Game Of Thrones6×09 Battle of The Bastards

In questo episodio di Game of Thrones, due grandi e decisive battaglie alle porte di Winterfell e di Meereen. Jon Snow affronterà finalmente Ramsay Bolton, Daenerys si troverà di fronte a una città sotto assedio e dovrà lottare per riconquistarla, mentre da Westeros altri visitatori cercano alleanze.

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Il fatidico nono episodio di stagione di Game of Thrones – Il Trono di Spade è arrivato anche quest’anno, il che significa solo una cosa: una grande battaglia tra eserciti pronti a scontrarsi. Il titolo non necessita di ulteriori spiegazioni, ma la vera sorpresa non è tanto la battaglia al Nord quanto quella a Meereen, non riportata a chiare lettere nella sinossi dell’episodio, che ci coglie piacevolmente in contropiede. È un episodio che punta all’inevitabilità, sappiamo già come tutto finirà ancora prima di iniziare, ma prendiamo i pop-corn e gustiamoci ogni inquadratura claustrofobica, ogni strategia militare e ogni prevedibile colpo di scena.

La Battaglia di Winterfell

Il lungo segmento dedicato alla battaglia per il Nord ingrana la marcia già al parley tra Jon e Ramsay. L’ironia del dialogo, che punta sull’inutilità di una battaglia, rimarca quanto in realtà questa battaglia sia necessaria per l’economia della serie, per non disattendere le aspettative create finora – a quello ci ha già pensato l’High Sparrow a King’s Landing. Gli Stark sono in netta minoranza, ma non retrocedono e pensano ad una possibile tattica, mentre Sansa viene bellamente ignorata nonostante i suoi tentativi di assurgere a preziosa fonte di intelligence: il suo personaggio sarà cruciale quando la battaglia si farà critica, e la sua determinazione dà nuovamente spazio a ruoli femminili determinanti per il futuro di Westeros.

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Jon Snow, duole ammetterlo, fa la figura dell’inetto, eccellente a combattere – con un piccolo aiuto dagli sceneggiatori che fanno sì che non venga scalfito nemmeno da mezza freccia di sbieco – ma totalmente impreparato di fronte alla spietatezza di Ramsay verso Rickon. La morte del giovane Stark fa calare il sipario su un personaggio sfortunatamente poco sfruttato, strumentale solo all’esplosione della battaglia secondo le regole del sadico bastardo Bolton.

Da quel momento lo spettacolo ha inizio: le armate si scontrano, regnano la claustrofobia, il sangue e la violenza. La regia fa un ottimo lavoro, ci sentiamo coinvolti e per diversi istanti dubitiamo delle capacità di ciascun esercito, mentre assistiamo alla manovra di accerchiamento dei Bolton: gli scudi decorati con l’uomo scorticato si chiudono a semicerchio attorno a Jon, Tormund e compagni, dietro di loro un’enorme pila di cadaveri ancora caldi – forse troppi?

I momenti migliori della battaglia sono questi, visti dalla prospettiva di Jon Snow, soffocato sotto i propri uomini, con la paura della morte nuovamente accesa nei suoi occhi nonostante l’esplicita richiesta a Melisandre di non resuscitarlo una seconda volta. Tormund conquista il suo momento di gloria contro Smalljon Umber, e noi lateralmente pensiamo alle seghe mentali fatte in passato sul tradimento di una delle casate più fedeli agli Stark.

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La lettera mandata da Sansa conferma quanto già sospettavamo, decretando la fine della battaglia con l’arrivo di Littlefinger e degli Arryn: la giovane Stark, tenendo per sé il suo asso nella manica, dimostra più senno e più senso strategico del fratellastro; è lei la vera vincitrice della battaglia, senza nemmeno la necessità di brandire una spada. Il ribaltamento di fronti non è tuttavia tecnicamente impeccabile: l’armata dei Bolton avrebbe dovuto conservare almeno delle pattuglie a est per evitare l’interferenza di forze esterne, e questo arrivo della cavalleria senza alcun tipo di logica militare, per quanto spettacolare per gli occhi, lascia perplessi. Si può presupporre che il fallimento di Ramsay sia riconducibile ad una sua inavvedutezza militare, come più volte sottolineato dal padre Roose, che certamente non avrebbe concesso simili colpi di scena.

La ritirata del nemico serve solo a dare l’opportunità a Jon Snow di concludere in grande stile la battaglia, ma lascia un retrogusto amaro se pensiamo all’austerità ed inespugnabilità del castello di Winterfell: ci si aspettava più uomini in difesa del castello, ma così non è stato, e in più ci tocca anche il dispiacere della morte di Wun Wun. I cani di Ramsay apprezzano il lauto pasto, offerto dopo un lungo digiuno, ma soprattutto è arrivato il momento per Ramsay di scontare le proprie efferatezze. Sansa (con una Sophie Turner in stato di grazia), Theon, Osha e Rickon tra gli altri ringraziano sentitamente.

