le urla di calmarsi, “CALMATI Dè, ti devi calmare, calmati, calmati Dè”, fino a quando la calma perenne pietrifica l’amore della sua vita. E  l’uomo si tramutò in fiera.

Ciro uccide sua moglie, senza neanche volerlo, senza neanche rendersene conto. Succede e basta. Per chi è ormai abituato a togliere la vita, il limite non viene più riconosciuto. Guarda la sua mano e nel momento in cui lo sguardo di Debora si cristallizza per sempre, lui si appoggia su di lei, pietrificato dal mostro che è in lui – dal mostro che è lui. In lacrime guarda il corpo della moglie bruciare. Ciro non è Pietro Savastano, non è Genny o Salvatore Conte o altri scugnizzi. Ciro è il personaggio più complesso, più controverso e dinamico che non ha mai aderito alla logica da clan, ma solo a quella della sua famiglia. Voleva una vita a cinque stelle per Debora e Maria Rita, ma ormai non è più un uomo, è un carnefice. Ha ucciso sua moglie e non c’era ferocia nel suo volto mentre la soffocava, non c’era uno sguardo assassino. I suoi occhi erano lo specchio di chi ormai è intrappolato in una spirale autodistruttiva. Mentre la uccideva, era spaventato, terrorizzato. Un’interpretazione magistrale di Marco D’Amore ha reso queste scene struggenti, strazianti, coinvolgenti, in grado di assorbire lo spettatore completamente.

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Lo stesso attore ha dichiarato quanto fosse forte la potenza catartica di quella scena che ha avuto la fortuna e l’ingratitudine di recitare. Riconosce gli oggetti personali di Debora all’obitorio e crolla in una crisi senza fine.

Ciò che si prova nel vedere Ciro uccidere Debora non è rabbia, non è sdegno, ma solo pietà, commiserazione per un omuncolo che non sa gestire il potere, che tanto ha bramato per poi arrivare ad autodistruggersi con le proprie mani. Non lascia ai Savastano l’uccisione della moglie, ci pensa lui. Pietro Savastano avrebbe ucciso mai Imma? Certo che no, perché lui è un boss, plasma il potere, lo domina. Ciro non lo è e non lo sarà mai, perciò diventa vittima della vita miserabile a cui si è consacrato.

L’episodio di apertura della seconda stagione di Gomorra merita 5 porcamiseria per il carico emotivo che distrugge, spaventa e purifica lo spettatore, con il classico metodo catartico. In questo episodio ci siamo immersi nel labirinto dell’Io di Ciro, nei suoi meandri più reconditi e ne siamo usciti spaventati, ma allo stesso tempo, intensamente confusi.

Ciò che si prova, dopo questi 45 minuti, è solo un profondo senso di tristezza.

Intanto, Chapeau a Marco D’Amore!

5

 

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