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Andando oltre la battaglia per Winterfell in sé, è d’obbligo fare una retrospettiva sulle passate battaglie di Westeros. In “Battle of The Bastards” c’è un cruciale elemento di dissonanza, rispetto alla battaglia di Blackwater” e alla battaglia alla Barriera della quarta stagione: stavolta c’è un vero e proprio villain da eliminare dai giochi – Hardhome finora è l’altra unica eccezione, con un esercito di non-morti da cui difendersi. L’inevitabilità dell’esito di questo specifico scontro, tuttavia, diversamente dalle passate battaglie tra casate rivali, ha l’effetto collaterale di appiattirne il significato: nelle vecchie campagne militari trovavamo personaggi apprezzabili da ambo le parti, mentre stavolta Ramsay Bolton è inequivocabilmente il nemico da sconfiggere e, in quanto nemico per tutti, la battaglia che verrà combattuta per decretare la sua fine non potrà che essere priva di ambiguità. Cessato il clangore metallico delle spade, ci lasciamo sì alle spalle uno spettacolo per gli occhi e una eccellente regia, ma anche una battaglia con una sola anima, quella di Jon Snow, Sansa Stark e dei loro compagni.

La Battaglia di Meereen

Nella Baia degli Schiavi una battaglia a sorpresa per Daenerys scuote le certezze sull’eventuale monotematicità dell’episodio. Benioff e Weiss infatti dedicano Battle of The Bastards sia al ghiaccio, sia al fuoco: Meereen è assediata dalle navi delle Arpie e Daenerys, appena tornata dalla sua gita fuori porta a Vaes Dothrak, deve immediatamente pensare a come riorganizzare le proprie forze.

La battaglia di Meereen incalza a velocità doppia rispetto alla metodica riconquista di Winterfell: la CGI viene spremuta per sguinzagliare non uno, bensì tre draghi dai movimenti decisamente più fluidi rispetto ad episodi passati. Non si bada troppo alla liberazione di Viserion e Rhaegal, immediatamente pronti a combattere e addomesticati (sono liberi dalle catene da un pezzo, non potevano uscire prima?), ma quasi ce ne dimentichiamo al primo Dracarys, inebetiti dalle fiamme e stupiti di vedere Daenerys per la prima volta al centro di una vera e propria battaglia, per quanto ìmpari.

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Il ruolo di Tyrion ha nuovamente cognizione di causa, grazie alle sue abilità diplomatiche sia verso gli schiavisti sia verso Theon e Yara Greyjoy, giunti a Meereen senza problemi dopo la sosta a Volantis. Ci sarebbe piaciuto vedere la Iron Fleet arrivare in soccorso di Daenerys, qualcosa di più imponente e significativo anche per la Baia degli Schiavi, ma la realizzazione dell’episodio sacrifica una seconda grande battaglia a favore di un arrivo dei visitatori da Westeros senza troppo clamore.

Il dialogo tra Yara e Daenerys, ben realizzato e carico di un’interessante tensione sessuale, rimette prepotentemente in primo piano la vittoria del genere femminile su un retaggio maschilista che ha portato rovina e sofferenze sia ai Greyjoy sia ai Targaryen. Il messaggio sottinteso, a Meeren come nella battaglia a nord, è la capacità delle nuove generazioni di prendersi carico delle guerre e della follia dei propri padri e trovare un modo per far convergere i loro nobili propositi verso un futuro migliore per Westeros. Daenerys ne esce fortificata grazie alle interazioni con il suo consigliere e con Yara: la sua non è più solo conquista e vendetta verso le altre casate, non è più un semplice assoggettare i popoli conquistati, ma è invece una comunione di intenti con i propri alleati per la prosperità dei Sette Regni, senza la categorica esclusione di una loro relativa indipendenza territoriale.

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Ci lasciamo alle spalle un episodio di Game of Thrones che, nonostante alcune pecche ad impedirne l’eccellenza, merita 4 porcamiseria su 5 abbondanti. Davanti a noi si prospetta un season finale dalla durata imponente, con il climax delle disavventure di Cersei, i Lannister e i Tyrell – Tyrion che ormai ci suggerisce a caratteri cubitali che saranno fuochi d’artificio, e non metaforici; la risoluzione delle divergenze tra Davos e Melisandre; le speculazioni sull’arrivo di Euron Greyjoy a Meereen; Varys, che chissà dove è effettivamente andato a tramare (escludendo Euron, ora nemico di Daenerys, sarà magari nel Dorne, ammesso che gli autori non l’abbiano cancellato dalla mappa?). E Samwell Tarly, sì, dovrebbe esserci anche lui.

4

 

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